Editore: D’Ettoris Editori, Crotone
Anno: 2016
Prezzo: € 16,90
Pagine: 224
Uno specifico versante della paternità (uno fra i più rilevanti, articolati e discussi), quello della assenza, affrontato con competenza, chiarezza e profondità da uno psicologo e psicoterapeuta. I capitoli ne scandiscono i passaggi con apprezzabile suddivisione. Ad un primo, breve, sui dati statistici, segue un corposo capitolo sulle ricerche psicologiche, anch’esso diviso per temi specifici. Parenti valuta prima due filoni di ricerca generali, quello sulla omogenitorialità e quello sui fattori genetici. In merito al primo troviamo una identità di vedute con quanto abbiamo sempre sostenuto, ossia che tali ricerche sono poche e contraddittorie e soprattutto che “il fanatismo che accompagna la questione omosessuale rende difficile, anche tra gli specialisti, un giudizio oggettivo e non ideologico” (si veda, ad es. l’Editoriale “Genitori gay: perché non mi pronuncio” in ISP Notizie n. 1/2016). Quanto al secondo, l’Autore appare scettico nei confronti di quelle ricerche che sostengono un’origine ereditaria di certi comportamenti, come quella, statunitense e qui ben descritta, che ipotizza un’origine genetica – e non “ambientale” – nel fatto che i ragazzi cresciuti senza padre sperimentano il primo rapporto sessuale prima dei coetanei che hanno vissuto con il genitore. Da molti anni la polemica fra “ereditaristi” e “ambientalisti” infiamma numerose discipline; ma anche qui non possiamo che concordare con la visione, multifattoriale, di Parenti: “i fattori genetici svolgono un ruolo nel predisporre il comportamento, assieme ai fattori accidentali ed ambientali”.
Il capitolo che segue passa ad illustrare il contributo che al tema del libro hanno dato i clinici, ossia quegli psicoterapeuti, psicologi clinici, psichiatri che lavorano “sul campo” (ma che, naturalmente, elaborano anche teorie). Una bella occasione di ripasso, almeno per quanto riguarda Freud e Jung e magari anche Adler e Lacan; una opportunità per sapere di Rocco Quaglia – autorevole docente all’Università di Torino, ma che si può ipotizzare sconosciuto ai non addetti ai lavori – e von den Aardweg. Non mancano le posizioni di Ferliga, Recalcati e Risé e quelle, per l’approccio sistemico-relazionale alla famiglia, di Ackerman, Andolfi, Attili.
Parenti affronta poi un compito ambizioso, quello di tracciare il profilo del tipo psicologico dei “senza papà”. In senso relativo, s’intende, ossia individuando le caratteristiche “salienti e comuni” ma senza confini definiti. Insicurezza, sentimenti di inferiorità, vergogna, ribellione, conformismo sono gli elementi comuni e diffusi tra i “senza papà”. Il primo, l’insicurezza, è primo anche per importanza: è da essa che discendono tuti gli altri. Dopo aver formulato un’ipotesi eziologica (legata alle due transizioni critiche dell’infanzia e della pubertà e al fatto che il padre “introduce al mondo” e “introduce al mondo dei maschi) si affronta la… terapia: “Suggerimenti per il cambiamento”: dallo sviluppo dell’autocoscienza (riflettere su di sé) alla domanda “come mi sento”, alla quale si può rispondere a livello sensoriale, emotivo e cognitivo. Seguono altri strumenti, esercizi, percorsi per divenire “una creatura cosciente di sé” e ritrovare la sicurezza minata dall’assenza paterna.
L’ultimo capitolo consta di poche pagine. E ha per titolo “Cinque consigli alle madri sole con figli adolescenti”. Consigli accorati di chi di adolescenti ne ha visti molti. Il primo consiglio recita: “Non privarli del mondo maschile”.