di Maurizio Quilici *
Parliamo ancora di lui, di Eitan, il piccolo sopravvissuto alla tragedia della funivia del Mottarone, conteso fra gli zii paterni e i nonni materni (a quel bambino era dedicato l’Editoriale dello scorso numero di ISP notizie). Perché Eitan è tornato a casa, in Italia, e possiamo essere doppiamente soddisfatti: anzitutto perché credo che questa fosse la cosa più giusta e migliore per lui, che viveva in provincia di Pavia praticamente dalla nascita e lì aveva il suo mondo e i suoi amici (senza nulla togliere, naturalmente, all’amore e ai diritti dei nonni materni che vivono in Israele); in secondo luogo perché la Convenzione dell’Aia, che mira a porre rimedio a casi come questo, di sottrazione internazionale di minori, e stabilisce – a certe condizioni – il ripristino della situazione antecedente alla sottrazione, è stata rispettata.
Rapito l’11 settembre dal nonno materno, Shmuel Peleg, con un vero e proprio blitz e trasferito in Israele a bordo di un aereo privato, Eitan – che ha la doppia nazionalità, italiana e israeliana – è stato per quasi tre mesi al centro di una vicenda umana e processuale che ha tenuto col fiato sospeso due Paesi – Italia e Israele – in attesa che la magistratura israeliana decidesse se e quando applicare la Convenzione dell’Aja, Non era, infatti, scontato che la vicenda finisse così: abbiamo visto casi in cui le autorità di un Paese – per svariati motivi – hanno nicchiato, hanno di fatto protetto il proprio cittadino, hanno fatto trascorrere tanto di quel tempo che alla fine i giudici hanno deciso che riportare il bambino al genitore (di solito si tratta di un rapimento da parte di uno dei genitori, che si trasferisce all’estero) avrebbe significato un ulteriore trauma e che ormai il piccolo si era abituato a una nuova vita e a un nuovo ambiente (sull’argomento, vedi gli articoli “Non solo Eitan” e “Minori ‘rubati’: la Convenzione dell’Aja” pubblicati in questo stesso numero).
Questa volta, invece, la Convenzione dell’Aja ha sortito il suo effetto: i giudici israeliani, nei tre gradi di giudizio nei quali è stata chiamata in causa (magistrato del Tribunale per la famiglia, Tribunale distrettuale di Tel Aviv, Corte Suprema) hanno riconosciuto che il nonno aveva compiuto un grave reato e che il bambino andava “restituito” alla zia e ai nonni paterni con i quali viveva fin da quando era piccolissimo. Nonostante la delicatezza della vicenda (la convenzione prevede che i giudici del Paese nel quale il bambino è stato portato illegalmente eseguano una serie di accertamenti, prima di consentire il rientro del minore nel Paese dal quale è stato sottratto) i tempi sono stati piuttosto rapidi. Rapidi per il criterio di un adulto, s’intende, anche se forse sono stati lunghissimi per i parenti che se lo contendevano. Per il piccolo Eitan, poi, già tanto provato dalla perdita dei genitori e del fratellino, forse quegli 84 giorni – tanti sono stati – saranno probabilmente sembrati eterni, non lo sappiamo. Possiamo presumere che, purtroppo, lasceranno una traccia incancellabile nei suoi ricordi; ma ora vogliamo essere ottimisti, consolati dalle parole dell’agente della Squadra Mobile che lo ha accompagnato dall’aeroporto di Orio al Serio (Bergamo) alla casa dei nonni a Travacò Siccomario, paese di poco più di quattromila abitanti in provincia di Pavia, il quale ha riferito: “Era felice. Mi ha detto: ‘Sono contento di essere tornato a casa’”.
In paese, soddisfazione e gioia sono stati espressi da tutti: dal sindaco ai vicini di casa, dai negozianti alle autorità locali. Nessun festeggiamento, però, ma un “abbraccio virtuale” da parte di tutta la comunità. E’ stato giusto così: perché Eitan possa riprendere il più semplicemente e tranquillamente possibile la vita di tutti i giorni: quella vita fatta di piccole-grandi cose quotidiane che scandisce (o dovrebbe scandire) il tempo sereno di ogni bambino.
Tuttavia, il rientro in Italia non ha messo la parola “fine” alla vicenda, con i suoi conflitti e i suoi strascichi giudiziari. Il Tribunale per i minorenni di Milano ha tolto la tutela di Eitan alla zia paterna, Aya Biran e l’ha affidata ad un avvocato di Monza estraneo alla famiglia. La tutela era stata decisa da Tribunale di Torino e poi confermata dal giudice tutelare di Pavia. Contro di essa aveva fatto ricorso la famiglia Peleg. La “elevatissima conflittualità” (così i giudici minorili di Milano) che ha caratterizzato le fasi successive della nomina del tutore ha reso però necessaria “l’individuazione di un soggetto terzo, visto che la contesa parentale insorta indubbiamente contribuisce a complicare ogni scelta personale, relazionale, economica ed educativa che dovrà essere assunta nel prioritario interesse del bambino”.
Seconda novità: la stessa Aya Biran è stata iscritta nel registro degli indagati, assieme al marito, Or Nirko, con l’accusa di furto e diffamazione, a seguito di una denuncia della nonna materna, Esther Cohen, che parla di oggetti utili alla vicenda processuale, come telefoni e dispositivi informatici, prelevati da Biran nella casa dei genitori di Eitan e di dichiarazioni diffamatorie fatte durante alcune interviste. Come se non bastasse, l’avvocato italiano che difende Shmuel Peleg, il nonno di Eitan accusato di rapimento, ha chiesto un incidente probatorio per accertare se il bambino avesse “capacità di esprimere consenso o dissenso rispetto all’allontanamento del luogo di dimora”.
Come si vede, nulla lascia presagire che quel bambino avrà intorno a sé acque tranquille (perché non ci illudiamo che Eitan rimanga del tutto all’oscuro di queste mosse processuali e che esse non abbiano echi e non influiscano, quantomeno, sull’atmosfera che lo circonda). In una intervista del 20 dicembre scorso al quotidiano la Repubblica è stato chiesto a Shmuel Peleg: “Se continuate a colpi di denunce e ricorsi, non temete che Eitan possa essere affidato a terzi?”. “Non voglio nemmeno pensarci” ha risposto l’uomo. “Speriamo si possa arrivare a una mediazione”. Eppure lo spettro di un affidamento a terzi – dopo la revoca della nomina a tutore per la zia – dovrebbe far riflettere gli adulti. Anche se in questo caso la notorietà della vicenda renderebbe di sicuro più cauta una decisione del genere, tuttavia questa non può essere esclusa a priori. Ma sarebbe il colpo di grazia per un bambino che si pensava più di così non potesse soffrire.
* Presidente dell’I.S.P.