di Maurizio Quilici *
Ci risiamo! Prima erano “padre” e madre”, poi vennero “genitore 1” e “genitore 2”. Nel 2018, però, Matteo Salvini, allora Ministro dell’Interno, dette disposizioni perché sui moduli per la carta di identità elettronica si tornasse alla precedente dizione e così fu fatto. Anzi, il 31 gennaio 2019 la procedura venne ufficializzata con un decreto firmato proprio da Salvini. Poi cambia il vento, ovvero cambiano i Governi, ma il decreto rimane, nonostante da più parti si solleciti a modificarlo. Finché si arriva al 9 settembre 2022, giorno in cui il Tribunale Civile di Roma sconfessa, in pratica, quel decreto, e stabilisce che, nel caso di specie portato alla sua attenzione da due donne omosessuali madri di una bambina – una legale, l’altra adottiva – la piccola debba avere sulla sua carta di identità la dicitura neutra “genitore”.
A quel punto la questione, che sembrava sopita, torna di grande attualità. Ma cosa accade in concreto? Cosa cambia? Assolutamente nulla, perché il Viminale, dal quale dipendono il format della CIE (Carta di Identità Elettronica) e la modulistica, ignora la sentenza (che alludeva a violazione di norme comunitarie e internazionali, a eccesso di potere e addirittura all’ipotesi di falso ideologico commesso da pubblico ufficiale in atto pubblico) e non dispone alcuna modifica del software. Il Comune di Roma, che sarebbe direttamente coinvolto e tenuto ad applicare la decisione dei giudici, sostiene di non poter fare nulla e rinvia la palla al Ministero dell’Interno.
Alle due donne oggetto della sentenza genitori toccherebbe avviare altre procedure giudiziarie nel tentativo di ottenere l’esecuzione della sentenza, oppure ricorrere in sede europea. Procedimenti lunghi, tortuosi e costosi, che scoraggerebbero chiunque. Come sa bene la ministra della Famiglia e delle Pari Opportunità, Eugenia Roccella, quando sbrigativamente affronta la delicata questione dicendo: “Chi vuole, faccia ricorso!”. Una frase che, al di là di come la si pensi, esprime un atteggiamento piuttosto sprezzante e arrogante.
La ministra aggiunge alcune considerazioni giuridiche, osservando che “si tratta di una sentenza individuale, dunque vale per la singola coppia che ha fatto ricorso”. Questo, francamente, lo sapevamo; sappiamo che altri giudici potrebbero decidere diversamente, però sappiamo anche che le sentenze, specie quando si moltiplicano, manifestano una tendenza (“fanno giurisprudenza”, come si dice, pur con un peso diverso a seconda che siano di merito o di legittimità). E soprattutto sappiamo che quella sentenza “individuale”, che “vale per la singola coppia che ha fatto ricorso”, andrebbe comunque rispettata ed eseguita. A me sembra grave che una pubblica istituzione e di grande significato, come il Viminale, ignori una sentenza della magistratura e che una ministra faccia da spalla. E speriamo che questa non sia l’ennesima frizione fra politica e magistratura, fra ideologia e diritto.
Naturalmente, sulla questione si è scatenata la solita ridda di commenti aspri dall’una e dall’altra parte della barricata. Da un lato tutto il centrodestra, Salvini e Roccella in testa, e tutto l’universo dell’associazionismo che si definisce “in difesa della famiglia e della vita”: da “Pro Vita” a “Generazione Famiglia”; dall’altro lo schieramento di centrosinistra e associazioni come Arcigay e Famiglie Arcobaleno. Mai come in questo caso le affermazioni sono state assolutamente e precisamente opposte, per cui la decisione del Governo “tutela i bambini”, “danneggia i bambini”; “salvaguarda le famiglie”, “non tiene conto delle famiglie”; “rispetta l’ordine naturale delle cose”, “trascura la realtà”; “è una piccola, grande vittoria” (Daniela Santanché), “è un insulto di Stato” (Alessandro Zan)…
Non è facile dare un giudizio sereno su tutta la questione, proprio perché essa è intrisa di ideologia, viziata dalla politica, spartita tra fazioni. A me, certo, una dizione come “genitore 1” e “genitore 2” suona strana e vagamente sgradevole a confronto di “padre” e “madre”. Ma probabilmente la mia è una impostazione… genetica che risente della generazione alla quale appartengo; probabilmente un/una ventenne di oggi ne trarrà una ben diversa sensazione. D’altra parte, che piaccia o no, è inutile negare la realtà. E la realtà è che la nozione di famiglia si è enormemente dilatata negli ultimi anni; cercare di mantenerla nel solco di una tradizione ottocentesca è pura illusione. Quando è evidente che la realtà sta cambiando, si deve prenderne atto, non necessariamente adeguandosi in modo supino ma cercando una concertata regolamentazione, un riequilibrio che ristabilisca un’omeostasi sociale. Non è facile, ma mi pare l’unica strada. Arroccarsi su posizioni antitetiche a che serve? A inasprire le tensioni sociali, creare sofferenza e disorientamento nelle persone. Il progressivo riconoscimento e rispetto della omosessualità (delle unioni omosessuali, così come della genitorialità omosessuale) e delle varianti alla identità sessuale (non tanto legata alla biologia quanto al proprio sentire), l’accettazione del “diverso” (termine pericolosissimo, da sempre testimone di tragedie epocali), la comprensione che non il “sangue” ma l’amore rende davvero vicini e legittima un’unione… Tutto questo è realtà. Realtà di oggi che è facile prevedere proiettata nel futuro. Opporvisi non può che essere una battaglia di retroguardia, analoga a quella che fu fatta contro il divorzio o contro l’aborto.
Un’ultima osservazione, da vero ingenuo (mi aspetto su questa dell’ironia) a proposito del famigerato software del Ministero dell’Interno. Ma un allestimento che preveda due opzioni – una per chi si riconosce “padre” e “madre” e una per chi voglia invece definirsi solo “genitore” – insomma, una riga A e una riga B, sarebbe un’impresa impossibile? Non sono un informatico, ma vedo che l’informatica può fare miracoli. Che non si voglia pensare alle soluzioni più semplici (e rispettose) per non perdere l’occasione di un’ennesima battaglia ideologica?
* Presidente dell’I.S.P.