Dopo l’approvazione della legge 54 del 2006 il relatore di maggioranza, on. Paniz e la relatrice di minoranza, on. Lucidi, furono così gentili da scrivere la prefazione di uno dei miei libri sul tema, dando atto del contributo da me fornito alla stesura della legge, contributo che si estrinsecò nella scrittura e riscrittura dei testi, nell’esame degli emendamenti, nello studio e nella discussione dei problemi e che fu accompagnato da due mie audizioni dinanzi alla Commissione Giustizia della Camera.
In ragione di ciò, posso considerarmi, unitamente a Marino Maglietta, che iniziò e portò avanti la “lunga marcia” per l’affidamento condiviso, un “padre” della legge.
In particolare, nel bene e nel male (ne ho chiesto poi inutilmente una seconda versione), mi ritengo “padre” dell’art. 709 ter, trasfuso in legge così come uscito dalla mia penna, anzi dal mio pc, senza che sul testo venissero apportate correzioni in sede parlamentare.
Tutto ciò sentimentalmente mi ha spinto a difendere la legge ogni volta che se ne chiedeva la riforma, affermando il principio, che credo poi sia stato fatto proprio dall’opinione prevalente, secondo cui la legge fosse ben scritta ed i problemi riguardassero la sua concreta applicazione.
Ma, oltre al sentimento, mi ha spinto alla difesa anche la ragione, perché le modifiche sono state spesso ispirate dalla volontà di eliminare l’indispensabile margine di discrezionalità del giudicante, applicando regole draconiane per pervenire ad un affidamento che, ignorando circostanze di tempo e di luogo ed ogni altra valutazione idonea a costruire, per quella famiglia e quel bambino, un affidamento su misura, pretendesse sempre e comunque una divisione di tempi e compiti al 50%.
Soprattutto, ritengo di essere rimasto fedele all’ (abusato) principio dell’interesse del minore che, per me, significa partire dal punto di vista dello stesso, ignorando dogmi e rivendicazioni che possano renderlo secondario o anche soltanto scalfirlo.
A mio avviso, chi ha a cuore l’interesse del minore non può nemmeno lontanamente pensare a forme di alienante affidamento alternato e neppure può negare la validità dell’indicazione di un genitore collocatario, perché il figlio ha diritto di avere punti di riferimento fissi, ha diritto a non vedere la sua realtà schizofrenicamente divisa in due, ha diritto di avere un centro di gravità dal quale far partire ed al quale contemporaneamente ancorare l’estrinsecazione della sua affettività e lo svolgimento della sua vita.
A ben vedere, la stessa giurisprudenza appare sdoppiata, come si vorrebbe fare con il minore. Se si leggono lettere come quella dell’avv. Paesano (assolutamente non isolate) sembra di scoprire un universo di non applicazione della legge. Al contrario, se si leggono sentenze o ordinanze pubblicate o comunque note, si ha un’idea del tutto opposta, con usuale e piena recezione dello spirito, oltre che della lettera, della norma.
Numerosi, ad esempio, sono i provvedimenti correttamente resi ex art. 709 ter, che (mi si perdonerà la difesa “d’ufficio”), se ben applicato, è uno strumento validissimo per l’applicazione dei precetti della legge in tema di affidamento e frequentazione dei minori.
Non intendo con questo dire che vi siano due giurisprudenze, con velocità e contenuti del tutto diversi, ma che comunque esistono modi diversi di guardare il “bicchiere” dell’affidamento condiviso. La giurisprudenza delle riviste non è di mera facciata, né è unicamente metropolitana, bensì è la giurisprudenza di tanti magistrati specializzati, che sono assolutamente dentro l’ottica della legge.
Un magistrato specializzato, dispone, grazie alla legge 54 del 2006, di adeguati strumenti per realizzare l’affido condiviso, “persino” se indica un genitore collocatario. Non deve dettare i tempi di permanenza del solo non collocatario, ma di entrambi, deve utilizzare lo strumento del mantenimento diretto (anche parziale), può orientare, tramite il 709 ter, l’adozione di percorsi virtuosi dei genitori e l’attuazione di accordi, come ripetutamente richiesto dalla legge (che privilegia, fin dove possibile, l’autodeterminazione), deve realizzare, anche attraverso strumenti di collegamento moderni, la continuità del rapporto con il genitore non stabilmente convivente, specie se lontano, deve attribuire le sfere di potestà-responsabilità separate facendo in modo che effettivamente ciascun genitore partecipi alla vita del figlio, deve, deve, deve.
Un corretto provvedimento di affidamento condiviso presuppone che il giudice abbia compreso bene la vita di quel minore e di quella famiglia, conosca ogni aspetto del processo e sia in grado di prevenire il sorgere di problemi che possano ostacolare il libero accesso (vero fulcro della riforma) del figlio a ciascuno dei genitori (e dei relativi gruppi parentali). Richiede impegno e tempo.
Sempre a mio avviso, i tribunali hanno il compito di spendere l’impegno ed il tempo necessari e di fornire la specializzazione indispensabile perché la legge 54 sia applicata e le parti hanno diritto di chiedere ed ottenere che ciò avvenga. Tutto qui, semplicemente tutto qui.
Quanto all’affermazione secondo cui la madre sia il genitore astrattamente più idoneo a crescere i figli, non credo che, giusta, sbagliata o parzialmente giusta o parzialmente sbagliata che sia, essa appartenga solo ai giudici, come se costoro fossero avulsi dalla realtà e portatori di valori propri. Personalmente non la condivido, in quanto la genitorialità, intesa come capacità di fornire cura materiale e psicologica, proteggere il figlio e sopperire alle sue esigenze, è una qualità della persona, a prescindere da ogni determinazione di genere.
Se in un contesto sociale esistesse questa idea ed i giudici, in quanto espressione di quel contesto, la dovessero recepire, il problema, più che giudiziario, sarebbe culturale. Dopo che per migliaia di anni questa convinzione, basata su di una rigida divisione di compiti ha fatto parte della nostra realtà e dopo che, ancora oggi, in molte famiglie, i ruoli domestici, tra cui la fondamentale cura dei pasti, sono attribuite alle donne, il processo di recezione dei principi contenuti nella legge 54, che è una legge assolutamente paritaria rispetto al rapporto uomo-donna, potrebbe richiedere tempi lunghi per la sua piena attuazione.
A conclusione di questa breve riflessione, vorrei aggiungere che molte dispute strumentali in ordine all’affidamento dei figli ed all’indicazione del genitore collocatario sono legate al rapporto normativo che, pur attenuato dalla legge 54, ancora sussiste tra affidamento o collocazione dei figli ed attribuzione della casa già coniugale. Ove questo nodo dovesse essere sciolto, tutelando la parte più debole del rapporto, ma evitando automatismi, verosimilmente anche la disputa per l’affidamento vedrebbe affievolire la sua importanza.