di Gianluca Aresta *
L’art. 317 bis del Codice Civile – rubricato “Rapporti con gli ascendenti” – prevede che “Gli ascendenti hanno il diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni. L’ascendente al quale è impedito l’esercizio di tale diritto può ricorrere al giudice del luogo di residenza abituale del minore affinchè siano adottati i provvedimenti più idonei nell’esclusivo interesse del minore. Si applica l’articolo 336, secondo comma”, garantendo, così, sia il riconoscimento di un legame affettivo indiscutibilmente importante nella vita e nella crescita del minore, sia un diritto degli ascendenti all’apparenza pieno e meritevole di tutela assoluta.
Il legame tra nonni e nipoti, infatti, oltre ad essere universalmente riconosciuto tra i più sinceri e profondi da un punto di vista umano, assume grande rilevanza nel nostro sistema normativo, così come nell’impianto normativo europeo, che tutela il diritto dei minori a mantenere il rapporto con gli ascendenti (nonni e zii) a prescindere dall’eventuale separazione dei genitori e dalla conseguente disgregazione della famiglia. Ciò trova fondamento proprio in quella indiscussa rilevanza del rapporto nonno-nipote (è indubbio che quando si pensa agli ascendenti si pensa ai nonni!), ritenuto altamente significativo per quanto concerne l’educazione, la crescita, anche psicofisica, e il sostegno del minore.
Allo stato si potrebbe dire che si tratta di un diritto reciproco; in passato non erano i nonni ad avere un diritto di visita verso i nipoti, da poter far valere dinanzi al Tribunale, in caso di eventuale pregiudizio, ma solo il minore (nipote) a vantare il diritto di mantenere un rapporto significativo verso gli ascendenti. L’articolo 42 del D. Lgs. n. 154/2013 (rubricato “Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione a norma dell’art. 2 della Legge 10 dicembre 2012, n. 219”) ha, invece, modificato l’art. 317 bis cod. civ., riconoscendo agli ascendenti il diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni e la possibilità di ricorrere al Tribunale per i Minorenni del luogo di residenza abituale del minore, qualora l’esercizio di tale diritto venga ad essi impedito.
Questi due “diritti” – quello degli ascendenti e quello dei nipoti – spesso possono anche confliggere e, perciò, occorre operare un bilanciamento tra gli stessi, che non può non avere come parametro di riferimento i soggetti più deboli del rapporto e della crisi familiare, cioè i minori.
In realtà, se non può dubitarsi dell’esistenza di un vero e proprio diritto dei nipoti di costruire e mantenere una relazione stabile con i nonni, altrettanto non può dirsi con riferimento agli ascendenti; infatti, la configurazione di una situazione giuridica qualificabile in termini di “diritto soggettivo” in capo agli ascendenti è molto dibattuta in dottrina e in giurisprudenza. Da un lato, vi è un orientamento che afferma, sicuramente sostenuto dalla lettera della norma, che gli ascendenti siano titolari di un diritto soggettivo, tutelabile mediante lo strumento del ricorso giurisdizionale, eventualmente anche contro la volontà dei genitori, che devono astenersi dal compromettere la relazione di essi ascendenti con i nipoti. Dall’altro, un diverso orientamento attribuisce alla posizione dei nonni la qualifica di mero interesse, tutelabile solo nell’ipotesi in cui il suo esercizio non comprometta l’educazione e lo sviluppo dei minori. In caso di conflitto, quindi, la posizione degli ascendenti subirebbe una degradazione (o meglio, una compressione), finalizzata alla miglior tutela e all’armonioso sviluppo del minore.
I referenti normativi che possono guidarci sul sentiero della interpretazione di questo potenziale conflitto sono, appunto, l’art. 317 bis cod. civ.; l’art. 315 bis cod. civ. (rubricato “Diritti e doveri del figlio”) che, tra i diversi diritti riconosciuti ai figli, individua anche quello di mantenere rapporti significativi con i parenti, in primis con gli ascendenti; l’art. 337 ter cod. civ. (rubricato “Provvedimenti riguardo ai figli”), che tutela tali rapporti anche nell’ipotesi di affidamento dei figli minori a seguito di separazione o divorzio, posto il grave pregiudizio che la crisi coniugale può recare al minore; disposizioni normative, queste, che per quanto all’apparenza speculari per la loro formulazione, hanno portata e limiti ben diversi.
La giurisprudenza, sia nazionale, sia sovranazionale, ha cercato di tracciare una linea di confine tra il diritto del minore e il diritto (o l’interesse?) degli ascendenti, con un orientamento a dire il vero sempre in fermento che, a volte, ha fotografato posizioni non del tutto nitide e coerenti fra loro: in tal senso, anche la Suprema Corte di Cassazione ha affermato un intervento che appare orientato verso due direttrici.
Da un lato, vengono in rilievo, infatti, molteplici pronunce che riconoscono e garantiscono espressamente, quasi sacralizzandolo, il “diritto” dei nonni a mantenere il legame con i nipoti, nell’ipotesi in cui l’atteggiamento ostile dei genitori impedisca loro di coltivarlo. Questo orientamento veniva confermato, tra le altre, dalla Ordinanza della Corte di Cassazione del 19 maggio 2020, n. 9144, con la quale la Prima Sezione riconosceva che: “Ciascuno degli ascendenti (o delle persone agli stessi legate da rapporto di coniugio o di convivenza) è titolare di un proprio diritto a mantenere rapporti significativi con il nipote minorenne, avente carattere autonomo rispetto a quello degli altri, ed il cui esercizio è subordinato, in caso di contestazione da parte del genitori, ad una valutazione del Giudice in ordine alla capacità dell’istante di garantire un equilibrato sviluppo psicofisico del minore”, riconoscendo un simile diritto anche ai “coniugi degli ascendenti” in quanto membri del nucleo familiare di riferimento (c.d. nonni acquisiti).
Dall’altro lato, tuttavia, sono molteplici le pronunce in materia che sottolineano il carattere necessariamente “condizionato” del diritto degli ascendenti: si tratta di un diritto che, infatti, può trovare piena tutela (e riconoscimento) solo ove coincida con quello al corretto sviluppo psicofisico del minore e alla sua ottimale integrazione nell’ambito familiare. In caso contrario, il diritto in questione non potrebbe che essere degradato a mero interesse, non tutelabile dinanzi alla affermazione del primario beneficio del nipote.
Tale impostazione trova conferma anche nella elaborazione della giurisprudenza sovranazionale, muovendo dalla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo n. 107/10 del 20 gennaio 2015 (Manuello e Nevi c. Italia), con la quale l’Italia è stata condannata per non essersi adeguatamente adoperata al fine consentire il mantenimento della relazione familiare tra i ricorrenti (ascendenti) e la nipote. In tal caso, infatti, il rispetto della vita privata e familiare sancito dall’art. 8 CEDU poteva essere garantito solo attraverso un intervento positivo dello Stato, in luogo del generale divieto di astensione ed indebita ingerenza nella più intima sfera di riservatezza dei singoli.
Con la pronuncia in questione la Corte, sebbene abbia riconosciuto il ruolo fondamentale dei nonni nel percorso di crescita e di sviluppo dei nipoti, ha contestualmente avvertito l’esigenza di specificare che nel contemperamento degli interessi coinvolti occorre massima prudenza, in modo da evitare che il rapporto con gli ascendenti (nonni) assuma connotati negativi per il minore.
Tanto ha trovato conferma anche nell’orientamento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che, fondando il proprio convincimento sull’interpretazione del Regolamento UE 2201/2003, ha precisato che tutte le misure adottate nella crisi della famiglia, pur dovendo limitare nella minor misura possibile il novero dei soggetti che contribuiscono alla crescita del minore, devono essere ispirate alla tutela del superiore interesse dei figli/nipoti, che, a tal fine, devono essere ovviamente coinvolti nel relativo processo attraverso il delicato strumento dell’audizione.
Alla luce del quadro normativo e giurisprudenziale delineato, di rilevante interesse è l’ulteriore (e assolutamente diverso rispetto al precedente orientamento prima richiamato) contributo offerto in materia dall’Ordinanza n. 9145 del 19 maggio 2020 resa dalla Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione: non sfuggirà al lettore che si tratta di due pronunce rese nello stesso giorno dalla medesima Sezione della Suprema Corte!
In particolare, i Giudici di Legittimità hanno concentrato al loro attenzione sul “carattere recessivo” dell’interesse dei nonni, tutelato dall’art. 317 bis cod. civ., rispetto a quello preminente del minore di cui all’art. 315 cod. civ., statuendo che “Il diritto di instaurare e mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, riconosciuto agli ascendenti dall’art. 317 bis cod. civ., costituisce una posizione soggettiva piena soltanto nei confronti dei terzi, rivestendo invece una portata recessiva nei confronti dei minori, titolari dello speculare quanto prevalente diritto di conservare rapporti significativi con i parenti: è stato infatti precisato che tale diritto non ha carattere incondizionato, essendo il suo esercizio subordinato ad una valutazione del Giudice avente di mira l’interesse esclusivo del minore, e potendo quindi essere escluso o assoggettato a restrizioni qualora non risulti funzionale ad una crescita serena ed equilibrata di quest’ultimo, in quanto la frequentazione con i nonni comporti per lui turbamento e disequilibrio affettivo”.
Riportandosi a quanto affermato in precedenza dalla medesima Sezione con sentenza del 27 luglio 2018, n. 19780, la Suprema Corte ha ravvisato, quindi, il presupposto del riconoscimento del diritto degli ascendenti nella ricorrenza di una duplice condizione: una relazione stabile tra nonni e nipoti, tendenzialmente duratura, cui si affianca una positiva valutazione del Giudice circa il beneficio che il minore può trarre dalla cooperazione degli ascendenti con i genitori. Quest’ultimo aspetto è certamente sottoposto a modificazioni, derivanti da fattori oggettivi o soggettivi, che possono condurre alla esclusione, o quantomeno alla limitazione, del diritto (interesse) dei nonni, anche se riconosciuto in un provvedimento precedente.
Nel caso sottoposto all’attenzione della Corte, in particolare, la frequentazione del nonno era stata ritenuta pregiudizievole per un sano ed equilibrato sviluppo della personalità dei minori coinvolti. Ed infatti, il tentativo dell’ascendente di inserire nell’ambito familiare anche la propria moglie, oltre a determinare una potenziale destabilizzazione della coppia genitoriale, è stato ritenuto idoneo a compromettere il percorso formativo ed educativo dei nipoti..
I Giudici di legittimità, peraltro, pongono al centro della propria motivazione il primario interesse dei nipoti, rispetto al quale quello degli ascendenti risulta meramente collaterale: riconosciuto il diritto dei primi all’instaurazione e al mantenimento di una solida relazione con i secondi, si precisa che la situazione giuridica soggettiva attribuita a questi ultimi intanto può essere tutelata in quanto non determini una lesione del ben più importante diritto dei minori ad una crescita sana ed equilibrata. Infatti, nell’ipotesi sottoposta al vaglio della Corte, la conflittualità tra genitori ed ascendenti aveva determinato una irrimediabile tensione familiare “per effetto della perdita di spontaneità e per il conflitto di lealtà derivanti dall’essere oggetto di contesa tra i genitori ed il nonno”.
L’Ordinanza 9145/2020 della Suprema Corte rappresenta, pertanto, un ulteriore riconoscimento del prevalente interesse del minore, intorno al quale possono (anzi, devono) essere modellati i diritti degli altri membri della famiglia, partecipi del suo sviluppo psico-fisico, se e nella misura in cui risultino funzionali ad esso.
Il percorso avviato con l’inserimento nell’impianto codicistico dell’art. 317 bis cod. civ., così come progressivamente interpretato dalla giurisprudenza, risulta ulteriormente specificato dalla esplicita affermazione della sua “portata recessiva”: alla pienezza della posizione soggettiva dei nonni nei confronti dei terzi si contrappone la sua arrendevolezza rispetto a quello che si conferma essere, in ogni caso, il prevalente interesse del minore. Questo interesse, nonché il corrispondente diritto ad intrattenere dei rapporti significativi con i parenti, ed in primo luogo con gli ascendenti, conferma, ancora una volta, il suo ruolo di criterio principe nella definizione dei rapporti familiari e in tutti gli aspetti della sua crisi, tanto tra genitori, quanto tra questi ultimi ed i nonni, nel rispetto sia dei vincoli sovranazionali, sia della volontà del legislatore nazionale.
Invero, su questa altalena di orientamenti anche di recente la Suprema Corte di Cassazione è intervenuta, ancora una volta, “in favore” dei nonni ribadendo fermamente il loro diritto ad instaurare e mantenere una relazione affettiva con i propri nipoti. Lo ha sancito, infatti, la Corte di Cassazione che, con l’Ordinanza n. 21895/2022 depositata l’11 luglio 2022, ha dichiarato ammissibile la richiesta avanzata da un nonno paterno nei confronti della madre della nipotina, di poter avere e mantenere rapporti con la minore, a dispetto del conflitto in essere tra loro e ha respinto il ricorso della donna che chiedeva l’interruzione dei rapporti.
Il procedimento in esame traeva origine dal Decreto del Tribunale per i Minorenni di Perugia del 21 maggio 2021 che disponeva che il nonno paterno, eventualmente insieme alla nonna, potesse incontrare la nipote una volta alla settimana per due ore pomeridiane e che venisse offerto un percorso di sostegno sia al ruolo del nonno, sia alla genitorialità. Il Tribunale per i Minorenni, infatti, pur dando atto della latente conflittualità esistente fra il nonno e il padre della minore da un lato e la madre dall’altra, osservava che “la richiesta del nonno di vedere la nipote andava accolta nonostante il parere negativo espresso dal PM, tenendo conto delle qualità soggettive del nonno e dei valori dallo stesso condivisi per confermare che tale rapporto fosse da tutelare nell’esclusivo interesse del minore”.
Il nonno, si legge nel decreto, “appariva persona per bene e per la sua carriera svoltasi fra gli ufficiali dei carabinieri, egli era in grado di trasmettere alla bambina valori di legalità”, mentre le accuse di inidoneità avanzate della madre della minore erano prive di qualsiasi riscontro concreto. Contro tale decisione proponeva ricorso in Cassazione la madre della piccola ritenendo che fossero state valorizzate le caratteristiche personologiche del nonno, ma, al contempo, sottovalutata l’elevatissima conflittualità all’interno dell’ambiente familiare.
I Giudici della Suprema Corte, però, respingevano il ricorso della donna rilevando come la donna non avesse indicato alcuna lacuna argomentativa o carenze logiche del ragionamento dei Giudici del Tribunale per i Minorenni di Perugia e ricordavano che il legame instaurato tra i nonni e i nipoti deve essere salvaguardato proprio in nome del superiore interesse del minore, con ciò richiamando le più recenti pronunce della Corte Europea che, anche con la pronuncia n. 21052 del 13 gennaio 2021, ha ribadito che il legame fra gli ascendenti e i nipoti rientra certamente nella nozione di vita familiare, ai sensi dell’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e rappresenta, pertanto, un legame da tutelare e preservare attraverso misure idonee.
Purtuttavia, gli stessi Giudici di Legittimità precisavano che “il diritto degli ascendenti a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, previsto dallo art. 317 bis cod. civ., non ha un carattere incondizionato, essendo il suo esercizio subordinato ad una valutazione del Giudice avente di mira l’esclusivo interesse del minore, ovverosia la realizzazione di un progetto educativo e formativo, volto ad assicurare un sano ed equilibrato sviluppo della personalità del minore, nell’ambito del quale possa trovare spazio anche un’attiva partecipazione degli ascendenti, quale espressione del loro coinvolgimento nella sfera relazionale ed affettiva del nipote (cfr. Cass., Sez. VI, 12/06/2018, n. 15238)”.
Sono diverse le pronunce di merito e di legittimità che, negli ultimi anni, si sono occupate della problematica, seppur partorendo, come abbiamo visto, orientamenti a volte non coerenti fra loro, però sicuramente tutte hanno aiutato a delineare i confini del diritto degli ascendenti, fino a identificare tale diritto (senza operare alcuna forzatura interpretativa) come pieno soltanto qualora il coinvolgimento dei nonni nella crescita del minore si sostanzi in un fruttuoso progetto educativo e formativo, idoneo ad assicurare un sano ed equilibrato sviluppo della personalità dei nipoti.
Il diritto dei nonni di frequentare i nipoti minorenni è “strumentale alla piena realizzazione della personalità del minore” e, pertanto, “recessivo rispetto allo speculare e preminente diritto di quest’ultimo di crescere in maniera serena ed equilibrata” in armonia con tutte le figure affettive e identitarie del proprio contesto familiare. Per tale motivo, in caso di conflittualità fra le figure di riferimento e di provata inidoneità degli ascendenti, il Giudice minorile – al solo fine di assicurare la realizzazione del preminente interesse del minore – potrà adottare un provvedimento limitativo o interruttivo dei rapporti con i nipoti, qualora non risulti funzionale ad una crescita serena ed equilibrata per il minore o quando la frequentazione con i nonni comporti per lo stesso un turbamento e disequilibrio affettivo” (in termini, la innanzi richiamata pronuncia della Suprema Corte n. 9145 del 19/5/2020). Nella sentenza veniva confermata la legittimità della scelta dei genitori che avevano impedito ad un nonno di avere contatti con i nipoti, in ragione del comportamento negativo e inquietante tenuto dall’uomo, che era solito appostarsi nei luoghi frequentati dai nipoti e seguirli con l’autovettura, e respinta anche la richiesta di avviare gli incontri in spazio neutro, proprio in ragione del profilo soggettivo negativo del nonno.
Su questo terreno un pò scivoloso della affermazione della esistenza o meno di un diritto assoluto degli ascendenti alla frequentazione dei nipoti minori, è recentissima la pronuncia con cui i Giudici di legittimità hanno stabilito che il diritto dei nonni a frequentare i nipoti non può prevalere sull’interesse dei minori che si dimostrano apertamente contrari a una relazione con loro (Cass. Civ., Sez. I, ord. n. 2881 del 31/1/2023). L’ipotetico pregiudizio che potrebbe derivare dall’assenza di queste figure nel loro percorso di crescita non è sufficiente da solo a giustificare un obbligo per i bambini di vedere i propri ascendenti, affermano i Giudici di legittimità.
I nonni – ed eventualmente gli zii – devono appianare i contrasti e le tensioni con i genitori del minore se vogliono esercitare il loro diritto, non incondizionato, a frequentarlo. Il caso – che ha fatto piuttosto scalpore, arrivando fino alla Corte di legittimità – riguarda il ricorso di una coppia di genitori volto a evitare gli incontri, non graditi dai figli minori, con i nonni e uno zio paterno, a causa dei forti contrasti tra i parenti, problematiche che avevano addirittura spinto un Giudice a prescrivere alla nonna paterna l’assistenza di uno psichiatra a causa dell’elevata conflittualità (provvedimento poi revocato).
La Corte Suprema riafferma il principio per cui bisogna sempre tenere ben saldo il principio dell’interesse superiore del minore. Un criterio che finisce per prevalere sia sull’interesse dei genitori, sia, a maggior ragione, su quello di altri familiari: “È fuor di dubbio che ciascun minore ha un rilevante interesse a fruire di un legame, relazionale e affettivo, con la linea articolata delle generazioni che, per il tramite dei propri genitori, costituiscono la sua scaturigine”. Relazioni che, normalmente, “funzionano secondo linee armoniche e spontanee, perciò fruttuose per tutti gli attori in campo”. Ci sono, però, casi particolari in cui i risultati dei rapporti generano “situazioni limite che esigono l’intervento giudiziale, quando non sia sufficiente il buon senso a far superare le frizioni”.
L’intervento del Giudice in questo ambito deve tenere conto del fatto che l’articolo 317 bis cod. civ., nel riconoscere un vero e proprio diritto a mantenere rapporti di una certa intensità con i nipoti minorenni, non ha una portata incondizionata “ma ne subordina l’esercizio e la tutela, a fronte di contestazioni o comportamenti ostativi di uno o entrambi i genitori, a una valutazione del Giudice avente di mira l’esclusivo interesse del minore”.
Il fine è, dunque, la “realizzazione di un progetto educativo e formativo, volto ad assicurare un sano ed equilibrato sviluppo della personalità del minore, nell’ambito del quale possa trovare spazio anche un’attiva partecipazione degli ascendenti, quale espressione del loro coinvolgimento nella sfera relazionale e affettiva del nipote”. Un fine che può essere realizzato solo grazie alla buona volontà degli adulti, i quali devono in questi casi “sotterrare l’ascia di guerra” per il benessere psicologico dei bambini.
Viene ribaltata dunque la precedente pronuncia della Corte d’Appello, la quale aveva accolto il ricorso dei nonni in base alla constatazione relativa all’assenza di un reale pregiudizio per i nipoti nel frequentarli. La verifica, rimarcano i Giudici della Suprema Corte nella recentissima Ordinanza n. 2881/2023, va condotta “in termini positivi, della possibilità per gli ascendenti di prendere fruttuosamente parte attiva alla vita dei nipoti attraverso la costruzione di un rapporto relazionale e affettivo e in maniera tale da favorire il sano ed equilibrato sviluppo della loro personalità”.
In altri termini – conclude la Corte di Cassazione – “non è il minore a dovere offrirsi per soddisfare il tornaconto dei suoi ascendenti a frequentarlo, ove non ne derivi un reale pregiudizio”, ma è l’ascendente “a dovere prestarsi a cooperare nella realizzazione del progetto educativo e formativo del minore, se e nella misura in cui questo suo coinvolgimento possa non solo arricchire il suo patrimonio morale e spirituale, ma anche contribuire all’interesse del discendente”.
Chiarisce, ancora, la suprema Corte che “in caso di conflittualità fra genitori e ascendenti non si tratta di assicurare tutela a potestà contrapposte individuando quale delle due debba prevalere sull’altra, ma di bilanciare, se e fin dove è possibile, le divergenti posizioni nella maniera più consona al primario interesse del minore, il cui sviluppo è normalmente assicurato dal sostegno e dalla cooperazione dell’intera comunità parentale”. Compito del Giudice non è, dunque, individuare quale dei parenti debba vincere sull’altro, ma stabilire, sempre nel superiore interesse del minore, se i rapporti non armonici, o addirittura conflittuali, fra i parenti adulti “si possano comporre e come ciò debba avvenire”.
Vi sono, poi, delle circostanze in cui il diritto (condizionato) di visita degli ascendenti viene perso: ad esempio, ciò si verifica in caso di comprovati abusi verso i nipoti, oppure qualora vi sia una forte conflittualità tra i nonni e i genitori del minore, fattore che potrebbe portare a una situazione psicologicamente lesiva per il nipote. La decisione, in ogni caso, spetta al Giudice, che potrà, comunque, consentire il diritto degli ascendenti a vedere i nipoti attraverso incontri protetti o in presenza dei genitori, tutelando, così sia il nipote, sia l’ascendente (nonno), potendo anche riconoscere all’ascendente e al nipote il diritto a un risarcimento per danni morali a carico dei genitori del minore, nel caso in cui venga riscontrato l’effettivo impedimento dei genitori alla frequentazione tra nonno e nipote.
“A questo proposito occorre sottolineare come il carattere significativo del rapporto a cui fa riferimento l’art. 317 bis cod. civ. non possa che derivare da una relazione positiva, gratificante e soddisfacente del bambino con l’ascendente ed implichi, di conseguenza, una spontaneità di relazione e non una coercizione. Il mantenimento di rapporti significativi, perciò, non può essere assicurato tramite la costrizione del bambino, attraverso un’imposizione manu militari di una relazione sgradita e non voluta, cosicché nessuna frequentazione può essere disposta a dispetto della volontà manifestata da un minore che abbia compiuto i dodici anni o che comunque risulti capace di discernimento, ex art. 336 bis cod. civ.” (così, nella parte motiva, Cass. Civ., Sez. I, Ord. n. 2881 del 31/1/2023)”.
La riflessione che ci suggerisce la pronuncia in esame è, allora, se il mantenimento da parte degli ascendenti di rapporti significativi con i nipoti minorenni, nei termini chiariti dai Giudici di legittimità, può essere disposto a dispetto della volontà manifestata da un minore che abbia compiuto i dodici anni o che comunque risulti capace di discernimento, ex art. 336 bis cod. civ. .
La questione affrontata dalla pronuncia in esame impone una lettura delle norme coinvolte (che sono state richiamate già nell’incipit del discorso), vale a dire delle disposizioni di cui all’art. 8 CEDU e dell’art. 317 bis cod. civ. . L’art. 8 CEDU, avuto particolar riguardo alla posizione dei nonni, pur avendo lo scopo di premunire la persona contro le ingerenze arbitrarie dei pubblici poteri, non si limita a imporre allo Stato di astenersi da ingerenze: infatti, a questo impegno negativo possono aggiungersi obblighi positivi inerenti ad una “salvaguardia effettiva della vita privata o familiare”, i quali possono implicare l’adozione di misure volte al rispetto della vita familiare nelle relazioni degli individui tra loro.
Tra questi, possiamo trovare, come suggerisce la stessa Ordinanza della Corte di Cassazione, la predisposizione di un “arsenale giuridico” adeguato e sufficiente per garantire i diritti legittimi degli interessati, nonché il rispetto delle decisioni giudiziarie o delle misure specifiche appropriate, capace di permettere allo Stato di adottare misure idonee a riunire il genitore e il figlio, non solo in caso di conflitto tra i due genitori, ma anche quando la questione investa le relazioni tra il minore e i nonni. In tali situazioni, infatti, lo Stato dovrà attivarsi al fine di favorire la comprensione e la cooperazione di tutte le persone interessate, ma tenendo pur sempre in considerazione gli interessi superiori del minore e i suoi diritti come scaturenti dall’art. 8 della Convenzione (cfr. CEDU, 9 febbraio 2017, Solarino c. Italia e Corte EDU, 7/12/2017, Beccarini e Ridolfi c. Italia).
Fondamentale, però, al fine di risolvere le questioni riguardanti le modalità con cui riconoscere il diritto degli ascendenti a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, è, ancora una volta, il primario principio dell’interesse del minore: principio di carattere generale che trova la sua ragion d’essere nelle disposizioni di cui agli artt. 2, 30 e 31 Cost. (cfr., da ultimo, Corte Cost., sent. n. 79 del 23 febbraio 2022), ma soprattutto in diverse fonti internazionali, indirettamente o direttamente vincolanti per il nostro ordinamento, quali la Convenzione di New York sui Diritti del Fanciullo del 20 novembre 1989; la Dichiarazione sui Principi Sociali e Legali riguardo alla protezione e sicurezza sociale dei bambini del 3 dicembre 1986; il Patto Internazionale relativo ai Diritti Economici, Sociali e Culturali del 16 dicembre 1966; la Convenzione di Strasburgo in materia di adozione, elaborata dal Consiglio d’Europa ed entrata in vigore il 26 aprile 1968, nonché l’art. 24, comma 2, della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea, CDFUE, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e gli artt. 8 e 14 CEDU.
In secondo luogo, poi, sebbene ciascun minore vanti un rilevante interesse a fruire di un legame, relazionale ed affettivo, con la linea articolata delle generazioni, che, per il tramite dei propri genitori, costituiscono la sua origine, il carattere “significativo” del rapporto a cui fa riferimento la norma di cui all’art. 317 bis cod. civ., deve derivare da una relazione positiva, gratificante e soddisfacente del bambino con l’ascendente, tale da implicare una spontaneità di relazione e non una coercizione, come hanno appunto precisato i Giudici di legittimità.
Di conseguenza, il mantenimento di rapporti significativi non solo non può essere assicurato tramite la costrizione del minore, come ha sottolineato decisamente la Suprema Corte, attraverso un’imposizione manu militari di una relazione sgradita e non voluta, ma nessuna frequentazione può essere disposta a dispetto della volontà manifestata da un minore che abbia compiuto i dodici anni o che comunque risulti capace di discernimento, ex art. 336 bis cod. civ. . Pertanto, laddove queste relazioni non funzionino secondo linee armoniche e spontanee, tali da non risultare costruttive per tutti gli attori in campo, si renderà necessario l’intervento giudiziale al fine di stabilire, rivolgendo sempre l’attenzione al superiore interesse del minore, se i rapporti non armonici (o addirittura conflittuali) fra genitori e ascendenti si possano comporre e come ciò debba avvenire.
Ciò posto, nel caso di specie, la Corte di Appello, limitandosi a rilevare l’assenza di un pregiudizio per i minori derivante dal “passare del tempo con i nonni e lo zio paterni”, aveva, da un lato, trascurato totalmente di indagare, nel senso di cui sopra, quale fosse il superiore interesse, specifico e concreto, di ciascuno dei bambini nella situazione di conflittualità venutasi a creare fra genitori e la famiglia paterna, al fine poi di stabilire se le divergenti posizioni potessero essere oggetto di un proficuo bilanciamento in funzione di tale interesse e quali fossero i provvedimenti all’uopo più idonei, e, dall’altro, di spiegare quale fosse, nella realtà della situazione familiare posta alla sua attenzione, il preciso tornaconto dei minori a veder partecipare ciascuno degli ascendenti nel progetto educativo e formativo che li riguardava. Secondo i Giudici della Suprema Corte occorreva verificare la capacità di discernimento dei bambini coinvolti, al fine di disporne l’ascolto in presenza delle condizioni di cui all’art. 336 bis cod. civ. e, comunque, tenere conto della riottosità di uno degli stessi a questo coinvolgimento, così da evitare l’imposizione di rapporti non voluti.
L’Ordinanza in esame si presenta, altresì, interessante nella parte in cui gli Ermellini ricordano come i provvedimenti che incidono sul diritto degli ascendenti a instaurare e a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, sulla base di quanto disposto dall’art. 317 bis cod. civ., nel testo novellato dall’art. 42 del D. Lgs. n. 154/2013, al pari di quelli della responsabilità genitoriale emessi dal Giudice minorile ai sensi degli artt. 330 e 336 cod. civ., hanno attitudine al giudicato rebus sic stantibus, in quanto non revocabili o modificabili, salva la sopravvenienza di fatti nuovi e nella misura in cui definiscono procedimenti aventi ad oggetto conflitti tra posizioni soggettive diverse e nei quali il minore è “parte”.
La pronuncia resa dalla Suprema Corte probabilmente (anzi sicuramente, a parere di chi scrive) lascerà una traccia, una impronta ben marcata su quel sentiero interpretativo percorso alla ricerca della affermazione di un principio coerente e unitario in materia. Certamente, per un verso, ha riaffermato, con argomentazioni decise e coerenti, la prevalenza del superiore interesse del minore su quel diritto assolutamente condizionato degli ascendenti di mantenere rapporti con i nipoti, sottolineandone con fermezza proprio il profilo di diritto condizionato. Per altro verso, ha affermato la necessità di dover considerare adeguatamente, attraverso lo strumento della audizione, il punto di vista, i desiderata, del minore “soprattutto se si tratta di ragazzini capaci di discernimento o che abbiano compiuto 12 anni” cui non potrà essere forzatamente imposta, al di là di ogni altra argomentazione, una frequentazione con gli ascendenti, ove a lui sgradita. Valorizzando ancor più, così, rispetto al passato, il ruolo del minore quale “parte” del processo.
D’altro canto, non può non evidenziarsi come la recentissima ordinanza dei Giudici di legittimità abbia contribuito a fare un pò di luce proprio sulla discussa natura dei due “diritti” esaminati, lasciando al diritto degli ascendenti un profilo chiaramente ed indiscutibilmente condizionato, in quanto essenzialmente “funzionale all’interesse del minore”. Proprio in tale prospettiva, al Giudice sarà rimesso il compito non solo di accertare semplicemente l’assenza di pregiudizi per il minore nel mantenere la relazione con gli ascendenti, ma, primariamente, di accertare il “preciso vantaggio” derivante al minore dalla partecipazione degli ascendenti al progetto educativo e formativo che lo riguarda, senza imporre alcuna frequentazione, come già sottolineato, a dispetto di quanto avveniva in passato, contro la volontà espressa dei nipoti che abbiano compiuto i dodici anni o che comunque risultino capaci di discernimento.
Una prospettiva sicuramente diversa rispetto alle pronunce pure del recente passato che, ove trovasse humus fertile anche in altre successive statuizioni della Corte, servirebbe ad aprire un focus sulla figura del minore quale reale “protagonista” del processo in cui è “parte”, affinchè la sua posizione non sia più considerata, anche, se non soprattutto, dai Giudici come residuale o come mero riflesso delle posizioni giuridiche degli adulti coinvolti nella vicenda processuale.
- Avvocato. ISP Bari