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L’insegnamento è donna


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di Silvana Bisogni *

E’ stato pubblicato, il 6 marzo scorso, il Rapporto CNEL – ISTAT dal titolo “Il lavoro delle donne tra ostacoli e opportunità” che offre uno spaccato, complesso e articolato, della posizione delle donne sul mercato del lavoro. Emergono novità e conferme, dalla crescita dell’occupazione alla diminuzione della disoccupazione, le differenze territoriali in Italia e il divario con gli altri Paesi europei, i livelli di istruzione, i vincoli familiari, la vulnerabilità lavorativa, la inattività, la concentrazione in specifici settori professionali, la segregazione orizzontale e verticale delle professioni.

Il Rapporto conferma che uno degli settori che tradizionalmente occupa un notevole numero di donne è senz’altro il sistema dell’istruzione e della formazione superiore e della ricerca, tanto che si parla di “femminilizzazione” del sistema, anche se, al suo interno, l’articolazione è molto variegata con risultati in forte contrasto tra di loro.

Il tema della femminilizzazione del sistema dell’istruzione è stato ed è tuttora molto discusso sia a livello europeo che italiano, data l’ampiezza del fenomeno e delle criticità che periodicamente tornano alla ribalta. ISP notizie ha già dedicato alcuni articoli sull’argomento, tra cui, molto significativo, l’intervento di un maestro, che si autodefinisce “Mosca bianca”.  In quegli articoli sono state evidenziate le radici storiche, culturali, sociali ed economiche. L’intento di questo nuovo intervento è costituito dalla necessità di fare il punto della situazione, allargando, ove possibile, l’orizzonte al sistema dell’insegnamento non solo scolastico.

Il problema della promozione delle pari opportunità e inclusività nell’istruzione e nella formazione è stato più volte affrontato a livello europeo. Di recente la “Risoluzione del Consiglio su un quadro strategico per la cooperazione europea nel settore dell’istruzione e della formazione verso uno spazio europeo dell’istruzione e oltre (2021-2030) 2021/C 66/01” punta a definire le priorità strategiche 2021-2030 e, nel ridisegnare le azioni dedicate alla scuola, afferma: “Le professioni tradizionalmente dominate da uomini o donne dovrebbero essere ulteriormente promosse presso le persone del sesso sottorappresentato. È inoltre necessario adoperarsi ulteriormente per conseguire un adeguato equilibrio di genere nelle posizioni dirigenziali negli istituti di istruzione e formazione”. Nella sezione dedicata alle azioni strategiche per l’area docenti e formatori, la Risoluzione del Consiglio europeo evidenzia l’urgenza di “Adoperarsi per ridurre gli squilibri di genere a tutti i livelli e in tutte le tipologie di professioni connesse all’istruzione e alla formazione”.

Nel 2022 l’OCDE ha pubblicato Indicateurs de l’education à la loup. Pourqoi y a–t-il plus de femmes que d’hommes dans l’enseignement?  in cui denuncia gli squilibri nei Paesi dell’OCDE: le donne rappresentano mediamente il 70% del corpo docente, sia pure con rilevanti differenze tra i vari livelli di insegnamento, e tra i vari Paesi.

  1. Il sistema dell’istruzione in Italia

Secondo i dati del Ministero dell’Istruzione e del Merito, nell’anno scolastico 2024/2025 gli studenti nelle scuole italiane sono stati 7.073.587, distribuiti in 362.115 classi, suddivisi tra 785.056 nella Scuola dell’Infanzia, 2.170.746 nella Primaria, 1.498.498 nella Scuola secondaria di I grado, 2.619.287 nella scuola secondaria di II grado (il 51,4% nei Licei, il 31,8% negli Istituti tecnici e il 16,8% negli Istituti professionali.

A garantire il diritto all’istruzione di tutti questi studenti, nel sistema italiano sono attivi 1.023.884 docenti dipendenti, tra cui la presenza femminile è innegabilmente preponderante:

SCUOLA Numero Maschi Femmine
Pre-Primaria 185.000 – 98,7%
Docenti di scuola  Primaria 308.126 4,6% 95,4%
Docenti di scuola secondaria inferiore 208.378 20% 79%
Docenti d scuola secondaria superiore 322.380 35,2% 64,7%

Se, dunque, le donne hanno raggiunto un livello altissimo di presenza nella istituzione scolastica, va tuttavia sottolineato che il divario di genere nell’insegnamento aumenta con il decrescere del grado scolastico (più giovani sono gli studenti, più alto è il numero delle insegnanti): infatti sono la totalità della scuola dell’infanzia, il 95,4% nella scuola primaria, il 79% nella scuola secondaria di primo grado, il 64,7% nella scuola secondaria superiori. Vi è inoltre un’alta presenza femminile nelle aree linguistico-letterarie (l’80%) e significativamente più bassa nelle aree scientifico tecnologiche. All’opposto, la presenza maschile tra i docenti aumenta tra un grado scolastico all’altro: assenza nella scuola per l’infanzia, il 4,6% nella scuola primaria, il 20% nella scuola secondaria di I grado, il 35% nella scuola secondaria di II grado. Ma qualcosa sta lentamente cambiando. A partire dall’anno scolastico 2015-2026 tra i docenti più giovani (under 35) è aumentata la presenza maschile soprattutto nelle scuole secondarie (inferiore e superiore).

La supremazia numerica femminile si assottiglia se si considera la presenza nelle cariche più alte: ad es. tra i dirigenti scolastici. Per l’anno scolastico 2025-2026, secondo una nota dell’Associazione Nazionale Presidi, il Ministero dell’Istruzione e del merito prevede un organico di 7.401 dirigenti scolastici, distribuiti su altrettante istituzioni scolastiche, cui vanno aggiunte 73 sedi in deroga. Ebbene, le donne rappresentano solo il 45% tra i presidi.

In un confronto a livello internazionale, il nostro Paese è ai primi posti per tasso di occupazione femminile delle cattedre tra i 27 Paesi della Ue: una percentuale di donne superiore si trova solo in Lituania (97,1), Ungheria (97) e Slovenia (96,9). Lettonia (82,7%), Bulgaria (79,3). Il Paese con il numero di docenti più bilanciato per genere è la Danimarca, ma anche lì nell’istruzione primaria le donne raggiungono il 69,1%.

Il fenomeno della crescente femminilizzazione dell’insegnamento investe dunque tutti i Paesi economicamente più sviluppati, e suscita non poche preoccupazioni perché secondo alcuni comporterebbe un certo impoverimento della qualità dell’insegnamento soprattutto nell’area delle discipline tecnico-scientifiche, essendo i laureati maschi in tali discipline attratti da altre professioni, più gratificanti e meglio retribuite. La scarsa presenza di uomini tra i docenti in tutto il percorso di studi preuniversitario demotiverebbe inoltre gli studenti maschi dall’intraprendere questa professione, percepita ormai come femminile.

  1. Il sistema della formazione professionale

Anche un altro comparto educativo, la formazione professionale, mostra un processo di femminilizzazione, sia pure con numeri più contenuti.

Una ricerca INAPP (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche) restituisce la distribuzione per generi: il 60% è composto da donne, il 40% da uomini, un dato che merita di essere analizzato in comparazione con il settore dell’istruzione. L’incidenza del personale femminile è aumentata negli ultimi anni e tale incremento è destinato ad aumentare nel prossimo futuro. Infatti, gran parte degli indicatori, quali l’età, l’anzianità di servizio, il trend delle cessazioni e del reclutamento, portano a prevedere che le donne diventeranno sempre più presenti nel sistema formativo. Contrariamente infatti al mondo della scuola, la componente femminile ha da sempre rappresentato una minoranza nel campo della formazione professionale.

  1. Il sistema della formazione superiore e della ricerca

E’ ormai ampiamente riconosciuto il ruolo che le scelte di tipo universitario provocano per l’immissione nel mondo del lavoro e, di conseguenza, anche per l’avvio di carriere in ambito accademico. Il tema della segregazione formativa è stato ampiamente trattato in studi e ricerche, ma sembra essere ancora molto attuale nell’approccio al passaggio da periodo formativo a lavoro

Lo svantaggio delle donne rispetto agli uomini non si limita semplicemente alla probabilità di trovare un’occupazione ma sembra investire anche il piano della qualità del lavoro. Nel mercato del lavoro esiste un riconoscimento non uniforme delle lauree: le lauree più richieste dal mercato sono quelle nei settori scientifici (ingegneria, farmaceutica, economico-statistico), a maggior afflusso maschile e ritenute più qualificate in termini di prestigio e di valore economico; quelle meno richieste sono nei settori umanistici (lettere, filosofia, letteratura straniera), a maggior afflusso femminile. Gli uomini hanno la possibilità di spaziare in un ventaglio di posizioni professionali molto ampio, le donne sono occupate in un numero molto ristretto di campi lavorativi, con una concentrazione forte nel settore educativo e nei lavori del terziario.

La differenza di genere opera a due livelli: una divisione verticale (disparità di prestigio e retribuzione) e una divisione orizzontale (occupazioni maschili-occupazioni femminili). Nonostante i cambiamenti in corso e la conquista di posizioni di prestigio, è opinione diffusa che le ragazze si autoescludono dallo studio di alcune discipline non tanto per mancanza di interesse, quanto piuttosto perché hanno interiorizzato la difficoltà, in quanto donne, ad accedere a determinate professioni di cui quei percorsi formativi costituiscono lo sbocco naturale, oltre alla consapevolezza del proprio ruolo sociale e familiare che può ridimensionare le proprie aspirazioni lavorative.

A dimostrazione di quanto appena sostenuto, si citano dati da cui emerge che il 95% delle immatricolazioni nei corsi di laurea che porteranno a lavorare nell’insegnamento, sono ragazze, l’83% dell’area linguistica e l’82% dell’area psicologica; mentre nel settore scientifico il 67,4% delle immatricolazioni sono maschili, come il 76,7% dell’area di ingegneria.

Ad ulteriore conferma, nel 2023 i laureati nelle varie discipline si sono suddivisi tra:

LAUREATI Corsi di laurea di

I livello

Corsi  di laurea magistrale di II livello
M F M F
Educazione e formazione 1.037 11.704 531 5.612
Arte e design 2.180 5.205 1.074 2.760
Letterario-umanistico 2.242 5.837 2.758 5.026
Linguistico 1.953 11.247 1.239 7.543
Politico-sociale e comunicazione 8.066 12.206 3.850 7.366
Psicologico 1.829 7.604 1.568 6.864
Economico 19.633 17.164 12.592 12.385
Giuridico 3.700 2.918 38 114
Scientifico 6.050 9.650 5.831 8.431
Informatica e tecnologie ICT 2.893 491 1.381 372
Architettura e ingegneria civile 3.577 2.390 3.288 3.057
Ingegneria industriale e dell’informazione 18.674 6.356 15.198 5.451
Agrario-forestale e veterinario 2.412 2.064 1.415 1.257
Medico-sanitario e farmaceutico 4.777 15.371 2.349 3.839
Scienze motorie e sportive 6.728 3.144 2.320 1.088
Totale 66.278 91.056 43.370 54.904

I dati evidenziano le criticità connesse alle scelte universitarie da parte delle donne. Una delle conseguenze è anche la difficoltà ad entrare nel novero della carriera in ambito universitario.

Nel sistema della formazione superiore e della ricerca la situazione dei docenti è diversa rispetto agli altri sistemi formativi: la presenza femminile è, nel complesso inferiore a quella maschile (ISTATDATI, 2019).

LIVELLO MASCHI FEMMINE TOTALE
Docenti ordinari 10.291 3.394 13.685
Docenti associati 13.535 8.748 22.283
Ricercatori 10.329 9.129 19.458
TOTALE 34.155 21.271 55.426

La presenza femminile tra docenti ordinari, docenti associali e ricercatori si attesta al 38,8%. Ma, mentre si mantiene a livello quasi paritario tra i ricercatori, scende al 28,8% tra i docenti ordinari.

Questa situazione incide anche sulle scelte per la elezione dei rettori. Attualmente sono a capo di università 17 donne su 85 atenei partecipanti alla CRUI (Conferenza dei rettori delle università italiane, peraltro presieduta da una donna) pari al 20%. Le donne guidano università di grande prestigio e di eccellenza riconosciuta a livello internazione da Qs World University Ranking (Politecnico di Milano, Università La Sapienza di Roma, l’Università di Padova) ed una popolazione studentesca di 517.294 individui, incidendo per il 26,4%.

Eppure le carriere delle donne in questo settore sono molto più fragili, il che rende molto più difficile raggiungere ruoli apicali. Il Rapporto ANVUR 2023 sottolinea che la presenza femminile tra i rettori delle università italiane, che pure è andata gradualmente ma costantemente aumentando, costituisce un fenomeno ancora molto limitato.

Lo studio She figures 2018 (pubblicato dalla Commissione europea nel 2019) fornisce una serie di indicatori sulla parità di genere nella ricerca e nell’innovazione a livello paneuropeo. Mira a fornire una panoramica della situazione in materia di parità di genere, utilizzando un’ampia gamma di indicatori per esaminare l’impatto e l’efficacia delle politiche attuate in questo ambito.

Dal Rapporto emerge che si sta verificando un sensibile miglioramento quantitativo di donne che intraprendono la carriera universitaria, ma al contempo permangono criticità nel passaggio tra la formazione e l’avvio della carriera accademica e, ancor di più, verso le posizioni apicali, in cui la disparità di genere è evidente. Per le donne la precarietà è più forte, le retribuzioni sono più basse, hanno maggiori difficoltà ad essere riconosciute come autrici di invenzioni brevettabili e minori opportunità di reperire fondi per le loro ricerche.

  • Sociologa dell’educazione. ISP Roma

 

AI LETTORI: la Rubrica “Diritto e … rovescio” a cura dell’Avv. Gianluca Aresta riprenderà nel prossimo numero.

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