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Quando il “lupo cattivo” è papà (o mamma)

di Maurizio Quilici *

Il 15 dicembre scorso l’Agenzia ANSA ha diramato una notizia con il codice “B” (break), un codice di urgenza che mette la notizia al primo posto nella trasmissione dopo l’ultima in corso, superato solo dalla lettera “F” (flash) che interrompe addirittura la trasmissione di una notizia. Il titolo era: “Abusa della figlia di 5 anni: arrestato”.

Io spero che nessuno di quanti ritengono che i media diano troppo risalto alle notizie negative sugli uomini (e sui padri) e glissino invece su quelle al femminile trovi da ridire. Infatti, è vero che spesso comportamenti violenti o comunque illeciti commessi da donne nei confronti di uomini non hanno la stessa risonanza di quando accade il contrario, per un malinteso senso di “correttezza politica”. Purtroppo, però, questo caso non rientra fra quelli dubbi o fra quelli – frequenti – che si concludono con una piena assoluzione del padre accusato (sappiamo bene quanto le false denunce di abusi sessuali, specie nel corso di una separazione, siano un facile strumento e come la cronaca sia costellata di padri innocenti messi in croce con un’accusa infamante). Questa volta gli atti dell’uomo – definiti “pesantissimi” da un investigatore – sono stati filmati da telecamere nascoste. Gli episodi di violenza sessuale sono avvenuti nella provincia di Grosseto e il padre, un quarantenne separato dalla moglie che ogni tanto ospitava la bambina, avrebbe ammesso gli addebiti davanti al giudice.

Una decina di giorni prima, a Maglie, provincia di Lecce, un uomo era stato indagato per violenza sessuale sui figli e su un’amichetta di famiglia. E un mese prima a Bari una coppia era stata arrestata per maltrattamenti e abusi sessuali sui figli, di cinque e nove anni: colpiti con pugni e schiaffi, i bambini erano costretti a compiere e a subire atti sessuali, per lo più “organizzati” dal padre (che definiva i figli una sua “proprietà”) ed ai quali la madre assisteva regolarmente.

Premetto subito: la violenza sui figli e gli abusi sessuali su questi non sono prerogativa solo maschile, anche se le cronache sono più avare – e vedremo perché – di episodi al femminile (ma all’inizio dello scorso anno una ragazza di 19 anni è stata arrestata negli Stati Uniti con l’accusa di aver praticato sesso orale al figlio di tre mesi realizzando un filmato da rivendere on-line). Chiunque si occupi di questo dolorosissimo tema lo sa bene. Quando, nel corso di un Master in Diritto Minorile, frequentai alcune lezioni presso l’Ospedale Bambino Gesù di Roma (dove il neuropsichiatra Francesco Montecchi aveva creato un centro per il riconoscimento e il trattamento degli abusi all’infanzia) ci furono mostrati filmati e raccontati episodi che vedevano coinvolti con analoga frequenza padri e madri e ricordo lo stupore e la perplessità di molti giovani colleghi (per lo più colleghe) avvocati, psicologi, assistenti sociali nello “scoprire” questo aspetto femminile-materno che non avevano mai preso in considerazione. Del resto, si ha la stessa sorpresa leggendo che “tra i presunti responsabili della situazione di pregiudizio per il minore [intendendo con ciò una nozione ampia di “maltrattamento” che comprende l’abuso fisico, sessuale, psicologico, la trascuratezza, l’abbandono, l’accattonaggio ecc.  n.d.r.] vengono indicati nel 46,8% le madri, nel 37,6% i padri…” (Cleopatra D’Ambrosio, L’abuso infantile, Erikson 2010).

Gli studi in materia ci dicono che l’abuso da parte femminile – o materna – è più sottile, sfuggente rispetto a quello del maschio; ha caratteristiche diverse che lo rendono più difficile da individuare. Secondo qualcuno, alla base di queste diversità c’è un diverso meccanismo: le donne abuserebbero dei bambini “più che per l’immediato piacere sessuale, per uno erotico-affettivo” (Sara Bakacs, Abuso sessuale femminile sui minori: quando ad abusare è una donna, http//psicologo-romaeur.it). Questo diverso modo di abusare, spesso nascosto nei gesti del normale accudimento, unito allo stereotipo che lega la figura femminile a tenerezza e accudimento e quella maschile a brutalità e violenza, fa sì che gli abusi commessi dalle madri siano più difficili da far emergere e da catalogare e, in conclusione, tendano a sfuggire all’attenzione. E fa sì anche che i media siano spesso più “distratti” e meno severi. Insomma, come scrive la mia amica Giulia Paola Di Nicola, che insegna sociologia all’Università di Chieti, “le donne commettono violenza, ma solo una piccola minoranza di accuse le coinvolge” (Infanzia maltrattata, Edizioni Paoline, 2001). La consapevolezza che le donne possono essere abusanti quanto gli uomini è recente: il primo studio sull’abuso sessuale femminile risale al 1989 e solo in questi ultimi anni sono stati pubblicati studi e ricerche ed è possibile tracciare tipologie delle madri abusanti (in Pedofilia rosa, Edizioni Magi 2011, Loredana Patrone e Eliana Lamberti ne elencano ben sette) al pari di quelle che riguardano i padri.

Detto questo, l’abuso sessuale commesso da un padre mi colpisce particolarmente perché io stesso sono un padre e perché un simile comportamento contravviene a quel ruolo antico di tutela e protezione (non solo “ruolo”, ossia sociale, ma direi “funzione”, ossia naturale) che il padre ha assolto nei secoli. Non sono più, fortunatamente, i tempi del padre severo e distaccato. Anche da un padre, oggi, un bambino si aspetta tenerezza e comprensione, come dalla madre. Ma a un padre, più che a una madre, il bambino chiede anche protezione, sicurezza, certezze. Se la “forza” del padre è agita contro di lui e tradisce ciò che istintivamente il bambino si aspetta dal padre, l’effetto può essere – ed è di solito – disastroso. In questo senso (e non certo perché la donna manchi di un pene) mi azzardo a pensare che l’abuso materno possa essere, nella sua odiosa innaturalità, meno minaccioso e traumatico di quello paterno.

Formulare ipotesi – sociologiche o psichiatriche – sui meccanismi che spingono un genitore a un comportamento così orrendo, ci porterebbe lontano. Credo indubbia l’esistenza di una grave assenza di empatia, ma guardo con cautela alle recenti teorie che legano la crudeltà, l’efferatezza, la brutalità a tale mancanza e questa a un difetto dei circuiti neuronali. Troppe sono state negli ultimi anni le teorie, anche fantasiose, che hanno creduto di individuare in geni e neuroni l’origine di ogni comportamento, anche il più banale.

 Gli abusi sessuali sui figli sono stati spesso collegati – con un rapporto di causa-effetto – ad ambienti socialmente degradati o soggetti psichicamente instabili, ma non è sempre così. A volte un padre abusante ha un’aria rispettabile, occupa un posto dignitoso in società. Proprio come molti pedofili.

Anche prendere in esame le conseguenze psicologiche di un abuso sessuale da parte di un genitore (molto diverse a seconda dell’età del bambino, del tipo di abuso subito e naturalmente della resilienza del bambino stesso) e le patologie che, innescate dall’abuso, potranno caratterizzare l’età adulta nell’abusato richiederebbe un ampio spazio; qui basti dire che si tratta di eventi con un potenziale traumatico altissimo, che possono avere esiti distruttivi per la vita futura del soggetto (fra l’altro inducendo spesso a ripetere il comportamento abusante).

Pedofilia e pedopornografia sono in costante aumento, favorite dalla diffusione di Facebook e dei social network. A leggere l’ultimo rapporto divulgato nel 2015 dall’ associazione “Meter contro la pedofilia”, fondata da don Fortunato di Noto, si rimane impressionati: nel corso del 2014 furono individuati (“contati uno a uno” disse di Noto) 600 neonati abusati. “La cosa che fa riflettere” – aggiunse il sacerdote presentando il rapporto – “è che una percentuale altissima coinvolge le donne; donne che in maniera chiara, esplicita, drammatica, crudele, hanno violato sessualmente i neonati”.

Se la pedofilia turba le nostre coscienze, l’abuso sessuale commesso su un figlio ci appare come qualcosa davvero mostruoso. Ma attenzione: perché anche questo nostro, comprensibile, atteggiamento può rivelarsi controproducente. Si rischia infatti di leggere il fenomeno come una eccezione, un “caso” su cui rabbrividire ma senza preoccuparci più di tanto, perché i “mostri” sono sempre esistiti ma non rientrano nella quotidianità. E soprattutto, in quanto mostri, non sono recuperabili. E invece: “Continuo a credere che non esistano mostri” – ha scritto Fulvia Ceccarelli, psicoterapeuta che molto si occupa di abusi nella sua professione – “ma solo persone malate e bisognose di cure”.

Cosa si può fare per prevenire un abuso sessuale? Come si possono cogliere i segni – psicologici prima ancora che fisici – in un bambino abusato? E come curare un soggetto che ha mostrato evidenti tare o scompensi o comunque una deviazione dalla sessualità così come la intendiamo nella nostra epoca e nella nostra civiltà?

Sorvolo volutamente su metodi quali la castrazione chimica o la pubblicazione on-line dei nomi dei condannati per abusi sessuali su minori, completi di foto, indirizzo, luoghi frequentati, abitudini. Quest’ultimo sistema è adottato in alcuni Stati dell’America del Nord e proprio in questi giorni è stato preso ad esempio dal Ministro della Giustizia polacco, che ha ordinato di pubblicare sul sito del suo dicastero i dati di ottocento responsabili di crimini sessuali, compresi quelli compiuti contro l’infanzia.

Certamente la prevenzione deve svolgere un ruolo attivo: monitorare gli ambienti socialmente più degradati può aiutare in parte, perché, come ho detto sopra, non è solo in questi ambienti che nasce l’abuso sessuale intra-familiare. Bisognerebbe preparare il personale della scuola infantile materna, degli asili nido, gli insegnanti della scuola primaria e secondaria perché siano in grado di cogliere “segnali” di abuso nei bambini e ragazzi. E formare con grande scrupolo il personale specializzato – assistenti sociali in prima battuta e poi psicologi, medici, psichiatri, psicoterapeuti… – che sarà chiamato a dare una valutazione in sede legale. Questi specialisti necessitano di una estrema professionalità, di provata esperienza e di un grande equilibrio poiché possono decidere del destino di un bambino, di un adulto, di una intera famiglia. E non sempre – lo abbiamo visto in tanti casi di cronaca – queste qualità sono possedute come si dovrebbe.

Particolare cura dovrebbe essere data alla parte riabilitativa. Un genitore abusante deve essere curato, con diversi stili di trattamento terapeutico in base alla sua tipologia. L’attuale situazione politico-economica del nostro Paese non consente molte risorse (altre nazioni come gli Stati Uniti, il Canada, i Paesi scandinavi utilizzano metodi avanzati e ben sperimentati), tuttavia si dovrebbe fare ogni sforzo per recuperare la responsabilità genitoriale dell’abusante, ricostruire una valida figura parentale e, naturalmente, curare le ferite del bambino abusato.

* Presidente dell’I.S.P.