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Prima ci separiamo e poi ci sposiamo!

di Gianluca Aresta *

I patti prematrimoniali potrebbero presto diventare realtà anche nel nostro Paese! Di cosa si tratta? Sono accordi tra coniugi contratti prima della celebrazione del matrimonio (in forma di atto pubblico redatto da notaio, alla presenza di due testimoni), con cui i futuri coniugi stabiliscono preventivamente e consensualmente quali saranno i loro rapporti patrimoniali in vista dell’eventuale cessazione del vincolo matrimoniale (separazione, divorzio, cessazione degli effetti civili del matrimonio). Perché? Per fissare anticipatamente le conseguenze della separazione o del divorzio in modo consensuale, evitando articolati e sfibranti contenziosi successivi nella fase più critica del rapporto.

   Da tempo si discute, anche a livello legislativo, in ordine alla possibilità di rendere validi, nel nostro ordinamento, i cosiddetti patti prematrimoniali: all’interno del Disegno di Legge per la revisione del Codice Civile c’era e c’è (anche) l’introduzione degli accordi prematrimoniali in materia di patrimonio, educazione dei figli ed ogni altro tipo di rapporto personale tra i coniugi, con una disciplina che varrebbe sia per le coppie sposate, sia per le unioni civili tra persone dello stesso sesso. I patti prematrimoniali, ancora oggi non disciplinati dalla legge italiana e vietati e ritenuti nulli dall’orientamento della giurisprudenza di legittimità, sono, al contrario, molto diffusi all’estero, soprattutto nei Paesi di tradizione anglosassone.

Gli accordi in questione non riguardano (o meglio possono non riguardare) solo gli aspetti economici e finanziari della coppia, ma anche la gestione di ogni aspetto personale (come la scelta della residenza), nonché l’educazione della prole (ad esempio, la preferenza verso un tipo di scuola o verso un indirizzo educativo). Unico vincolo che deve, comunque, essere rispettato è la salvaguardia di quei diritti fondamentali costituzionalmente garantiti. Ad esempio, non sarebbe possibile una rinuncia al mantenimento in caso di separazione e divorzio, ove uno dei coniugi versi in condizione di necessità e di bisogno; così come, per altro verso, la stipulazione di tali accordi non deve incidere sui diritti e sugli obblighi inderogabili che derivano dal matrimonio (il diritto agli alimenti, il dovere di assistenza morale e materiale, l’obbligo di mantenimento dei figli minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti), né sullo status coniugale, ma dovrebbe disciplinare esclusivamente l’entità e le modalità concrete per la realizzazione dei diritti e doveri “disponibili” (cioè negoziabili) tra coniugi.

Gli accordi prematrimoniali (prenuptial agreements) e i contratti di convivenza (cohabitation contracts) rappresentano, come già detto, una realtà consolidata in ordinamenti stranieri, in particolare nell’ambito del common-law di tradizione anglosassone (Inghilterra, Usa, Australia), dove sono adottati per regolare vari aspetti, patrimoniali e non, della relazione di coppia e della sua eventuale crisi (in contemplation of divorce).

Recentemente anche alcuni Stati dell’area europea hanno cominciato ad adottare questo strumento: in particolare, la Germania ha introdotto nel proprio ordinamento la possibilità per i coniugi (o conviventi) di determinare preventivamente qualsiasi aspetto patrimoniale della loro unione e di un’eventuale separazione (perfino escludendo del tutto la corresponsione di un assegno divorzile), con l’eccezione di clausole (considerate illegittime) riguardanti aspetti particolarmente sensibili come il credo religioso e politico, l’obbligo di fedeltà e la filiazione.

In Inghilterra i prenuptial agreements vengono stipulati dalle coppie prima del matrimonio, per regolare gli aspetti patrimoniali e non patrimoniali del matrimonio e della sua eventuale fase patologica.

In Australia, i prenuptial agreements regolano i rapporti patrimoniali in costanza di matrimonio e quelli in contemplation of divorce; tali accordi devono salvaguardare i soggetti deboli, garantire la formazione corretta del consenso ed essere modificabili.

Negli Stati Uniti i prenuptial agreements sono ammessi e disciplinati ormai da tempo: la regolamentazione è diversa da Stato a Stato, anche se nel 1983 sono stati introdotti principi di    uniformità, cosiddetti Uniform Premarital Agreement Acts, che tutti devono rispettare indistintamente.

In Germania, poi, gli accordi prematrimoniali sono ammessi da dottrina e giurisprudenza. In sede di stipula degli Eheverträge i coniugi possono decidere in merito all’assegno divorzile, rinunciare alla liquidazione delle aspettative pensionistiche e modificare l’importo del mantenimento, ove siano intervenute sostanziali variazioni delle condizioni economiche.

In Spagna, il Codi de familia catalano prevede la possibilità di stipulare patti in previsione della futura ed eventuale rottura del matrimonio.

In Francia gli accordi prematrimoniali non sono ancora ritenuti validi, ma il codice civile dà ampio spazio all’autonomia privata nell’ambito delle convenzioni stipulate durante il matrimonio. A far tempo dal 1999, infatti, sono stati introdotti i P.a.c.s. (pacte civil de solidaritè), contratti di convivenza tipizzati, che prevedono forme di unione alternative al matrimonio (cui possono accedere anche coppie omosessuali) e stabiliscono diritti e doveri delle coppie conviventi che vi ricorrono.

Risulta evidente, da questa breve indagine, che, in materia di accordi prematrimoniali, l’Italia è fanalino di coda in Europa e nel mondo; soprattutto, è fuor di dubbio che l’introduzione degli accordi prematrimoniali in Italia potrebbe rappresentare un ulteriore passo avanti nel riconoscimento di quella autonomia contrattuale dei coniugi affermata con la riforma del 1975, che aveva reso possibile la scelta della separazione dei beni in tema di regime patrimoniale della coppia. Del resto, una indubbia spinta alla loro introduzione (o quanto meno alla apertura di un serio dibattito teso alla affermazione della loro validità nel nostro panorama normativo) è stata data dalla sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione del 2018 in materia di assegno di divorzio.

In realtà, nel nostro Paese la adozione dei patti prematrimoniali era già stata proposta, nel 2014, con una Proposta di Legge (n. 2669) presentato per introdurre nel vigente Codice Civile l’art. 162 bis, per vedere riconoscere ai coniugi la possibilità di disciplinare, in qualsiasi momento, anche prima di contrarre il matrimonio, i loro rapporti patrimoniali, anche, se non soprattutto, nell’ottica di un eventuale scioglimento del vincolo coniugale. La proposta di legge n. 2669/2014 veniva presentata sull’onda del Regolamento dell’Unione Europea n. 1259/2010 e “sostenuta” anche dalla Legge “Cirinnà”.  Nello specifico, in tema di giurisdizione e legge applicabile alla separazione e al divorzio, il Regolamento (UE) n. 1259/2010 del Consiglio del 20/12/2010 aveva introdotto l’opportunità per i coniugi di stabilire, con un preventivo accordo, la legge applicabile alla separazione o al divorzio, tanto al fine non solo di garantire una certezza del diritto, ma anche di evitare ulteriori contenziosi giudiziari.

Il percorso italiano di adeguamento alla tendenza di valorizzazione dell’autonomia privata trovava, per altro verso, una sua prima concretizzazione proprio nella Legge “Cirinnà” del 2016 che, introducendo nel nostro ordinamento i c.d. “contratti di convivenza”, aveva consentito alle coppie non sposate di regolamentare la propria vita in comune. L’approvazione della proposta di legge aveva trovato, però, insormontabili (e, forse, prevedibili) ostacoli sia nella impostazione conservatrice della Suprema Corte di Cassazione, sia nella concezione pubblicistica della famiglia e del matrimonio, sia nel principio di solidarietà familiare che preclude la negoziabilità delle condizioni di separazione e divorzio… Il termine della legislatura ne aveva, però, inevitabilmente compromesso la prosecuzione dell’esame in Commissione.

Diverso, d’altro canto, l’atteggiamento della giurisprudenza nei confronti dei “contratti di convivenza”, considerati validi poiché, fino all’entrata in vigore nel 2016 della Legge Cirinnà (“Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”), non esisteva nessuno strumento per dare giuridicità a questa condizione e regolarne gli aspetti patrimoniali.

Va da sé che le importanti radici storiche cattoliche dell’ordinamento giuridico italiano hanno, da sempre, partorito una profonda reticenza a riconoscere la natura “contrattuale” del matrimonio (persino il codex iuris canonici considera il matrimonio un patto!) e, per altro verso, hanno originato una serie di disposizioni che attestano la parità dei nubendi circa l’impegno e il contributo al menage familiare, da non misurarsi in termini esclusivamente patrimoniali, e che diviene il presupposto per quell’obbligo di solidarietà tra i consorti, che perdura anche in caso di separazione o divorzio (e diviene, eventualmente, oggetto di accordi che le parti sono autorizzate a sottoscrivere in sede di separazione consensuale, sulla cui ammissibilità è chiamato a esprimersi il Tribunale).

Pertanto, nel confronto dialettico fra le diverse forze sociali e politiche mirato alla eventuale introduzione, nel sistema giuridico italiano, degli accordi prematrimoniali il limite alla libertà negoziale tra futuri coniugi continua ad essere costituito dall’indisponibilità dello status coniugale, cioè dal divieto per le parti di stringere accordi che snaturino il vincolo matrimoniale eludendo il rispetto dei suoi principi fondamentali (come l’obbligo di solidarietà tra i coniugi) e legando tanto la volontà di sposarsi quanto quella di sciogliere il matrimonio a una scelta opportunistica (connessa all’adempimento dell’altrui controprestazione monetaria).

Forse allora, a ben vedere, prodromico all’introduzione della validità dei patti prematrimoniali nel nostro sistema normativo resta un serio ripensamento proprio del principio della “solidarietà” tra ex coniugi e l’attribuzione all’assegno divorzile non più di un carattere strettamente assistenziale (cioè di aiuto economico per il coniuge bisognoso), bensì di una funzione compensativa e perequativa, ossia di riconoscimento del contributo fornito dal richiedente alla conduzione del consorzio familiare, sulla base di scelte condivise col partner. Proprio l’entità della parte “perequativa” (eccedente rispetto agli alimenti obbligatori) dell’assegno divorzile, allora, potrebbe diventare l’oggetto “disponibile” di legittimi accordi prematrimoniali (con cui i futuri coniugi decidano di compensare le rispettive posizioni in caso di divorzio).

Da un punto di vista strettamente economico, l’introduzione dei patti prematrimoniali sarebbe coerente con i principi della libera iniziativa economica (art. 41 della Carta Costituzionale) e dell’autonomia contrattuale tra privati, con l’unico limite del rispetto della legge.

Allo stato, la proposta di legge Morani-D’Alessandro (rubricata al n. 2669/2014 come “Modifiche al codice civile e altre disposizioni in materia di accordi prematrimoniali”), presentata, nel corso della precedente legislatura, il 15/10/2014 e in corso di esame in Commissione a far tempo dal 23/2/2017, ove mai approvata, consentirebbe ai futuri coniugi, come nella stessa in origine previsto, di ricorrere alle convenzioni matrimoniali o alla negoziazione, con accordi preventivi, e di stabilire l’attribuzione a uno dei coniugi di una somma periodica o di una tantum; la costituzione di un diritto reale su uno o più immobili, con l’impegno di destinarne i proventi al mantenimento dell’altro coniuge o dei figli, fino a quando costoro non raggiungano una loro indipendenza economica; la rinuncia al mantenimento (ma non agli alimenti) da parte del futuro coniuge; il trasferimento al coniuge, o a terzi, di diritti o beni da destinare al mantenimento e alla cura di figli disabili fino a quando permane lo stato di bisogno, la disabilità o per tutta la vita; la previsione di un criterio di adeguamento automatico delle attribuzioni patrimoniali; la regolamentazione di quanto ricevuto dai coniugi per successione, salvi i diritti dei legittimari.

I patti prematrimoniali, così come, in via propositiva, disciplinati dalla proposta di legge in esame sarebbero sempre modificabili, anche in costanza di matrimonio, purché prima del deposito del ricorso per la separazione personale o della sottoscrizione della convenzione di negoziazione assistita o della conclusione dell’accordo stipulato ai sensi degli artt. 6 e 12 del D. Lgs. n. 132/2014.

Ebbene, la proposta di legge in questione appariva assolutamente chiara nel suo intento, parlando espressamente di «stipula fra nubendi, tra i coniugi, tra le parti di una programmata o attuata unione civile, di accordi intesi a regolare fra loro i rapporti personali e quelli patrimoniali, anche in previsione dell’eventuale crisi del rapporto, nonché a stabilire i criteri per l’indirizzo della vita familiare e l’educazione dei figli». A dispetto delle intenzioni, tuttavia, è abbastanza evidente che, al momento, l’iter di approvazione della proposta di legge appare abbastanza incagliato per poter auspicare, a breve, la nascita di un provvedimento di legge in materia.  Del resto, nel nostro Paese anche la giurisprudenza, sia di legittimità, sia di merito, non ha mai visto di buon occhio gli accordi prematrimoniali, tanto da ritenerli (con una produzione giurisprudenziale della Suprema Corte univocamente consolidatasi nel tempo), a dispetto di sporadici spiragli che, di volta in volta, sembravano aprirsi, nulli, sulla scorta del principio per cui riconoscere alle parti la facoltà di accordarsi preventivamente sulle sorti economiche conseguenti alla fine del rapporto matrimoniale contrasterebbe con il principio di indisponibilità dei diritti scaturenti dal matrimonio. (continua nel prossimo numero)

* Avvocato. ISP Bari