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Maschi a rischio: l’infortunistica stradale

La nostra collaboratrice Silvana Bisogni dà inizio con questo numero a una serie di articoli su un tema drammatico e trascurato: la elevata mortalità maschile, specialmente fra i giovani. Un tema inevitabilmente legato alla paternità, che del maschile costituisce l’aspetto più significativo, e che tocca un po’ tutti: genitori, insegnanti, educatori, politici… Tocca, naturalmente, anche le istituzioni, come la sanità, e specialmente quelle delegate alla popolazione giovane, come la scuola. In questo primo articolo, l’infortunistica stradale.

di Silvana Bisogni *

Il ruolo dell’intero sistema delle comunicazioni, dalla stampa quotidiana e periodica alla radiotelediffusione, è fondamentale e insostituibile per garantire il diritto del cittadino all’informazione. Condiviso positivamente questo concetto, non si può non constatare che tutti i mezzi della comunicazione sociale, compresi i social network, tendono a enfatizzare alcuni temi per pochi giorni “dimenticando” l’esigenza di approfondimento su altri temi costantemente relegati alla cronaca e all’attualità, ma poco o nulla affrontati con seri approcci che possano suscitare attenzione ed anche senso critico presso l’opinione pubblica.

E’ il caso del tema centrale di questa serie di articoli. Premetto che il tema è molto problematico, sicuramente inquietante, per certi versi duro da accettare: è il tema della mortalità precoce presso la popolazione giovane (fino ai 41 anni), in particolare di sesso maschile. La ricchezza dei dati statistici ufficiali evidenziano le linee di tendenza di fenomeni drammatici, che sfuggono all’opinione pubblica in tutta la loro consistenza, proprio perché pochissimo affrontati.

PREMESSA. Si parte da dati demografici. Contrariamente a quanto diffusi nell’immaginario collettivo per cui nascono più femmine che maschi, i dati demografici indicano che in Italia nascono più bambini di sesso maschile che femminile: la proporzione è di 107 maschi ogni 100 femmine. Questa superiorità numerica si mantiene fino ai 41 anni di età, poi la situazione gradualmente si capovolge e le donne restano più numerose fino alla tarda età (dati ISTAT, 2019). Quali sono le cause di questo fenomeno? La letteratura scientifica, le periodiche ricerche e i dati statistici concordano su una motivazione: la morte precoce di molti giovani di sesso maschile.

Per individuare le cause del drammatico problema, si è scelto un approccio metodologico che consiste nel disaggregare i dati statistici disponibili, provenienti da diverse rilevazioni, e cogliere quegli elementi che pongono uomini e donne sullo stesso piano rispetto a situazioni e condizioni di vita. Sono quindi oggetto di analisi le situazioni in cui gli atteggiamenti e i comportamenti conseguenti consentono scelte personali di valori e stili di vita e sono quindi confrontabili.

Il primo articolo è dedicato alla infortunistica stradale, tra le maggiori cause della mortalità giovanile.

IN EUROPA

L’European Road Safety Observatory ha pubblicato l’Annual Accidents Report 2018 sulla incidentalità stradale nei Paesi membri dell’Unione Europea, in cui sono stati registrati complessivamente 1.099.032 incidenti, con un maggiore impatto in Germania (308.145), in Italia (174.933), in Spagna (102.372), in Gran Bretagna  (142.846), in Francia  (57,515). Le vittime sono state 25.651, più numerose in Germania, in Spagna, in Italia, in Polonia, in Gran Bretagna. Quanto ai mezzi di trasporto, il 47% delle vittime è stato provocato da auto e taxi, il 14% dalle moto, l’8% dalle biciclette, il 3% dai ciclomotori. Vanno poi considerati come vittime della strada anche il 22% di pedoni. I camion provocano il 2% degli incidenti mortali, pari a 5.527 individui, soprattutto in Polonia, Germania, Francia, Italia, Romania, Gran Bretagna.

In assoluto la maggior parte delle vittime ha una età compresa tra i 18 e i 24 anni e tra i 25 e i 49 anni (34,1%). Quanto al genere, le donne vittime sono state 6.097 rispetto a 18.952 maschi.

La maggior parte degli incidenti avviene nei mesi tra giugno e ottobre. Per i pedoni i mesi più pericolosi risultano luglio e agosto. Gli incidenti avvengono soprattutto tra il venerdì e la domenica, in particolar modo nelle ore pomeridiane (tra le ore 14 e le 16), più che nelle ore notturne,

Le condizioni meteorologiche possono essere concausa della incidentalità ma non come si ritiene abitualmente: risulta infatti che il 71% degli incidenti avviene in condizioni meteo buone (clima asciutto) e solo per il 9% in situazioni di pioggia o di vento forte (1%).

Lo stesso Rapporto 2018 segnala che gli incidenti mortali o con feriti gravi non colpiscono solo le vittime dirette ma anche la società nel suo insieme, con un costo socioeconomico stimato in 120 miliardi di euro all’anno.

IN ITALIA

Le rilevazioni degli incidenti stradali con lesioni a persone sono effettuare da Polizia stradale, Carabinieri, Polizia Provinciale, Polizia locale, Guardia di Finanza. Contributi in tal senso provengono anche dall’ACI e dalle Società di Assicurazioni.

Secondo le rilevazioni effettuate dall’ISTAT e dall’Automobile Club d’Italia (Incidenti stradali 2018) gli incidenti stradali con lesioni alle persone in Italia sono stati 172.533, con 3.334 vittime (tassi di mortalità standardizzati per 10.000 abitanti 0,84 per i maschi e 0,21 per le femmine) e 242.919 feriti, di cui 17.300 feriti gravi. In quest’ultima categoria rientrano il 68% tra gli uomini e il 32% tra le donne.

In base ai veicoli, le vittime sono state 1.423 per le autovetture (42,7%), 687 per i motocicli (23,8%), e 219 per le biciclette (6,6%), 189 per i mezzi pesanti, 108 per i ciclomotori, mentre i pedoni coinvolti sono stati 612 (18,4%)[1] [1].

Nello specifico, l’identikit del motociclista o ciclomotorista vittima è ben definito: uomo (appena 24 le donne decedute) e di età compresa tra i 30 e i 44 anni (191, quasi uno su 4); nella gran parte dei casi si tratta di impatti con autovetture [2] (6.520 scontri con ciclomotori e 26.963 con motocicli, che hanno causato rispettivamente 77 e 346 morti).

Altro elemento di riflessione: l’ANIA Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici e l’ACI (nella Giornata Internazionale delle persone con disabilità) rivelano che tra i feriti negli incidenti stradali, ogni anno 20.000 persone (con lievi fluttuazioni quantitative) riportano livelli di disabilità che resteranno per tutta la vita. E’ un dato importante, che coinvolge non solo in termini umani e psicologici, ma che ha anche un notevole risvolto a livello economico per i problemi connessi alla assistenza sanitaria e sociale in termini di sostegno alla disabilità, interventi di cura e assistenza, che spesso coincide con tutto il resto della vita.

Il costo sociale degli incidenti stradali è pari a 18,6 miliardi di euro, vale a dire l’1% del PIL[2] [3].

MORTI E FERITI IN INCIDENTI STRADALI PER SESSO E CLASSI DI ETA’

MORTI FERITI
Età MASCHI FEMMINE MASCHI FEMMINE
15-19 120 22 12.416 6.865
20-24 189 43 16.735 9.604
25-29 198 53 15.007 9.099
30.34 149 38 12.768 7.729
35-39 188 31 12.182 7.417
40-44 199 36 13.290 8.056
Totale 1.043 223 82.398 47.670

Fonte: ISTAT 2019

La Rivista Italiana di Epidemiologia ha pubblicato uno studio del Dipartimento di scienze sanitarie applicate, Sezione di statistica medica ed epidemiologia, Università di Pavia, e del CIRSS, Centro interdipartimentale di studi e ricerche sulla sicurezza stradale, Università di Pavia. Ne emerge uno spaccato allarmante sulle situazioni e sul ruolo dei fattori umani.

 CAUSE DELLA INCIDENTALITA’

Le cause sono fondamentalmente di due tipi.

E’ innegabile che vi siano, ampiamente diffusi su tutto il territorio nazionale, difetti di infrastrutture: scarsa aderenza e cattiva manutenzione del manto stradale, scarsa presenza di barriere laterali di protezione, scarsa manutenzione della segnaletica orizzontale e verticale, spesso mancante o non appropriata, scarsa visibilità dovuta a carente illuminazione e/o alla mancata manutenzione (taglio dell’erba e delle siepi ai bordi della strada), presenza di incroci con scarsa visibilità.

Tuttavia l’87,5% degli incidenti avviene per comportamenti individuali: la distrazione (conversazioni con gli altri passeggeri, ascolto della musica ad alto volume), l’uso improprio delle cuffie, il mancato rispetto delle regole di precedenza o del semaforo, la velocità troppo elevata, mancata distanza di sicurezza, l’abuso di alcool, stato di stanchezza, mancato utilizzo dei dispositivi di sicurezza a bordo.

Da sottolineare che negli ultimi anni è drammaticamente aumentata l’incidentalità per:

Gli ultimi dati disponibili del 2019 di oltre 3 milioni e mezzo di punti patente decurtati, segnalano che i conducenti controllati con etilometri e precursori sono stati 1.264.314 di cui 23.800 in stato di ebbrezza (+ 2,8% rispetto al 2018), praticamente 10 volte in più rispetto alle persone denunciate per guida sotto effetto di sostanze stupefacenti.

Diviene inevitabile, a questo punto, offrire una chiave di lettura “di genere” rispetto alla incidentalità.

L’ANIA sottolinea che esiste una discriminazione sessista nei confronti delle donne conducenti un veicolo: eppure è dimostrata la loro minore sinistrosità rispetto a quella maschile.

In generale, le donne rappresentano il 43% delle vittime di incidenti stradali (decedute o ferite). E la loro percentuale scende addirittura al 37% quando vengono prese in considerazione solo le donne guidatrici. Al contrario, il 62% dei passeggeri deceduti o feriti sono donne: dipende dal fatto che è quasi sempre un uomo a mettersi al volante quando ci sono più persone a bordo. La differenza è particolarmente marcata tra i giovani (15-19 anni e 20-24 anni) e trenta (30-34 anni e 35-39 anni).

Anche nell’ambito delle infrazioni e relative condanne, sono maschi quasi 2 su 3 conducenti che ricevono una multa dopo aver commesso una infrazione, cosi come 3 su 4 sono i condannati per reati stradali.

E’ stato inoltre rilevato dalle Società assicuratrici che uno dei motivi della minore sinistrosità delle donne al volante è il minore abuso di alcol e la maggiore cautela delle guidatrici nel mettersi al volante in condizioni “a rischio”. Nelle analisi effettuate, dopo un sinistro solo il 5% delle donne guidatrici aveva superato il limite di legge, mentre per i maschi questa percentuale risultava dell’11%. La probabilità che un uomo guidi dopo aver superato il limite legale è 4 volte superiore rispetto alle donne.

Ma per quali motivi gli uomini hanno una maggiore tendenza a provocare incidenti e a restarne vittime, con conseguenze più o meno gravi?

Le ipotesi spaziano tra vari ambiti: tra le più accreditate vi sono la fisiologia, l’approccio psicoanalitico e la tradizione culturale.

Alcuni studiosi fanno riferimento alla influenza degli ormoni. Gli estrogeni influenzano il comportamento stradale femminile nel segno dell’attenzione e della sicurezza, mentre il testosterone enfatizza l’istinto maschile alla trasgressione, il gusto della velocità e la litigiosità.

Una rappresentazione psicoanalitica del fenomeno fa riferimento a Sigmund Freud, che considerava l’automobile un’estensione sessuale: più l’auto era potente, più l’uomo si riteneva virile. La moderna psicoanalisi ha abbandonato questa teoria sessuale assoluta, ma a livello simbolico per l’uomo l’auto e la moto rimangono ancor oggi una sorta di divisa che rappresenta la potenza maschile, uno specchio del proprio valore. Si ritiene che l’idea più frequente e più pressante nelle menti dei guidatori maschi (a due o a quattro ruote), sia quella che associa il mezzo ad un oggetto sessuale. Marshall McLuhan definì questi mezzi  “Moglie meccanica”.

Vi è poi il riferimento alla scala dei valori culturali tradizionali. Nell’immaginario collettivo la figura maschile è associata spesso alla sua capacità di essere (o apparire) attivo e trasgressivo, in grado di andare oltre i limiti. Così per l’uomo la sfida ai limiti di velocità sembra simboleggiare un attacco inconscio all’autorità e al potere in genere, ai suoi divieti e alle sue imposizioni, con atteggiamenti e comportamenti che creano forme compensative, come la maleducazione, la spavalderia, la competitività e la spericolatezza. Il fenomeno è denominato road rage (rabbia, collera sulla strada) e il vasto repertorio spazia dalla guida spericolata alle risse fra automobilisti.

A titolo riepilogativo, nell’ultimo decennio, negli anni dal gennaio 2010 al dicembre 2018, in Italia sono stati registrati 1.663.380 incidenti stradali, che hanno provocano 31.332 morti e 2.358.607 feriti, di cui 180.000 disabili permanenti.

A fronte di una situazione di tale gravità ed emergenza, diviene prioritario far acquisire, oltre alla classe politica e alle sue competenze, alle famiglie, alle Agenzie educative, alle Istituzioni, al mondo del Terzo Settore e ai singoli cittadini, una profonda e radicale assunzione di responsabilità culturale e civile, una riappropriazione della funzione di “società educante” di cui – pare – si sono persi i contatti. Ai padri – va da sé – spetta l’importante compito di essere un modello positivo per i figli quando sono al volante: un esempio da introiettare e da seguire un giorno, quando quei bambini avranno l’età della patente.

[1] [4] L’indice di mortalità per i pedoni, pari a 3,2 ogni 100 incidenti per investimento di pedone, è quasi cinque volte superiore a quello degli occupanti di autovetture

[2] [5] I costi sociali degli incidenti stradali, secondo l’human capital approach , sono i costi umani, generati dalla perdita dell’integrità psicofisica, ed i costi a carico della collettività. Questi ultimi comprendono:

* Sociologa dell’Educazione