di Gianni Dell’Ongaro *
L’attore nordamericano Johnny Depp ha vinto la sua battaglia legale nella causa per diffamazione contro Amber Laura Heard, figlia del noto imprenditore Heard e sua ex moglie, per aver la stessa divulgato (“in modo diffamatorio”) fatti relativi alla propria vita coniugale personalissima in un editoriale pubblicato nel 2018 sul Washington Post, in cui raccontava di essere stata vittima di abusi e violenze da parte dell’allora marito. Il processo, durato oltre quattro mesi, è stato un evento mediatico: circa un milione e duecentomila spettatori per la testimonianza resa da Depp.
La vicenda sembra essersi conclusa il 1º giugno, con la sentenza formulata dal tribunale di Fairfax, in Virginia, che ha decretato la vittoria di Depp e la relativa condanna di Heard a risarcire il “pirata dei Caraibi” con un totale di 10,35 milioni di dollari di cui 10 a titolo di risarcimento e 0,35 come danni punitivi. Il fatto che dopo anni di mee too e di uomini alla sbarra sia stato l’uomo a far dichiarare diffamante un’accusa di violenza su una donna, fa notizia.
Indifferenti sia il pubblico sia la giuria ai chiacchiericci su usi e costumi sessuali della coppia prima, dopo e durante il matrimonio, peculiare in ogni caso il fatto che il processo si sia contraddistinto per l’assoluta parità tra le parti, che hanno contato solo ed esclusivamente sulle prove, tra cui i vari report della polizia di Los Angeles, senza pregiudizi di genere, il che peraltro costituirà un precedente, soprattutto nel diritto processuale, del sistema di giustizia americana.
La vicenda era stata preceduta da altre storie processuali, sempre tra i due attori.
Piuttosto singolare è il fatto che questo matrimonio non sia stato preceduto da un contratto, che è una formula tipica di accordo negli Stati Uniti, del regime tanto economico che comportamentale (si veda la vicenda dell’accordo pre-matrimoniale tra Jennifer Lopez e Ben Affleck, che ha riguardato anche il numero di prestazioni settimanali).
Come noto, parte del ristoro attribuito alla Heard da versarsi nelle casse del Pirata dei Caraibi è dovuto alla condanna a rifondere danni punitivi (punitive damages). I punitive damages sono un istituto giuridico proprio degli ordinamenti di common law, molto applicato negli USA. Essi si affiancano al normale risarcimento civile con una particolare funzione (tipica della sfera penale), quella punitiva e deterrente. In Italia, non sarebbe stata possibile una condanna per danni punitivi, né ex art. 2043 c.c. (“Risarcimento per fatto illecito”) né in base alla legge sulla stampa (art. 32 l.47/48), in quanto la stessa legge sulla stampa prevede una sanzione che non è un risarcimento.
L’istituto dei punitive damages stenta a trovare alloggio nell’ordinamento europeo (cfr. Cassazione civile, sez. III, 28/02/2019, n. 5829), stante la matrice antica e post medioevale, tutta europea, della necessaria presenza di una norma positiva per attribuire qualunque somma a titolo di risarcimento, e quindi stante la funzione dell’istituto del risarcimento dei danni legato all’idea del ripristino di un bene concreto e/o di un diritto soggettivo leso individuabile a priori. Diversa la concezione nord americana di libertà del giudice di graduare il risarcimento in chiave punitiva e deterrente, individuando come bene anche diritti meramente virtuali, senza connessioni con beni concreti, e potendo liberamente interpretare senza esser obbligato alla singola norma di legge.
Peraltro, nel nostro diritto di famiglia – unico nel panorama europeo – è presente il “danno punitivo”, ma con risvolti “innocui” rispetto a quelli che potrebbe invece assumere se liberalizzato a livello generale. La norma di cui all’art. 709 ter c.p.c prevede (cfr. Tribunale Messina sez. I, 08/10/2012) che il giudice possa condannare a danni sanzionali, che mirino a “punire” con effetto di deterrenza i comportamenti ostativi dei genitori allo svolgimento dell’affidamento dei minori. E quindi a regolare, per effetto della minacciata condanna, il rapporto dei genitori con i servizi sociali e con l’altro partner. Sempre adeguando i comportamenti al superiore interesse dei figli.
La sentenza del Tribunale di Fairfax è stata resa nei confronti di ex coniugi la cui vita matrimoniale ha poche possibilità di paragone con le vicende matrimoniali della vecchia Europa (famiglia 1.0): ne marca la differenza l’atteggiamento individuale. Entrambi hanno anche agito a protezione e a tutela anche economica della propria immagine, in accordo con le strategie dei reciproci manager, essendo il valore commerciale della stessa immagine legata ai rispettivi contratti (pubblicitari, di produzione cinematografica etc.). Tali contratti sono liberamente rescindibili in ogni momento perché non dipendenti da una singola cordata di potere come spesso avviene in Europa, ma fortemente legati all’immagine positiva dell’attore o del personaggio.
Concludendo, la vicenda Depp e Heard segna un altro punto di distinguo tra due società – quella europea e quella nord americana – e due civiltà giuridiche e sociali sempre più marcatamente distanti. Sia il processo che il divorzio hanno visto la coppia agire come individui, uniti una volta in matrimonio ma sempre come individui, peraltro indifferenti alla categorizzazione di genere. Un patrimonio di modernità che va ben analizzato, sia negli istituti che sorreggono il diritto di famiglia sia per le diverse connotazioni sociali nordamericane che ne contraddistinguono la cornice.
* Avvocato. Roma