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Madri pronte a tutto

di Maurizio Quilici

L’ultimo caso del quale sono venuto a conoscenza è di pochi giorni fa: lui è un padre quarantenne, divorziato e risposato, con una figlia – una bambina di 9 anni – avuta con la ex moglie. Ho lavorato con lui e lo conosco bene. Cerca di fare il padre e di farlo nel modo migliore, senza smancerie da “mammo” ma con affetto e presenza, nonostante gli ostacoli frapposti dalla sua ex.

Qualche settimana fa la bambina va a casa del padre con una nota di demerito sul quaderno e il padre la rimprovera e la mette in punizione. Avrà esagerato con la severità? Non lo so. So che la bimba torna a casa piangendo e si sfoga con la madre. E qualche giorno dopo l’uomo viene convocato in Questura e informato che contro di lui c’è un esposto per maltrattamenti nei confronti della figlia. Lui è comprensibilmente sconvolto, si chiede perché. Possibile che l’episodio della punizione sia stato la “goccia” che ha fatto scattare la decisione della madre? Non dovrebbe esserci alcun nesso, naturalmente, ma chissà… Purtroppo certe madri sono pronte a tutto pur di “impossessarsi” – è la parola giusta – dei figli in caso di separazione. Anche certi padri, si dirà.

E’ vero, ma le statistiche e la mia esperienza mi suggeriscono che sono meno frequenti, forse – non lo escludo – perché hanno meno frecce al loro arco. Infatti,  una eventuale denuncia per abuso o molestie sessuali commessi da una madre su un figlio (esistono anche questi casi, purtroppo) troverebbe poco credito e cadrebbe nel vuoto.Da molti anni ormai – diciamo da una ventina – l’escamotage di denunciare l’ex marito o compagno per abuso sessuale sulla figlia (so anche di casi in cui, essendoci solo un figlio maschio, la denuncia è stata presentata ugualmente, tanto…) è divenuta uno degli strumenti “classici” nel repertorio di quelle madri che decidono scientemente di cancellare il rapporto tra padre e figli. Uno dei primi ad accorgersi di quanto stava accadendo fu un giudice, Paolo Vercellone, docente di Diritto minorile, Presidente del Tribunale per i minorenni di Torino e poi giudice di Cassazione. Nella prefazione al libro Il bambino tradito (Carocci, 2000), Vercellone sottolineava “l’anomalo aumento delle denunce da parte della moglie nei confronti del marito o del marito nei confronti del nuovo partner della moglie in occasione della rottura della coppia. E’ poco credibile che tanti padri fino allora tranquilli diventino incestuosi subito dopo la separazione e carezzino morbosamente la figlia non appena viene a trovarli in occasione del diritto di visita: sicuramente v’è almeno, nella denuncia contro il coniuge separato, un aspetto di vendetta che poco ha a che vedere con l’amore verso il figlio”.

Nello stesso anno Fabio Canziani, allora Direttore della cattedra e della scuola di specializzazione in neuropsichiatria infantile dell’Università di Palermo, nel suo libro I figli dei divorzi difficili (Sellerio, Palermo 2000) scriveva: “… anche in Italia, con sempre maggiore frequenza, si verificano, nelle cause di divorzio, accuse di abuso sessuale sui minori”. “L’esperienza peritale” – aggiungeva – “dimostra però che una buona parte delle querele è priva di fondamento”. A distanza di 16 anni questa “buona parte” può meglio essere quantificata. Per Gian Ettore Gassani, Presidente dell’AMI, Associazione Matrimonialisti Italiani, il 70% delle denunce si risolve, “sebbene dopo anni di perizie e controperizie, con archiviazioni, prosciolgimenti o assoluzioni” (I perplessi sposi, Aliberti 2011). Addirittura nel 99,6% dei casi – stando a una ricerca svolta dalla associazione Gesef (Genitori Separati dai Figli) dal dicembre 1998 al dicembre 2006, la denuncia di molestia o abuso sessuale sui figli è stata archiviata o il genitore è stato assolto. Da notare che su un campione di 26.800 padri presi in esame, il 33% era stato oggetto di denuncia. Dalla stessa ricerca emerge che “in nessun caso la parte denunciante ha subito conseguenze di carattere penale” (Iaia Caputo, Il silenzio degli uomini, Feltrinelli 2012). Analoga osservazione da parte di Gassani: i magistrati “troppo spesso si limitano a scagionare il falso pedofilo, magari dopo tanti anni, senza tuttavia verificare il dolo e il movente dei protagonisti concorrenti nel reato di calunnia”.

I giudici, ormai, sanno bene che la stragrande maggioranza delle denunce fatte in occasione della separazione sono false, ma naturalmente non possono che seguire un percorso di grande cautela, che comprende indagini e perizie e richiede – così vanno le cose in Italia – tempi lunghissimi. Il primo provvedimento, e non potrebbe essere altrimenti, è quello di vietare gli incontri padre-figlia o, nella migliore delle ipotesi, consentirli in ambiente “neutro” e “protetto”, che vuol dire in una struttura pubblica alla presenza di un assistente sociale o figura analoga. E’ esattamente quello che la madre voleva. Passeranno molti mesi, più spesso alcuni anni, prima che la giustizia segua il suo corso. Come dicevo, quasi sempre il padre viene assolto, oppure è prosciolto, o ancora il giudice dispone l’archiviazione. Ma il rapporto tra genitore e figli sarà quasi certamente compromesso e il recupero – se ci sarà – sarà lungo e doloroso. E’ il secondo risultato a cui mirava la madre.

Un’accusa così infamante provoca nel padre denunciato una tempesta di sentimenti distruttivi: rabbia, vergogna, disperazione, senso di impotenza… La sua autostima vacillerà, anche se sa di essere una persona pulita. Abbasserà gli occhi, umiliato, ogni volta che qualcuno che è a conoscenza dell’accusa lo fisserà; e se li alzerà sarà per cercare di leggere il sospetto nel volto dell’altro. Si chiederà se gli amici, i colleghi gli credono, se gli crederà il giudice, se la sua innocenza sarà dimostrata. Soffrirà terribilmente per un distacco così ingiusto dalla figlia o dal figlio. E si chiederà che cosa, quella sua creatura, stia vivendo. Già, perché sia chiaro: non è solo l’uomo a subire danni pesantissimi, ma anche il bambino. Per quanto piccolo possa essere, egli capirà – con il sesto senso che è di tutti i bambini – che qualcosa di malsano sta accadendo intorno a lui, sopra di lui. Qualcosa che in qualche modo coinvolge suo padre. Qualcuno gli farà domande, sarà sottoposto a incomprensibili, umilianti visite mediche (il padre di cui ho parlato all’inizio ha saputo che la figlia è stata portata in ospedale dalla madre e ha subito una visita ginecologica).

Una volta accertata la falsità dell’accusa, ci si aspetterebbe una congrua risposta giudiziaria, ovvero un secondo procedimento per calunnia (o diffamazione) seguito da una pena esemplare (il Codice prevede, per il reato semplice di calunnia, ossia senza aggravanti, la pena della reclusione da due a sei anni), tale da scoraggiare il ricorso a così vergognose scappatoie. Ebbene, questo non accade quasi mai. Perché? Uno dei motivi è contenuto – per sommo paradosso – proprio nella legge. In base all’art. 368 del Codice Penale, la calunnia si configura quando qualcuno “incolpa di un reato taluno che egli sa innocente”. Occorre cioè quello che si chiama “dolo generico”, ossia la consapevolezza e la volontà di incolpare un innocente. Se invece il denunciante (ma il reato si compie anche con querela, richiesta o istanza) è convinto della colpevolezza del denunciato, il dolo è escluso e il reato non si realizza. Ora appare chiaro come sia tutt’altro che facile dimostrare il dolo generico e come invece sia facile sostenere, con un buon avvocato, la assoluta buona fede e convinzione di colpevolezza. Certo, le accuse vanno provate, né dovrebbe bastare dire “mi pareva” o “ero convinta”, e tuttavia vige praticamente l’impunità per chi si macchia di questo odioso stratagemma. Il che mi sembra stridere con la severità che viene adottata nei confronti dei padri separati, per i quali ora è previsto anche il carcere qualora non adempiano agli obblighi di mantenimento stabiliti dal giudice (obblighi, sia chiaro, sacrosanti, ma che a volte non tengono conto delle situazioni reali).

Un altro motivo deriva, io credo, dalla diffusa convinzione (che alberga anche nei giudici) che abusi sessuali e, più genericamente, atti di violenza e maltrattamenti nei confronti dei bambini siano opera dei padri e non delle madri (ci sarebbe molto da dire sulla “mistica della maternità” che ancora pervade il nostro Paese). Ma le statistiche – basate su ricerche rigorose – disegnano un quadro diverso e totalmente ignorato: nelle situazioni di abuso su un minore (fisico, sessuale, psicologico…) risulta responsabile la madre nel 46,8% dei casi, il padre nel 37,6% (Cleopatra D’Ambrosio, L’abuso infantile, Erickson 2010).

 Credo che nessuna tra le molte iniziative alle quali il genitore “convivente” o “collocatario” in una separazione (il termine “affidatario” non esiste più, ma la sostanza è sempre quella) può ricorrere nel tentativo di cancellare la figura del padre sia così gravida di conseguenze per padre e figlio. Ma forse sbaglio. Forse si può fare di peggio. A Como Daniela Rho è accusata, assieme al suo amante, di aver fatto uccidere il marito nell’ambito di un diabolico progetto di screditamento che doveva servire a farsi affidare in via esclusiva le figlie (ne trovate la vicenda nella rubrica “Notizie in breve”). Per la verità lei voleva “solo” che fosse gambizzato, ma pazienza… E tuttavia, non so davvero se quella di un padre accusato di una simile, mostruosa violenza (o, Dio ne scampi, condannato innocente) possa continuare a dirsi vita.

* Presidente dell’I.S.P.