Claudio Antonio Montrone,
Oh, prendi due birre dal frigo
Ultra, Roma 2021,
pp. 135, euro 14,00
Un padre adottivo, un padre avaro e immaturo, un padre violento, uno assente, … Tutti destinatari di una lettera scritta da un figlio o da una figlia (il sottotitolo del libro è “Lettere a papà”, mentre il titolo allude alla possibilità di “dedicarsi uno spazio, un luogo narrato in cui potersi fermare, bevendosi una birra fragrante con altri padri, con sé stessi o con i propri figli”). Vicende reali, raccontate da chi da più di dieci anni con i padri – e soprattutto con i figli – ci lavora, in qualità di pedagogista, counselor ed esperto di scrittura emotiva.
Sono lettere tenere, sofferte, intrise di dolore, pena, rimpianto. Eppure non c’è traccia di odio, di vendetta. Semmai di giustizia, come nella tremenda testimonianza della figlia che, agente di Polizia in prova, fa arrestare il padre per violenza domestica in flagranza di reato (e colpisce, nell’orrendo ricordo di cosa ha subito la madre, la frase che questa ripeteva di continuo alla figlia: “Ma almeno torna da me! Senza di lui sarei sola, che ne sarebbe di me?”). Un ritornello-vicolo cieco che ancora oggi inchioda tante donne.
Lettere che disegnano padri, ma anche figli, come il ragazzo gay che scrive “Non sarò mai padre”, o quello che invece prefigura il padre che sarà, nel nome e nel ricordo del genitore amato.
Affiora spesso una visione paterna patriarcale ed arcaica, gretta, ottusa, costrittiva, talora violenta, legata a stereotipi probabilmente più duri a morire nel Sud, dove opera l’autore di questo libro. Eppure, nonostante il dolore che impregna tante di queste storie, il tono è sempre contenuto, mai urlato. Certo, le emozioni sono lì, subito sotto la superficie, e fanno sentire la loro urgenza e le loro ferite, assieme ai ricordi (quando ci sono).
Sono lettere che ci ricordano l’importanza del padre. Nel bene e, purtroppo, nel male. Nel suo amore e nella anaffettività, nel suo esserci e nella sua assenza, nella sua dolcezza e nella sua violenza… In ogni storia troviamo alcuni elementi comuni: la necessità – purchessia, ad ogni costo – dell’amore paterno e il vuoto della sua mancanza (o della sua distorsione); la volontà di essere diversi dal modello del proprio padre. Quest’ultima – così frequente nei giovani che hanno sofferto un modello negativo di padre – è ciò che lascia sperare in un futuro migliore del rapporto padre-figli.
Diego Di Franco,
Il meraviglioso mondo dei papà
Giunti, Firenze 2023,
pp. 187, euro 16,90
Di libri che raccontano le esperienze della paternità esiste ormai un numero sterminato. Dolci, tenere, appassionate, defatiganti esperienze che esprimono tutto l’entusiasmo di una meravigliosa novità. Non pretendono di insegnare nulla, questi libri (del resto sono una sorta di allegri diari, non saggi) ma di comunicare ai futuri papà, o ai neo-padri disorientati, il proprio entusiasmo. Quasi tutti sono scritti in modo spiritoso, anche se il temine “spiritoso” è molto soggettivo e qualche volta il risultato può lasciare interdetti. Ma veniamo al testo in questione, che ha una sua non comune caratteristica: infatti, è scritto da un papà a tempo pieno, ovvero – come lui stesso si definisce – uno stay-at-home dad, ossia un papà che sta a casa. Insomma, un padre che ha deciso di fare il papà a tempo pieno o quasi, un “papà casalingo”, come suggerisce lo stesso autore. Partendo dal seguente assioma: “… in famiglia non esistono ruoli specifici, tutti possono fare tutto”, Di Franco scopre, dopo venti anni di attività lavorativa, che anche lo stare a casa e occuparsi dell’abitazione e dei due figli, un maschio e una femmina, è un lavoro: bello, creativo, ricco di emozioni e di soddisfazioni. Ed anche molto faticoso.
In realtà Di Franco un lavoro lo svolge, sia pure da casa: è un content creator, un creatore di contenuti, sia per se stesso (su FB ha aperto la pagina “Il Meraviglioso Mondo dei Papà”) che per le aziende (nel libro è spigata la differenza fra questa attività e quella di influencer). Però l’ordine di priorità è chiaramente espresso: lui è anzitutto “un papà”, poi “un casalingo” e solo al terzo posto è un content creator.
Si può facilmente immaginare come questa decisione (peraltro sempre meno insolita) susciti talvolta ammirazione, più spesso stupore, incredulità, ironia, sarcasmo. Tutte le situazioni legate alla rigida concezione delle “cose da uomo” e “cose da donna” sono vissute dal nostro papà: mosca bianca nella sala d’attesa della pediatra, nelle riunioni di classe, nelle chat “delle mamme”. Significativo l’episodio della mamma che gli chiede il numero della moglie per aggiungerla al gruppo di classe di WhatsApp e quando lui le dice “Ti do il mio”, risponde perplessa: “Sì, ma dammi anche il numero della mamma, per sicurezza”. Mamma che, dimenticavo, lavora come ingegnere, ma naturalmente fa anche la mamma.
Insomma, un libro tenero e spontaneo, scritto con il cuore, nel quale l’autore si apre senza infingimenti e senza segreti. Scritto anche con gradevole umorismo partenopeo. E tuttavia non è tutto rose e fiori. Ci sono le ansie per la lontananza dai figli e dalla moglie, la depressione, gli attacchi di panico… Attacchi che passano quando si ristabilisce un contatto con il figlio, che questo contatto pretende. Niente citazioni dotte, niente riferimenti bibliografici, solo una grande passione paterna da trasmettere. Perché “fare il papà è un dono che non capita tutti i giorni e dunque non va assolutamente sprecato”.