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Ancora padri che uccidono

Non si ferma l’orrenda serie di padri che uccidono i propri figli. A distanza di pochi mesi, altre tragedie simili a quella che è stata oggetto dell’editoriale del numero scorso (Padri che uccidono), dopo che  a Margno, nel Lecchese, Mario Bressi aveva strozzato i suoi due gemelli, un maschio e una femmina di dodici anni, e si era poi ucciso lanciandosi da un ponte.

Lo scorso settembre un uomo di 47 anni, Claudio Baima Poma, ha ucciso il figlio Andrea, di undici anni sparandogli un colpo di pistola nel sonno e si è suicidato subito dopo. E’ avvenuto a Rivara Canavese, in Piemonte. Qui, come spesso accade in questi casi, c’è un padre separato; anche nel dramma avvenuto nel Lecchese il padre assassino aveva una separazione in vista. Come nel caso di Bressi l’uomo, in un post mandato in rete poco prima di sparare, si scaglia, pieno di rancore, contro la madre di suo figlio, che un anno e mezzo prima lo aveva lasciato (una separazione “civile”, a quanto pare, senza particolari tensioni, così come sembrava “tranquilla” quella dell’altro uomo). Anche qui foto di padre e figlio insieme, felici, abbracciati. Anche qui un fortissimo attaccamento fra il genitore e il bambino (“non potevo stare nemmeno un secondo senza di lui, e lui senza di me” ha scritto Baima Poma) che alla luce dei fatti si sarebbe tentati di definire morboso.

Analogie drammatiche, che danno purtroppo una precisa connotazione, “tipica”, a questo tipo di drammi familiari. Drammi la cui analisi non è mai semplice,  caratterizzati da un lato dalla incapacità dell’uomo di affrontare il dolore di un abbandono da parte della compagna (spesso vissuto come umiliazione e fallimento, talvolta anche, con rabbia, come perdita di potere) e dall’altro dalla previsione sofferta di una inevitabile lontananza dai figli. Forse, però, in quest’ultimo caso non vale neppure la spiegazione (non giustificazione!) di un figlio strappato al padre. A quanto pare, nonostante la separazione, padre e figlio erano sempre insieme. L’uomo andava a prendere il bambino a scuola tutti i giorni; la scorsa estate erano stati insieme in vacanza, due volte in Francia ad agosto, poi al mare, in Calabria. La madre di Andrea era andata ad abitare vicino all’abitazione dell’ex compagno perché padre e figlio potessero frequentarsi. Spesso dopo episodi del genere si parla di depressione (si deve cercare una spiegazione a qualcosa che appare inconcepibile), ma sembra che Claudio Baima Poma soffrisse davvero di una vecchia forma di depressione e che rifiutasse di curarsi. Nel messaggio, denso di rimproveri, alla sua ex compagna l’uomo le augura “di vivere cent’anni”. Sa bene che saranno cent’anni di inferno.

Infine, l’ultimo episodio all’alba del 9 novembre, nel Torinese, dove Alberto Accastello, operaio di 40 anni, ha sparato alla moglie, ai due figli gemelli di due anni e al cane e poi si è ucciso a sua volta. Alla strage è sopravvissuta solo la bambina, morta pochi giorni dopo. Anche qui – stando alle prime notizie – una situazione familiare di conflitto, liti frequenti, una separazione in vista. Il particolare del cane aggiunge un elemento in più, da interpretare: forse la volontà di cancellare ogni forma di affetto, di amore, di legame che univa le vittime, facendo dietro di sé terra bruciata (non è la prima volta che l’omicida sopprime aanche il cane). O forse una “punizione” per un animale che apparteneva sentimentalmente ad altri. O ancora una sorta di malata “pietà” perché il cane non fosse privato dei suoi amati padroni. (M. Q.)