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Mosche bianche

A ideale corredo dell’articolo di Silvana Bisogni – in questo stesso numero – sulla femminilizzazione del corpo insegnante nella scuola (0,7 per cento di uomini nella scuola dell’infanzia e 3,6 in quella primaria) pubblichiamo la testimonianza di un maestro.

di Stefano Masetti *

Nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria dove un bambino entra a tre anni e ne esce più o meno a undici, gli insegnanti maschi sono le “mosche bianche” o per meglio dire le “quote azzurre” di un mondo in cui (secondo gli ultimi dati Ocse), gli uomini in cattedra stanno lentamente scomparendo, ridotti ormai a una sparuta rappresentanza. Gli ultimi dati parlano di 0,7% di maschi nella scuola dell’infanzia italiana (612 su 87mila!) e del 3,6% nella scuola primaria (10.500 su 250mila). Io, che insegno in questo ordine di scuola da quasi trent’ anni, faccio parte di quell’esigua minoranza.

Si dice che gli uomini siano scoraggiati a entrare nella scuola di base per gli stipendi troppo bassi, per lo sbiadito prestigio sociale della professione e per la scarsa possibilità di fare carriera. Ma forse, in realtà, è soltanto per una sorta di pregiudizio duro a morire. Personalmente, dopo essermi diplomato all’istituto magistrale, mi sono laureato in pedagogia con il chiaro obiettivo di entrare nel mondo nella scuola e nonostante tutte le difficoltà non me ne sono mai pentito. Oggi che ho i capelli bianchi e che mi avvio a diventare nonno, vado ancora fiero di questo mestiere che mi permette di restare eternamente bambino e di continuare a giocare. Certo, è un lavoro difficile che ti costringe ogni giorno a metterti in gioco ed è sicuramente sottopagato, ma allo stesso tempo è molto generoso dal punto di vista della qualità dei rapporti umani e dell’affetto che si instaura non solo con i bambini ma anche con i genitori degli alunni e con le colleghe.

Posso tranquillamente affermare che, da insegnante maschio che lavora in un ambiente monopolizzato dal sesso femminile, non mi sono mai sentito a disagio nel far parte di una minoranza. Anzi, tutte le colleghe e i genitori che ho conosciuto in tanti anni di insegnamento hanno sempre affermato che c’è un grande bisogno di figure maschili nel mondo della scuola.  Io, in particolare, ho la fortuna di lavorare in una “Scuola Senza Zaino” dove si pratica un metodo didattico all’avanguardia che sta conquistando l’Italia. Una scuola dove le parole d’ordine sono soprattutto “accoglienza”, “responsabilità” e “comunità”. Ecco, proprio in questa scuola di comunità non c’è più l’idea che siano soltanto le mamme a occuparsi o a interessarsi dei bambini. Tutti, indistintamente, anche i nonni e i padri vengono coinvolti nella vita della comunità-scuola, spesso con lavori manuali (muratore, imbianchino o falegname). Tuttavia, anche durante i lunghi anni che ho trascorso nella scuola cosiddetta “tradizionale” ho potuto felicemente constatare che la presenza di insegnanti maschi nella scuola primaria è sempre stata accolta con molto favore da tutti. Forse perché questa figura può servire a stemperare un certo approccio troppo “materno”, ansiogeno e protettivo, trasmesso talvolta dalle madri/maestre che non è sempre funzionale allo sviluppo psicologico dell’alunno.

Il luogo comune ci dice che i bambini cercano un adulto maschio con cui confrontarsi perché purtroppo a casa i padri sono assenti. Probabilmente un tempo era così, ma oggi le cose sono cambiate e ci sono padri molto attivi e presenti che spesso si propongono per rivestire il ruolo di rappresentante di classe e si interessano costantemente della vita scolastica dei propri figli. Viceversa, la “poca presenza” all’interno della famiglia, quando c’è, non è una mancanza imputabile al solo genere maschile ma è trasversale. I bambini che ne soffrono hanno genitori dalla vita frenetica, poco abituati a condividere durante la settimana momenti informali con i propri figli, i quali sono fin troppo stimolati e impegnati. La tendenza predominante è quella di delegare la cura e l’educazione dei figli ad altre agenzie formative esterne alla famiglia, tanto che molti bambini hanno un’agenda giornaliera piena di appuntamenti proprio al di fuori della scuola (sport, attività e corsi di ogni genere) che li porta a trascorrere pochissimo tempo con le figure parentali.

 A quel punto, il ruolo dell’insegnante, pur essendo apparentemente neutrale, diventa importante proprio in virtù di questo diverso coinvolgimento affettivo che permette al bambino di instaurare con l’adulto quella fiducia e quel contatto necessari per condividere e sperimentare una diversa e più efficace modalità di comunicazione. A tal proposito, ricordo che, qualche tempo fa, una psicologa che segue uno dei miei alunni maschi (del quale giustamente non ha voluto rivelarmi il nome per motivi di segreto professionale) mi ha confidato che questo piccolo paziente, parlando di suo padre le aveva detto che lo avrebbe voluto più gentile e meno arrabbiato nei suoi confronti. Quando la psicologa gli ha chiesto se lui conoscesse qualcuno al di fuori della famiglia con tali caratteristiche, ha risposto che avrebbe voluto somigliasse al suo maestro di scuola perché gli faceva imparare le cose facendolo divertire e senza essere troppo serioso. La cosa ovviamente, se da una parte mi ha fatto piacere, mi ha anche ricordato che per molti alunni la scuola diventa una sorta di rifugio, un luogo dove ci si può esprimere liberamente e avere quelle attenzioni che non si trovano fra le proprie mura domestiche.

E a proposito di famiglia, mi sembra di capire (anche per esperienza personale) che ormai si è imposto da diverso tempo un nuovo modello educativo, ovvero quello che io chiamo in modo ironico del “poliziotto buono” e del “poliziotto cattivo”. Si tratta di una sorta di rivoluzione copernicana dove, a differenza di un tempo, il ruolo più normativo e autorevole viene spesso interpretato dalle madri, mentre quello meno direttivo e più informale dai padri. Ne consegue che la figura più influente agli occhi dei bambini non è quella imponente e barbuta del maschio, bensì quella della donna. Lo stesso schema, a parer mio, si ripropone nella scuola di base che, per l’età ancora immatura dei bambini (a differenza degli altri ordini di scuola) assomiglia quasi a una famiglia allargata. La figura del maestro maschio, in questo contesto, viene allora vista da molti bambini (maschi e femmine indistintamente)  in modo positivo perché vi ritrovano quella disponibilità al gioco e quel ruolo ludico che spesso a casa, genitori troppo impegnati non riescono più a rappresentare. Ad esempio, nella mia scuola, dove siamo ben tre insegnanti maschi (forse, un caso unico in Italia!) è emblematica in tal senso la funzione del mio collega Luca (cantante, musicista e insegnante di inglese) che con la sua chitarra e le sue allegre canzoni incarna la leggerezza e la spensieratezza di un giullare, come del resto sono spesso chiamato a fare io come “contastorie” e organizzatore di piccole rappresentazioni teatrali.

La figura maschile nella scuola “delle maestre” ha, secondo me, una valenza positiva anche nel rapporto fra i docenti stessi.  Infatti, nel corso degli anni, ho avuto la conferma che le colleghe vedono nella presenza degli uomini all’interno del loro ambiente di lavoro un valore aggiunto, forse perché uomini e donne hanno sì un modo diverso di comportarsi e di pensare, ma nel momento in cui si imparano a riconoscere e ad apprezzare le differenze fra i due sessi, si compensano e si arricchiscono a vicenda.  In un mondo scolastico tutto al femminile, caratterizzato spesso da un’alta dose di rivalità e di competitività, il docile, mansueto e disponibile maestro di oggi può fungere da facilitatore e mediatore proprio in virtù della propria specificità.