Editore: artstudiopaparo, Napoli
Anno: 2016
Prezzo: € 15
Pagine: 70
Per chiunque si occupi di paternità questo libro è un prezioso esempio di editoria virtuosa. Un piccolo editore pubblica per la prima volta in Italia, il testo della conferenza che Paul Federn tenne nel 1919 con il titolo Per la psicologia della rivoluzione: la società senza padre. Federn, medico e psicoanalista, allievo di Freud (fu Vicepresidente della Società Psicoanalitica di Vienna) era impegnato nei fatti del sociale e della politica, ai quali guardò sempre con l’occhio della psicoanalisi. In questa conferenza analizza acutamente il crollo delle monarchie degli Imperi Centrali provocato dal primo conflitto mondiale e l’avanzare dei movimenti rivoluzionari che trovano nella Russia sovietica la più completa espressione. Per Federn la caduta di imperi come quello austroungarico e la corrispondente avanzata di movimenti anarchici e rivoluzionari sono, rispettivamente, il segno di un attacco alla figura paterna e la proposta (che Federn condivide) di sostituire il legame verticale padre-figlio – tipico dei regimi autoritari – con quello orizzontale di una società di fratelli, intrinseco ad ogni democrazia.
Un’ampia e bene articolata introduzione di Luisella Brusa, psicoanalista della Scuola Lacaniana di Psicoanalisi, illustra e approfondisce i meccanismi intrapsichici esaminati da Federn, il suo rapporto con Freud (che di lì a due anni avrebbe pubblicato Psicologia delle masse e analisi dell’Io), l’analisi delle masse e del “capo” che esse producono, gli sviluppi teorici successivi delle teorie sul rapporto fra paternità e autorità – da Hans Kelsen a Alexander Mitscherlich (di cui molti ricorderanno Verso una società senza padre, pubblicato nel 1963), da Lacan a Pierre Legendre, per finire con Lévi Strauss.
Il testo di Federn colpisce per la sua lucida analisi dello stato autoritario, che “esprimerebbe un desiderio, appassionato e inconscio, intenso e infantile per un’autorità di tipo paterno”. Anche la guerra, quel primo orrendo conflitto mondiale, ha contribuito a distruggere il legame del padre. Non solo per l’allontanamento di milioni di padri in anni cruciali per lo sviluppo dei figli, ma per altri motivi più sottili e sfuggenti. Anzitutto a partire dalla dichiarazione di guerra, “giacché nessun padre immaginario avrebbe mandato a morire i suoi figli se non in caso di estrema necessità per difendere la madre o la patria” (si noti che nell’inconscio l’amore per la patria simboleggia quello per la madre). E poi, grazie alla assurdità di certi ordini e alle tante ingiustizie commesse proprio dalle “figure paterne più prossime” – superiori, amministratori, ufficiali – operai e soldati hanno vissuto “quella stessa delusione per il padre già provata ai tempi della loro infanzia”. E “la delusione è stata talmente grande che per migliaia e migliaia di uomini la disposizione affettuosa per il padre si è trasformata in un atteggiamento di odio e di opposizione”.
Tuttavia non è facile ripudiare il padre. Perché “l’orientamento paterno è ereditario e (…) strettamente connesso con la nostra personalità e i suoi vari vincoli: la relazione con la madre, con la donna, con i parenti, con gli amici paterni, con l’istruzione, con la proprietà e con il lavoro, con la religione e con la nostra visione del mondo”. Per quanti prendono le distanze dall’orientamento padre-figlio, il rischio è dietro l’angolo: “basta l’arrivo di una personalità che corrisponda al loro ideale di padre per farli posizionare di nuovo come figli. Ed è per questo che con una certa regolarità. Dopo la caduta dei re, le repubbliche hanno ceduto il passo al dominio di un capo-popolo”. Avvertimento, questo, da tenere sempre presente, oggi più che mai.
L’analisi delle masse e dei loro meccanismi, la psicologia dei gruppi e le dinamiche dei “capi” (oggi dei leader ) erano già state prese in esame da Gustave Le Bon, con la Psicologia delle folle (1895), sarebbero state approfondite di lì a poco da Freud e nella seconda metà del XX secolo avrebbero dato vita allo studio dei gruppi in psicologia sociale e a un’ampia messe di teorie sulla leadership. La conferenza di Federn del 1919 rimane tuttavia un punto nodale per lo studio della paternità. Fra l’altro – come osserva Luisella Brusa – esso anticipa la visione di uno spostamento della centralità del padre verso la centralità della madre che provocherà un mutamento di prospettiva nella psicoanalisi, accomunando autori come Bowlby, Mahler o Winnicott (autori, aggiungiamo pure, che saranno responsabili, insieme con altri, di una lunga trascuratezza di ruolo e funzioni paterne a favore di una assoluta primarietà materna).
Abbiamo detto che Federn osserva con simpatia l’affermarsi di un principio di “comunità fraterna”. “Sarebbe davvero un’immensa liberazione” – dice nella sua conferenza – “se l’attuale rivoluzione, che è una ripetizione delle antiche rivolte contro il padre, avesse successo. L’anima dell’umanità potrebbe probabilmente diventare più bella, e la smorfia parricida potrebbe forse sparire dal suo volto”. Tuttavia, l’allievo di Freud sa bene quanto il principio paterno sia radicato nell’animo e nella storia dell’umanità. Così da terminare la sua conferenza con queste parole: “Il leit-motiv padre-figlio ha subito la più pesante disfatta. Esso rimane comunque profondamente radicato nell’umanità in virtù dell’educazione familiare e di fattori ereditari che probabilmente impediranno anche questa volta l’avvento definitivo di una ‘società senza padre’”. Ognuno può giudicare da sé se quanto auspicato da Federn sia avvenuto o meno ai tempi nostri.