Ivan Jablonka.
Uomini giusti
Moretti & Vitali Editori, Bergamo,
pp. 357, € 30,00
Traduzione di Rossella Prezzo
A cura di Annarosa Buttarelli
“Gli uomini hanno condotto ogni genere di battaglia, salvo quella per l’uguaglianza dei sessi. Hanno sognato ogni genere di emancipazione, salvo quella delle donne”. E’ l’incipit della Introduzione al corposo libro di Ivan Jablonka, storico e scrittore francese, e rende subito chiaro al lettore quale sia l’intento dell’Autore: pubblicare un excursus storico del maschile (e del maschilismo) e insieme pronunciare un atto di accusa nei confronti del genere maschile, o almeno di quei maschi che non fanno nulla per eliminare o ridurre il gap – economico, sociale, culturale… – che divide da secoli gli uomini dalle donne.
E’ una storia ricca di dati, di notizie, di episodi, che spazia in tantissimi campi, seguendo da un lato l’evoluzione del movimento femminista e dall’altro la corrispondente resistenza maschile tesa a conservare privilegi e discriminazioni. Inevitabilmente centrato sulla Francia, abbonda di informazioni, esempi, riferimenti legati a questo Paese, ma non mancano sguardi sui Paesi africani e arabi, asiatici, d’America. E naturalmente europei. Pochissimo citata la realtà italiana, con un’unica eccezione per Salvatore Morelli, giornalista, scrittore e avvocato nato a Carovigno (Brindisi) che nel 1861 pubblicò La donna e la scienza considerati come i soli mezzi atti a risolvere il problema dell’avvenire (poi tradotto anche in francese). Deputato per alcuni anni, Morelli presentò in Parlamento una serie di progetti di legge avanzatissimi, che prevedevano fra l’altro la condivisione della autorità genitoriale, il diritto al divorzio, la possibilità di trasmettere il cognome della madre ai figli. Quasi tutti ignorati, non solo: i suoi interventi provocavano regolarmente l’ilarità dei parlamentari.
Storia e preistoria, antropologia, fisiologia, diritto, religione, psicologia, sociologia… per seguire la nascita, l’evoluzione e poi l’involuzione del patriarcato e del potere maschile. Chiariamo subito che il termine “patriarcato”, sul quale il sottoscritto va conducendo una personale battaglia perché sia ricondotto nel suo alveo storico e sia sostituito oggi con qualcosa che attiene al maschio e non al padre, ossia con la parola “maschilismo”, questo termine, dicevo, è usato spesso da Jablonka, così come l’espressione “cultura patriarcale”. Credo che lo faccia per semplicità e comodità, pur sapendo bene che il patriarcato – nel suo significato etimologico – è ormai, fortunatamente, un residuo. Egli ha ben chiaro che il maschile non si identifica con il patriarcato. Scrive infatti, parlando della crisi del maschile, che c’è “una definizione erronea del maschile, che consiste nell’identificarlo con il suo nucleo patriarcale. Così come non tutti gli uomini sono dei tiranni, il maschile non si riduce alla maschilità di dominio. Non solo la violenza di alcuni uomini ne rovina altri, ma il culto dell’autoritarismo fa sprofondare l’intero genere nell’ansia”.
Ha anche chiaro che “il patriarcato è votato a sparire. E’ in declino” – scrive – “ma le numerose patologie del maschile lo fanno perdurare in una sorta di fuga in avanti”. Ancora più chiaramente, poco dopo afferma: “Nonostante i canti del cigno, e le battaglie di retroguardia, assistiamo alla scomparsa di un patriarcato ‘innocente’, evidente, assunto senza complessi né scrupoli”.
Il femminismo di cui Jablonka prende decisamente le parti è un femminismo collaborativo e aperto. Quanto alle femministe radicali, pur ammettendo che anche grazie al loro impegno è stato possibile far arretrare il dominio maschile, Jablonka ne prende le distanze con altrettanta decisione: “… alcune correnti del femminismo sono ossessionate da vecchi fantasmi: la lotta di classe e la teoria del complotto. Riflessi di estrema sinistra e fantasmi di estrema destra si uniscono nell’elaborare una visione manichea del mondo: il bene e il male, le vittime e i colpevoli, donne oppresse da uomini oppressori, resistenti in lotta contro un machismo universale…”. Insomma: “Gli uomini sono il Nemico”.
La posizione di Jablonka potrà non essere condivisa da alcuni uomini (o molti uomini), ma su questo punto si identifica con quella che è sempre stata del nostro Istituto: “Poiché il femminismo ha bisogno di uomini, questi non devono essere visti né come indesiderabili o come nemici, né come modelli. Vanno evitate tre impasse: il romanticismo pro-donne, la credenza in un complotto maschile e il finalismo paritario” (50% di donne e 50% di uomini).
Discutibili, invece, mi paiono le pagine sul finire del libro, nelle quali si afferma che il sistema patriarcale “esige la corrispondenza tra sesso, genere e desiderio” e quindi esse sembrano plaudire a “transidentità”, “intersessualità”… “Seminando il ‘disordine nel genere’” – scrive Jablonka – “si allarga il campo delle possibilità”. Per lui, le nuove identità espresse da “un numero sempre crescente di giovani” che si dicono “non binari”, gender fluid o “neutri” “esprimono una diffidenza verso il patriarcato”.
Impossibile elencare gli argomenti che l’Autore affronta, talvolta in superficie altre volte in profondità. Sul tema della separazione e dell’affidamento, scrive che “su scala mondiale, l’affidamento alternato dovrebbe essere l’affidamento scontato (…), cosa che farebbe riflettere contemporaneamente le madri onnipotenti e i padri indifferenti. In caso di conflitto, l’affidamento potrebbe andare a chi condivide di più, cioè al genitore che si impegna a essere più conciliante rispetto ai diritti dell’altro”. Una soluzione, quest’ultima che assomiglia molto a quella improntata al “principio dell’accesso” (favorire il genitore che si mostra più propenso a consentire che il figlio frequenti l’altro genitore): una formula di buon senso molto auspicata in anni passati e, mi pare, ben poco applicata.
L’opera è una difesa dei diritti delle donne, un appello agli uomini di buona volontà perché si adoperino per eliminare le ingiustizie di genere (osservo che ci sono anche ingiustizie di genere di cui è vittima il maschio, ma certo, dall’antichità fino a ieri, il fenomeno della subordinazione della donna in un mondo a misura d’uomo appare macroscopico). Ma è anche una difesa degli uomini, perché – osserva Jablonka – è “falso (e ingiurioso) dire che tutti gli uomini sarebbero violenti ‘per natura’ o permeati da una ‘cultura dello stupro’”. E’ bene ricordarlo, specialmente in tempi come questo in cui i femminicidi occupano drammaticamente le cronache di ogni giorno e stimolano continue accuse ad un presunto patriarcato che ne sarebbe l’occulto ispiratore.