di Maurizio Quilici *
Per trovare una simile bufera sul tema della famiglia, dei minori, del divorzio si deve andare a vicende come quella dei bambini di Bibbiano (fatte le debite proporzioni, s’intende) o alle virulente reazioni che suscitava il famigerato ddl 735 del sen. Pillon.
Mi riferisco, lo avrete capito, allo spot della catena di supermercati Esselunga, che qui riassumo brevemente a beneficio di quanti – nessuno, suppongo – non abbiano avuto la possibilità di vederlo. E comunque il video integrale – che dura la bellezza di due minuti – è visibile sul canale YouTube di Esselunga. Dunque, una graziosa bambina sui cinque o sei anni, Emma, è al supermercato con la mamma. A un certo punto si allontana e prende dal banco una pesca che la mamma acquisterà. Poi torna a casa (dove ci saranno alcune scene di vita familiare nelle quali si avverte l’assenza paterna), e per strada osserva con tristezza una famiglia dall’aria serena, con un bimbo tra i suoi genitori. Successivamente il papà della bimba, evidentemente separato, la va a prendere e lei gli porge la pesca dicendo “te la manda la mamma”, in un tenero tentativo di riavvicinare i due genitori. Sguardo malinconico del giovane padre verso la finestra della sua ex (dal che gli esegeti hanno dedotto che è stata lei a decidere di separarsi; cosa plausibile, visto che le statistiche pendono decisamente a favore di abbandoni da parte femminile).
Se fosse una minima parte di una pellicola cinematografica potremmo giudicarla dolce, tenera, sdolcinata, scontata, intrusiva, provocatoria… E ci fermeremmo lì, trovando al più un accenno in qualche recensione. Ma qui si tratta di pubblicità e la pubblicità, si sa, entra ovunque, si insinua nelle pieghe delle case e delle famiglie, avvolge come nebbia leggera le circonvoluzioni cerebrali, spinge a comportamenti inconsapevoli, attiva meccanismi (commerciali anzitutto, ma non solo…) misteriosi. Insomma la pubblicità, per sua natura, non passa inosservata.
E così è scoppiata la bagarre. E siccome il nostro è stato ed è il Paese dei Guelfi e dei Ghibellini, di Montecchi e Capuleti, Pisani e Livornesi, Romanisti e Laziali, nordisti e terroni, destra e sinistra… insomma delle fazioni purchessia, la penisola si è subito divisa in due. Da un lato chi ha apprezzato lo spot, giudicandolo tenero, commovente, poetico, realistico (ci sono anche le famiglie dei separati, perbacco!) e finalmente “dalla parte dei bambini”. Dall’altra chi lo ha giudicato stucchevole, subdolo nelle sue finalità anti-divorzio. Fin qui saremmo nel consueto “duello” di opinioni che con tanta facilità infiamma noi Italiani. Senonché – e anche questa è una caratteristica abbastanza italica – dello spot si è immediatamente appropriata la politica. Che ha visto in quella pubblicità un’operazione a sostegno della famiglia (“Dio, patria, famiglia” va molto di questi tempi) e contro il divorzio, proprio per questo sostenuto da un lato e condannato dall’altro. Sospetto legittimo o oltre le intenzioni? Mah, il sospetto è legittimo, se è vero – come leggo su Internet – che Esselunga è main sponsor della campagna “Stati Generali della Natalità” sostenuta dal Ministero della Natalità di Eugenia Roccella, con il quale “collabora per valorizzare il valore della maternità e combattere la denatalità”.
Difficile dire se abbia prevalso l’intento politico e ideologico o quello puramente commerciale. Certo è che lo spot è piaciuto a tutti i rappresentanti del Governo ed è stato criticato da tutta l’opposizione, o quasi. La Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, lo ha definito “molto bello e toccante”. Giudizi positivi anche dal vicepremier Matteo Salvini, che definisce lo spot “uno splendido messaggio di Amore e Famiglia” e per il quale in questo modo “si dà voce ai tanti genitori separati, a quelle mamme e quei papà quasi mai citati e spesso troppo dimenticati, al legame indissolubile con i figli” (che lo spot “dia voce” ai separati mi pare velleitario; i separati avrebbero bisogno di ben altre “voci” atte a svelare, per esempio, quanto accade nelle aule dei Tribunali al momento di separazione e affidamento). Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ammette addirittura di essersi commosso: “lo guardo con gli occhi del padre, del marito, del divorziato che ha sempre cercato di non far soffrire nessuno, della coppia che vive con i propri figli tra mille difficoltà ma con amore” (anche Crosetto, come buona parte degli esponenti di destra pro-famiglia – da Salvini a Santanché – è divorziato). Non poteva mancare l’elogio del succitato ex senatore Simone Pillon, per il quale lo spot “mostra la verità e cioè che i figli, anche in caso di separazione o divorzio, continuano a voler bene sia a mamma che a papà e sperano che si vogliano bene anche tra di loro. Si chiama affetto parentale e non è antiquato né patriarcale”. Bene anche per Licia Ronzulli, Forza Italia, che parla di “riuscitissimo spot” e di sinistra “ubriaca di ideologia”.
Già, la sinistra… Sul fronte avverso manca un giudizio della Segretaria del PD, Elly Schlein, che ha candidamente detto di non aver visto lo spot e quindi di non volere (io avrei detto “potere”) prendere posizione. Atteggiamento mantenuto saldamente anche nei giorni a seguire. Si è invece espresso, in modo colorito e sintetico, Carlo Calenda, commentando il Vicepremier Salvini “Caro Matteo, non ci rompere le palle e vai a lavorare”.
Pesco qua e là fra i non politici e trovo il fotografo Oliviero Toscani, noto per le polemiche suscitate in più occasioni dalle sue campagne pubblicitarie. Toscani definisce lo spot “retrogrado”, “con una precisa presa di posizione”. Secondo lui, siamo spinti a pensare “che la separazione sia un male. E che faccia soffrire sia la figlia che i genitori”. E aggiunge (dopo aver chiarito di aver divorziato tre volte): “Posso garantire che nessuno si lascia a cuor leggero senza soffrire. Ma garantisco anche che tutti i figli di genitori separati soffrono molto di più a vederli litigare che a non vederli più insieme”. Fra i giornalisti, ne cito due: Selvaggia Lucarelli (la Esselunga “è un’azienda amica del Governo, dopodiché lo spot fa il gioco del centrodestra”) e Antonio Padellaro, che a sorpresa sottoscrive le parole di Giorgia Meloni e definisce lo spot “bello e toccante”. E aggiunge: “Ce ne vorrebbero di spot così, che interpretano la realtà così com’è”. Stranamente assenti – almeno rispetto al solito – gli psicologi e i sociologi della famiglia, gli avvocati matrimonialisti…
Per fortuna agli Italiani non difetta neanche la voglia di scherzare e subito si sono moltiplicate le parodie dello spot, da quella che mostra in un supermercato una cassetta di pesche e sopra l’indicazione: “Prodotto italiano” (con bandierina tricolore). Pesche per divorziati”. O come quella in cui Francesco Totti, con la pesca in una mano e il telefonino nell’altra, chiede: “A Ilary, scusa, ‘n ho capito… Dentro ce sta e’ Rolex?”.
Mi fermo qui, mi pare abbastanza. E allora? Che dire? Che il tema di separazione, divorzio e affidamento, con tutto ciò che comporta per i figli, è troppo importante e delicato per proporlo in uno spot pubblicitario (tecnicamente ben fatto; peccato che l’attrice pronunci pésca e non pèsca, con errore che ormai anche i miei nipotini hanno imparato a evitare) se si assegna poi a questo stesso spot una valenza spropositata. Che certamente esso esprime una accertata verità: i figli sperano quasi sempre che i genitori tornino insieme (quasi, perché se il rapporto fra i genitori è particolarmente conflittuale e violento il discorso cambia eccome). Una ricerca del 1988 (J.S.Wallerstein – S.B.Corbin – J.M.Lewis) mise in luce che a distanza di dieci anni dalla separazione dei genitori la metà dei bambini nutriva ancora fantasie di riconciliazione. Che separazione e divorzio sono sempre, inevitabilmente, uno straziante dolore per i figli, che i genitori hanno il dovere di rendere meno acuto possibile. Che una buona separazione (civile, senza conflitti e strumentalizzazioni) è sempre meglio di un’unione conflittuale e violenta che espone quotidianamente i figli a uno stillicidio di orribili sensazioni.
Da quando è nato l’I.S.P. ho cambiato idea su alcune cose relative alla famiglia, non su questa: la separazione è sempre un dolore, una perdita, un fallimento di cui i figli pagano di solito le maggiori conseguenze. Tuttavia molto del suo carico di sofferenza e di pena è legato ai genitori, al modo in cui essi vivono – e fanno vivere ai figli – la separazione. Dal loro comportamento, dalla loro intelligenza e maturità (io dico anche: dal loro vero amore per i figli) dipende in gran parte se quella fase della vita lascerà cicatrici profonde o potrà essere elaborata come un lutto (al quale separazione e divorzio sono per molti versi equiparati) e superata come si supera, appunto, un lutto.
E allora lo spot? Filogovernativo? Anti-divorzista? Retrogrado? Tenero? Pericoloso? Forse stiamo agitando una tempesta in un bicchier d’acqua. Forse dovremmo sempre ricordare, come raccomanda in un articolo su Famiglia Cristiana Francesco Belletti, Direttore del Centro Internazionale Studi Famiglia (da cui ho preso il titolo di questo editoriale) che “sempre di pubblicità si tratta”, ossia di un messaggio che “intercetta soprattutto sentimenti, affetti, emozioni, più che la parte razionale”. Con opportuno riferimento Belletti ricorda il famoso film Kramer contro Kramer, che suggeriva come gestire un bambino in mezzo alla guerra dei genitori.
Conclusione? Mancava, allo stereotipo del Mulino Bianco, tante volte citato come esempio di stucchevole e irrealistica sdolcinatezza, un contraltare. Ora, finalmente, lo abbiamo e da ora in avanti – statene certi – si parlerà di “famiglia del Mulino Bianco” e di “famiglia della pesca Esselunga”.
- Presidente dell’I.S.P.
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