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Meno matrimoni e figli: colpa di troppo “codice materno”?

di Laura Romano *

Dal 2008 a oggi – ad eccezione del 2015, anno in cui, stando agli ultimi dati ISTAT, si è avuta una lieve inversione di tendenza –  si è celebrato un numero sempre più basso di matrimoni e sono nati sempre meno bambini, almeno nel campione di popolazione di origine italiana. E’ un dato numerico sul quale occorre riflettere in ottica multidisciplinare, poiché ogni comportamento umano da un lato necessita e dall’altro merita di essere letto e compreso con strumenti differenti e comunque sempre correlati fra loro.

Certamente, questo aspetto attiene in primo luogo al pensiero e alla ricerca propri della sociologia della famiglia, anche in considerazione dei mutamenti – rapidi, nella storia dell’umanità! – riferibili al ruolo della donna; alla concezione della maternità e, ancor più, della paternità; alle specificità del mercato del lavoro degli ultimi anni.

Indubbiamente, tale evoluzione richiede anche una lettura di ordine psicologico, in riferimento a come l’individuo strutturi se stesso e la propria identità all’interno del contesto socio-culturale cui sopra si è accennato.

Chi scrive, tuttavia, vorrebbe proporre alcune considerazioni dal proprio specifico vertice professionale, ossia in ottica educativa e biografica.

Chi sono, che storia personale e familiare hanno le giovani donne e i giovani uomini che scelgono di non sposarsi e di non diventare genitori? Quali esperienze educative (tutto ciò che genera cambiamento, tutto ciò che viene percepito e vissuto come mutativo, risulta essere eminentemente educativo) hanno contribuito a produrre l’atteggiamento e, conseguentemente, il comportamento su cui si sta riflettendo?

Che cosa può aver influito su questa decisione, che assai – frequentemente – sembra più frutto di circostanze che una vera e propria scelta?

La generazione di coniugi e genitori mancati è composta da coloro che sono stati bambini e adolescenti cresciuti in un clima sociale e culturale (antropologico, si potrebbe dire) e, conseguentemente, educativo caratterizzato da alcune specificità.

Ovviamente, l’analisi che desidero proporre non si colloca entro una logica di giudizio, entro una valutazione di merito in termini positivi o negativi, bensì – esclusivamente – in un’ottica di comprensione di un fenomeno per certi versi poco indagato dal versante pedagogico.

Le giovani donne e i giovani uomini che stiamo considerando sono stati bambine e bambini che hanno vissuto, nel nucleo familiare d’origine, un’eccedenza di valori d’area materna, una “prevalenza” di codice educativo materno. In termini concisi e – per certi versi semplificati – si potrebbe affermare che sono cresciuti accuditi, sostenuti, protetti; che hanno sperimentato appieno il soddisfacimento dei bisogni (primari, ma anche secondari); che sono stati esposti a poche frustrazioni e non hanno dovuto confrontarsi spesso con il differimento della gratificazione.

Si sono confrontati ben poco con il codice paterno, che prescrive la separazione, l’autonomia, il mettersi in gioco in prima persona; che pone limiti e dà regole; che invita a assumersi la responsabilità delle proprie scelte e, eventualmente, dei propri errori; che sostiene l’autoreferenzialità così come la progettualità.

Divenuti adolescenti, sono stati ragazze e ragazzi abituati ad avere “tutto e subito”, a ritenere che chiunque – come in passato è avvenuto nel loro contesto familiare – sia pronto a soddisfare i loro bisogni, a subentrare in aiuto di fronte alle difficoltà o in difesa di fronte alle criticità e agli errori commessi; che chiunque possa (e debba) alleviare loro la fatica della scelta, il peso dell’assunzione di responsabilità, le conseguenze (negative o positive che siano) delle decisioni prese.

La vita quotidiana nei vari ambiti e contesti extrafamiliari – che vanno via via ampliandosi e facendosi più complessi con il passare degli anni – costringe questi adolescenti prima, questi giovani poi, alla presa di coscienza che quanto scelgono e agiscono appartiene a loro e a loro soltanto e che non è più possibile attuare meccanismi di deresponsabilizzazione e delega.

L’eccedenza di codice educativo materno non li ha preparati adeguatamente a “vivere la vita”. Se a questo aspetto sommiamo considerazioni di ordine sociologico (l’estrema precarietà lavorativa, la disoccupazione e l’inoccupazione della fascia giovanile della popolazione – contrabbandata con il termine assai più digeribile di “flessibilità” – e la conseguente estrema difficoltà a trovare una soluzione abitativa autonoma e a pianificare un futuro familiare se non sicuro almeno non eccessivamente rischioso) e elementi di natura psicologica (il vissuto di insicurezza e i suoi correlati di ansia e sfiducia) risulta – a mio avviso – più agevole comprendere perchè le giovani donne e i giovani uomini contemporanei evitino la scelta del matrimonio e, ancor più, quella della genitorialità.

Diventare genitori, infatti, è una scelta irreversibile, definitiva, che vincola a una responsabilità cui non si può abdicare. Se è possibile decidere di non essere più coppia coniugale, si resta comunque – per sempre – coppia genitoriale. Il legame con la/il partner con cui si sono messi al mondo dei figli e, soprattutto, con i figli stessi non può essere cancellato, archiviato, delegato ad altri.

Per chi non è stato cresciuto anche nel sano, necessario, evolutivo confronto con il codice educativo paterno; per chi non ha potuto fare graduale esperienza di autonomia, autoreferenzialità e assunzione personale di responsabilità; per chi non ha avuto modo di imparare a fronteggiare e gestire i limiti, le criticità e le frustrazioni, matrimonio e genitorialità possono apparire vincoli e zavorre più che opportunità e progetti.

Dal punto di vista educativo, pertanto, occorre riconsiderare l’indispensabile equilibrio di codice materno e codice paterno; occorre riprendere ad offrire un approccio pedagogico che valorizzi l’autoreferenzialità, l’autonomia, l’assunzione di responsabilità; questo aspetto non risulterà certo sufficiente a invertire un trend che – come detto – ha origine multifattoriale, ma potrà contribuire a sostenere la progettualità delle donne e degli uomini di domani.

* Consulente educativa e formatrice. ISP Como