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Le aspettative del passato e le riforme del futuro

di Gianluca Aresta *

L’anno che ormai è alle nostre spalle ci ha lasciato, da un lato, un effervescente dibattito su tante riforme (o progetti di riforma) nel settore del diritto di famiglia, forse, allo stato, ancora non realizzate e, dall’altro, un desiderio di vedere finalmente concretizzata quell’intima esigenza sia di effettivo adeguamento del nostro sistema a quello dei paesi più “evoluti” nel campo della legislazione in tema di diritto di famiglia, sia di serio adeguamento della legislazione vigente alle necessità imposte dai radicali cambiamenti del sistema famiglia nel nostro tessuto sociale.

In tale contesto, fra i tanti, certamente l’affido condiviso, e la sua auspicabile viva realizzazione, resta l’argomento con più “like” (volendo usare un termine spiccatamente moderno) nel panorama di quelli discussi nell’ultimo periodo, fra proposte di riforma, Disegni di Legge e accese discussioni sui provvedimenti normativi proposti.

Però, a dirla tutta, a dispetto del grande fermento che ha accompagnato le discussioni degli ultimi mesi sull’argomento, soprattutto con critiche, proposte, controproposte, partiti pro e partiti contro relativamente all’ultimo impianto normativo che era stato proposto con il cosiddetto “ddl Pillon”, chi scrive è rimasto colpito (per non dire folgorato!), mentre si avventurava in una coraggiosa lettura di un quotidiano di ormai ben quattro anni orsono, nel leggere: “Affido condiviso, Italia bocciata. Solo il 2% dei figli di separati sta ugualmente con mamma e papà” (Avvenire del 20/12/2015 pag. 12). Allora, per qualche secondo, mi sono fermato a pensare e mi sono chiesto cosa in quattro anni fosse stato fatto per rimediare a quella inesorabile bocciatura. O, diversamente, se fosse stato fatto obiettivamente qualcosa.

Oggi, in realtà, sembra che siamo all’anno zero in ordine al problema della concreta realizzazione dell’istituto dell’affido condiviso, sembra che siamo a quel punto di partenza sollecitato dalle più diverse istanze sociali, politiche, normative e professionali, ma, forse, è interessante muovere dalla considerazione che, come si legge nell’articolo citato, si era tenuto qualche giorno prima (dicembre 2015) a Bonn il convegno annuale delle associazioni che si occupavano di affido condiviso, con la presenza di oltre cento professionisti fra avvocati, psicologi, magistrati, medici, mediatori familiari in rappresentanza di venti nazioni. In quella occasione la bocciatura per la situazione italiana era risultata senza appello: si tratta di oltre quattro anni orsono.

Premessa la fondamentale distinzione fra affido paritetico (condizione auspicabile), affido legalmente condiviso, affido materialmente condiviso e affido materialmente esclusivo, in quella occasione di confronto emerse come nel nostro Paese solo il 2% dei minori figli di separati gode di un affido realmente paritetico, in cui cioè mamma e papà sono realmente e concretamente ed effettivamente presenti in modo educativamente efficace, con tempi equipollenti. Percentuale, questa, che, già nell’anno 2015, saliva al 40% per la Svezia e al 30% per il Belgio, le due nazioni europee che vantavano la legislazione migliore in materia; guardando, invece, la fotografia da diversa angolazione, l’Italia “primeggiava” con il 95% dei casi di affido materialmente esclusivo: primato non certo invidiabile per un Paese in cui la Legge del 2006 avrebbe dovuto, nelle sue migliori intenzioni, evitare proprio quell’elevato tasso di conflittualità che si continuava, nove anni dopo, ancora a registrare.

Orbene, la contemporanea presenza, o per lo meno armonica, della figura paterna e della figura materna per un corretto sviluppo psicologico dei figli, è sicuramente una di quelle verità accertate in modo assolutamente condiviso da scuole di diverso orientamento.

Ma la nostra legittima curiosità, allora, resta ancora quella: cosa si è fatto negli ultimi quattro anni se sul tavolo della discussione restano ancora aperti mille sentieri da percorrere per la realizzazione di una legislazione ideale, rapportata alle reali esigenze sociali, in argomento? La giurisprudenza che l’anno ormai alle nostre spalle ci ha lasciato in eredità ha certamente offerto un serio contributo alla discussione con una molteplicità di pronunce, tutte oltremodo interessanti, fra cui appaiono particolarmente stimolanti quella resa da Tribunale di Matera (Decreto di omologazione del 27/11/2018) – che, a dire di molti, avrebbe “anticipato” i contenuti del Disegno di Legge Pillon… alla ricerca della “bigenitorialità perfetta” – con cui i magistrati hanno stabilito il diritto di un minorenne a rimanere stabilmente a vivere in quello che, fino al momento della separazione, era stato il domicilio familiare, lasciando, invece, che ad alternarsi fossero i genitori con una frequenza settimanale, stabilendo, altresì, che nessuno dei due genitori avrebbe dovuto versare al coniuge alcun assegno di mantenimento, atteso che gli stessi avrebbero provveduto al sostentamento del minore durante il periodo di affido di sua spettanza.

L’Avv. Luciano Vinci, all’indomani della pronuncia del Tribunale di Matera, dichiarava su la Repubblica:“Con questo decreto è stato stabilito che, dopo la separazione, non ci sarà un genitore prevalente sull’altro, anche perché i tempi di frequentazione saranno assolutamente paritetici”. “Nel caso portato all’attenzione del Tribunale di Matera” – affermava l’Avv. Vinci – “la casa non è stata assegnata ai genitori. Si è previsto, infatti, che nell’immobile rimanga stabilmente il minore e che, di settimana in settimana, vi si alterneranno i genitori. Inoltre, nella specie, sempre per garantire la bigenitorialità del minore, si è stabilito che lo stesso trascorra con i figli tempi perfettamente paritetici. Pertanto, non vi sarà un genitore prevalente rispetto all’altro”.

A margine di tutte le più diverse considerazioni che sono seguite alla pronuncia del Tribunale di Matera, non bisogna trascurare come si tratti di una pronuncia che, per quanto presentata come “innovativa” e “straordinaria” nel nostro panorama giurisprudenziale, prospetta la realizzazione di quel principio di bigenitorialità perfetta che già nel 2015 era fortemente richiesto come presupposto imprescindibile per la realizzazione concreta, e non solo teorica, dell’affido condiviso.

Un’altra pronuncia particolarmente interessante da segnalare a chiusura dell’anno passato è stata quella resa dalla Suprema Corte di Cassazione (Sezione I, del 10/12/2018, n. 31902), con cui i Giudici di legittimità hanno voluto ricordare che il principio di bigenitorialità si traduce nel diritto di ciascun genitore ad essere presente in maniera significativa nella vita del figlio nel reciproco interesse senza, però, che ciò comporti «l’applicazione di una proporzione matematica in termini di parità dei tempi di frequentazione del minore». L’esercizio di tale diritto deve, infatti, essere sempre armonizzato in concreto con le complessive esigenze di vita del figlio e dell’altro genitore.

Il criterio da seguire, a dire dei Giudici della Suprema Corte, è quello di assicurare una presenza significativa «nella vita del figlio nel reciproco interesse»: la Suprema Corte invita, pertanto, a tenere presenti le reciproche “necessità”, armonizzando l’esercizio del diritto «con le complessive esigenze di vita del figlio e dell’altro genitore».

Non mancano, nella sentenza, le indicazioni per il Giudice che, nell’affidamento dei minori, deve tenere conto, nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, «della capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell’unione». Una valutazione – questa – che richiede l’analisi di elementi concreti: il modo in cui i genitori hanno svolto in precedenza i loro compiti, le rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto.

Nella sfera di attenzione rientrano anche la personalità del genitore, le sue consuetudini di vita e l’ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore. Fermo restando «in ogni caso il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, i quali hanno il dovere di cooperare nella sua assistenza, educazione ed istruzione».

Partendo da questi principi, la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di un padre separato, in aperto conflitto con la ex moglie – presso la quale la minore era collocata in maniera prevalente – sia sul pernottamento settimanale, sia sul mantenimento. I due erano in perenne disaccordo, a causa di una esasperata competitività, tanto da indurre la corte d’Appello ad affidare la minore al servizio sociale per prendere, sentiti i genitori, le decisioni più importanti che la riguardavano: dalla scuola all’attività sportiva. Mentre al padre e alla madre restavano le scelte sulla vita quotidiana. La Suprema Corte ha provato a correggere la rotta con un “promemoria” sull’interesse del minore.

Le sentenze innanzi richiamate sono solo alcune fra le diverse pronunce che, ancora una volta, hanno offerto un punto di vista, più o meno condivisibile e più o meno “vincolante” in argomento, arando il terreno, più volte già seminato, di argomenti sensibili e delicati come affido condiviso, come bigenitorialità perfetta, come salvaguardia del rapporto fra genitore e figlio, toccando le corde più intime e, a volte, più nascoste di quei rapporti umani e familiari troppo spesso sacrificati sull’altare di fredde dispute giuridiche, terminologiche e normative.

Non dobbiamo dimenticare, però, che, già più volte, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato il nostro Paese per non aver predisposto un sistema giuridico (e amministrativo) adeguato a tutelare il diritto inviolabile del genitore (quasi sempre il padre “separato”) di esercitare il naturale rapporto familiare col figlio. Fra le altre, con la sentenza Corte Eur. Dir. Uomo, sez. II, 29/1/2013 (Affaire Lombardo/Italia) si osserva che dall’art. 8 della Convenzione derivano obblighi positivi tesi a garantire il “rispetto effettivo della vita privata o familiare”. Questi obblighi possono giustificare l’adozione di misure per il rispetto della vita familiare nelle relazioni tra gli individui, e, in particolare, la creazione di un “arsenale giuridico” adeguato ed efficace per garantire i diritti legittimi delle persone interessate e il rispetto delle decisioni dei Tribunali. Tali obblighi positivi non si limitano al controllo a che il bambino possa incontrare il suo genitore o avere contatti con lui, ma includono l’insieme delle misure preparatorie che permettono di raggiungere questo risultato. In particolare, per essere adeguate, “le misure deputate a riavvicinare il genitore con suo figlio devono essere attuate rapidamente, perché il trascorrere del tempo può avere delle conseguenze irrimediabili sulle relazioni tra il fanciullo e quello dei genitori che non vive con lui”. Non deve, dunque, trattarsi di misure stereotipate ed automatiche.

Sempre la Corte Europea ha poi condannato l’Italia con sentenza del 15/9/2016 (Affaire Giorgioni/Italia), così come con precedente sentenza del 23/6/2016 (Affaire Strumia/Italia, avente ad oggetto una vicenda analoga a quella del caso Giorgioni), per violazione dell’art. 8 CEDU, in ragione della mancata tutela del diritto di visita del padre nei confronti della figlia nei lunghi sette anni di vicenda giudiziaria tra le parti. Anche in tale caso la risposta alle esigenze di tutela rappresentate dal padre alle autorità interne era stata, secondo la Corte, debole, lenta e inadeguata, tanto da pregiudicare in via definitiva la possibilità di un recupero del rapporto del padre con la figlia. Questa ultima, come risulta dalla sentenza, essendo cresciuta sotto l’influenza della madre sin dalla tenera età e senza poter avere contatti significativi con il padre, aveva consolidato un significativo senso di rifiuto e avversione verso la figura paterna, tale da far fallire qualsiasi progetto di riavvicinamento.

I diritti fondamentali della persona, come quello ai legami familiari ed effettivi, richiedono, affinché la loro tutela sia effettiva, che coloro che operano nel settore della famiglia, tanto nell’ambito del potere giudiziario quanto nell’ambito dei servizi di assistenza sociale sul territorio, intervengano piuttosto che, come spesso accade, con l’inserimento dell’ennesima “pratica” nell’iter processuale o burocratico che astrattamente le spetta, con misure tempestive e pensate per risolvere, in concreto e con immediatezza, quelle difficoltà che, di volta in volta, risultano maturate nell’ambito della famiglia in crisi.

Con la risoluzione del 2/10/2015, il Consiglio d’Europa invitava, tra l’altro, gli Stati membri a prevedere, nelle proprie legislazioni, i piani genitoriali e a promuovere non solo la pari responsabilità genitoriale, ma anche l’affido materialmente condiviso (definito, nel documento fondante, come la forma di affidamento in cui i figli trascorrono, dopo la rottura della coppia genitoriale, tempi più o meno uguali con ambedue i genitori). La risoluzione nasceva da una accurata verifica delle varie legislazioni nazionali in tema di affido e presentava tre punti cardine, come sottolineava il Dott. Vittorio Vezzetti, medico pediatra, autore di una ricerca sugli effetti – fisici e psicologici – della separazione sui figli minori: in tutta l’area afferente al Consiglio d’Europa esistono diffuse e gravi forme discriminatorie nei confronti della genitorialità paterna; le prassi giudiziarie sono estremamente diverse da Stato a Stato; la letteratura scientifica ha chiaramente e inequivocabilmente dimostrato che i figli minori di genitori separati vivono meglio se trascorrono tempi più o meno uguali con mamma e papà.

Rimbomba, lontana ma più assordante che mai, sempre la stessa domanda, il nostro incipit… ma cosa è stato fatto negli ultimi cinque anni? O, forse, siamo ancora fermi a quella sonora “bocciatura” del 2015 letta, così quasi per caso, dallo scrivente lettore su una ormai ingiallita pagina dell’Avvenire?

Se ci sentiamo di definire “innovativa” e “straordinaria” una pronuncia come quella resa dal Tribunale di Matera nel 2018, forse dovremmo avere la consapevolezza del fatto che siamo rimasti fermi a quella bocciatura senza che siano stati fatti concreti passi avanti. O, forse, tanto è stato fatto, ma tantissimo c’era da fare e, quindi, siamo ancora persi dentro il nebuloso caos di disquisizioni giuridiche, molte volte di parte (o partitiche?!) e troppo spesso lontane dalle reali esigenze del substrato sociale cui si rapportano, che, purtroppo, ancora non hanno consentito al nostro Paese di eccellere fra i Paesi più “evoluti” in materia di diritto di famiglia, in particolare di primeggiare sul campo dell’affido condiviso e della salvaguardia dell’impianto relazionale umano che questo nasconde.

Perché si possa parlare davvero di un passo avanti e realizzare quell’obiettivo più volte sollecitato dalla Corte Europea, dal Consiglio d’Europa, ma, prima ancora, dai singoli casi umani e personali che quotidianamente vengono sottoposti all’attenzione dei nostri Giudici, è necessario che l’affido non sia solo “legalmente”, ma anche, se non soprattutto, “materialmente” condiviso. La “condivisione” non deve restare solo un mero enunciato di principio, come avviene, ancora oggi, nella maggior parte dei casi in Italia, ma si deve tradurre in una prassi concreta, sentita, intimamente, come esigenza da tutte le parti coinvolte, purtroppo, nella difficile vicenda umana di una famiglia in crisi, di una famiglia che si disintegra: una uniformità di coscienza sociale radicata su tutto il territorio nazionale che, al momento, sembra ancora non essere adeguatamente diffusa.

Ma perché questo accada è necessario, con la collaborazione, l’impegno, la consapevolezza, la coscienza e il coinvolgimento (professionale ed emotivo) di tutti i protagonisti del difficile momento di una disgregazione familiare, fare un lungo passo avanti, nel senso delle legislazioni più evolute in materia e nel verso di una comune sentita “educazione” sociale, affinché quella “bocciatura” del nostro Paese del 2015 possa essere (ri)letta davvero come un lontano ricordo e non, invece, essere sentita più attuale di quanto non possa sembrare da quell’umile, svagato lettore di quella ingiallita pagina dell’Avvenire.

* Avvocato. ISP Bari