di Arnaldo Spallacci *
Frequentemente si parla, sia in ambito politico, come a livello mediatico, o più specificatamente in ambito scientifico (ad esempio negli “studi di genere”) della necessità di “correre in aiuto agli uomini”, talvolta per sostenerli nel liberarsi da una crisi in cui sarebbero precipitati (ormai da circa mezzo secolo, o forse anche più) senza trovarne valide vie d’uscita, altre volte per affrancarsi da un modello di mascolinità “patriarcale”, generatrice di un “maschile tossico” che costituirebbe il background di valori e comportamenti non solo criticabili, ma altresì pericolosi e addirittura distruttivi per se stessi e soprattutto per le donne e la convivenza sociale.
Chi potrebbe intervenire in soccorso ad un genere maschile che per molteplici ragioni, qui non esaminabili in dettaglio[1], pare vivere una condizione umana contraddittoria, che fa esclamare da un lato il comune detto “Non ci sono più gli uomini di una volta”, e dall’altro “Gli uomini devono liberarsi dai modelli tradizionali stereotipati che li portano a insensibilità, sete di potere, quando non violenza o addirittura omicidio”?
L’attivista politica inglese Emmeline Pankhurst[2] (1858-1928) ha raffigurato con nettezza una possibile soluzione già fra ‘800 e ‘900: “Dobbiamo liberare metà della razza umana, le donne, così che possano aiutare a liberare l’altra metà” (Cit. in Gasparrini, 2020). Qui già si esce dal principio astratto, e si determinano i soggetti che una volta liberati (le donne) aiuteranno a liberarsi i componenti dell’altra metà della “razza umana”, non citati, ma verosimilmente gli uomini. A chi attribuiva Emmeline Pankhurst il compito storico di liberare metà della razza umana (in quegli anni c’era la facoltà, oggi praticamente sfumata, di utilizzare la parola “razza”) visto che lei stessa apparteneva alla prima metà liberata, ovvero le donne? Probabilmente tale compito storico era riferito al ceto politico culturale, ai movimenti, alle istituzioni, principalmente costituiti dai ceti alti della borghesia,e spesso dalla aristocrazia, di cui la stessa Pankhurst faceva parte, che per primi posero le istanze dei diritti “civili”, fra cui quelli della eguaglianza sessuale (oggi si direbbe “parità di genere”).
Tutto quanto sopra detto ci porta diritti nel terreno del femminismo, a livello sia di discorso politico, come di pubblicistica scientifica ed accademica, nonché di letteratura di “divulgazione” (Spallacci 2019). A titolo di esempio, si ricordano qui due testi, usciti negli ultimi anni, dai titoli significativi e apparentemente contrastanti: Perchè il femminismo serve anche agli uomini, di Lorenzo Gasparrini, e Uomini contro. La lunga marcia dell’antifemminismo italiano, di Mirella Serri.
Nel nostro caso, quindi, l’ipotesi che il femminismo possa aiutare gli uomini a liberarsi, o quantomeno a migliorare, a cambiare valori, a mutare atteggiamenti e comportamenti, pone innanzitutto il compito di darne una prima definizione, classificazione e campo d’azione. Di definizione non ne esisterà solo una, data la multiforme esperienza, articolazione, storia della immensa galassia femminista. Al contempo si devono individuare elementi minimi ma significativi dell’altro polo della relazione, ovvero il genere (sesso) maschile, dei modelli di mascolinità oggi prevalenti, della trasformazione verso nuovi configurazioni valoriali e comportamentali, o viceversa della persistenza di parte degli uomini nell’alveo di una mascolinità tradizionale.
Le diverse esperienze del femminismo. Note
La galassia femminista
E’ utile, per risalire alla definizione di femminismo, rifarsi ad uno degli strumenti classici della sociologia italiana, ovvero il Dizionario di Sociologia, a cura di Luciano Gallino (1993), che lo definisce “Un movimento sociale diretto a superare le condizioni di inferiorità di cui è oggetto la donna, nel sistema politico ed economico, nell’educazione, nella famiglia, in ogni forma di relazione fra i due sessi”. Gallino pone la tradizionale distinzione fra il “vecchio” femminismo, nato nell’Ottocento, teso ad ottenere per la donna la parificazione dei diritti civili (e politici), e si parlava quindi di emancipazione della donna, e il ”nuovo” femminismo diffusosi negli anni ’60, alimentato da concezioni ideologiche e comportamenti collettivi che punta ad un trasformazione radicale di tutti i suoi aspetti. Si parla in questo caso di liberazione della donna.
Un’altra distinzione è quella che definisce il primo femminismo col termine “liberale” ed il secondo sviluppatosi a partire dalla seconda metà del secolo scorso col termine “radicale”. Il femminismo liberale si è battuto per la parità dei diritti nei campi della vita politica, istituzionale, sociale ed economica. Il femminismo radicale imputa specificatamente al potere maschile (così come si manifesta nel sistema patriarcale), l’origine delle “discriminazioni di genere” in tutti i campi della vita sociale, privata e pubblica, a svantaggio delle donne.
Le distinzioni di base qui illustrate sono importanti per tracciare una linea che dà ragione di posizioni diverse che si registrano nel mondo femminista, e soprattutto per orientarsi nello sviluppo successivo ovvero nella ramificazione, nella articolazione della vasta galassia femminista, al punto che – seguendo una tendenza diffusa a livello mediatico che tende a pluralizzare ogni termine – i “femminismi” oggi hanno seguito percorsi differenziati e complessi, al punto che non è possibile qui darne una descrizione anche solo sintetica. Rimanderemo così ad alcuni testi che con maggiore chiarezza e competenza sono intervenuti sul tema.
Ad esempio è utilissimo rifarsi al testo di Saveria Capecchi, Docente di Sociologia all’Università di Bologna, dal titolo La comunicazione di genere, aggiornato sulla evoluzione del femminismo, e sulle definizioni dei termini più diffusi, e del significato che acquisiscono nel mondo del “genere” (es. sessismo, genere, sesso, uguaglianza, differenza).
Riguardo alla complessa ramificazione-evoluzione del femminismo, ad esempio, Saveria Capecchi compone una “Mappa delle principali correnti femministe”, dove si individuano ben 14 correnti[3]. Il pensiero femminista ha influenzato molteplici campi del sapere, sociologia, antropologia, psicologia, ecc. Dagli anni Sessanta e Settanta del 900’, poi, quando si ha l’emersione del femminismo “di seconda ondata” (coincidente in linea di massima con quello che sopra si è definito “nuovo femminismo”), è entrato a far parte del linguaggio delle scienze sociali il concetto di “genere”, distinto dal termine “sesso”.
Dal sesso al gender (genere)
Del genere, mutuato dalla lingua anglosassone gender, si ha una prima definizione “ufficiale” per mano della femminista americana Gayle Rubin, nel 1975 (Cfr. Spallacci 2012, 17). Il genere appare come il risultato di un processo di costruzione sociale e culturale delle identità sessuali. Si distingue dal termine e dal concetto di sesso, in quanto quest’ultimo si configura come dato biologico e anatomico, è l’organico, eterno e immutabile (determinismo biologico). Viceversa il genere postula, in quanto costruzione sociale, la possibilità del cambiamento. Da qui l’affermazione che determinati comportamenti (maschili) siano l’effetto non tanto di processi ormonali (del testosterone, idea discretamente diffusa anche oggi nel pensiero comune) quanto piuttosto il prodotto di convinzioni culturali, di “ideologie”, della socializzazione in ambito familiare, scolastico, lavorativo, amicale. Ma su tali opinioni (ritenute sbagliate) maschili si potrebbe intervenire, da qui la diffusa convinzione (di cui si parla molto in ambito politico, ma anche nei talk-show, o nella stampa) di rieducare gli uomini – tutti gli uomini, o solo quelli violenti, dipende dal punto di vista di chi fa la proposta. Siamo quindi ritornati al discorso iniziale, aiutare, liberare gli uomini; non sappiamo esattamente in che senso lo intendesse Emmeline Pankhurst, ma sappiamo in che senso sempre di più lo si intende oggi; liberare, come si è detto all’inizio, gli uomini dagli stereotipi culturali (appunto), che li condizionerebbe ad esercitare una mascolinità essenzialmente dominatrice, avara di emozioni, tendenzialmente violenta.
La (o le) teoria del gender si è diffusa nell’ambiente accademico, negli studi femministi, ed ha dato luogo ai diversi filoni di studio, in generale detti dei Gender Studies, a partire dalle università americane, e dagli studi e ricerche ricompresi nel campo dei Women’s Studies e in seguito anche dei Men’s Studies. In Italia uno dei primi volumi fondamentali su questo campo di studi è stato il testo di Simonetta Picone Stella e Chiara Saraceno, Genere, del 1996.
Il cambiamento maschile dalla metà del secolo scorso a oggi.
La differenza. Biografie maschili e femminili
Per parlare del rapporto fra uomini e femminismo, e del bisogno che gli uomini avrebbero del femminismo, è imprescindibile parlare di quale tipo di uomo ci troviamo noi davanti, in questo tempo, nel nostro mondo occidentale ed in quello italiano. Di ciò esistono alcuni articoli in diversi numeri di ISP Notizie, di Silvana Bisogni e altri soci. A tali contributi ci affidiamo per comporre un quadro sintetico delle trasformazioni del maschile.
Si deve, come premessa, sottolineare che i contributi sul maschile, quantitativamente minori di quelli sul femminile se consideriamo l’ultimo mezzo secolo, appaiono assai contrastati, e fra loro contrastanti, specchio delle contraddizioni che l’universo degli uomini sta vivendo sempre più, in ogni campo della vita. Non parliamo solo degli studi scientifici ed accademici, ma anche delle rappresentazioni diffuse nella letteratura di divulgazione, nei media, nella politica, delle opinioni di movimenti (gruppi) politici di uomini, e di donne.
Se quindi risulterebbe difficile tracciare oggi un profilo prevalente unitario delle donne (ad esempio italiane), tale operazione risulterebbe pressoché impossibile per gli uomini. Perché, uomini e donne, negli ultimi tempi (gli anni del ”cambiamento” soprattutto nei rapporti di genere), hanno sperimentato biografie diverse negli anni turbinosi che hanno cambiato molto le nostre vite, a partire dal dopoguerra: gli anni della ricostruzione, della industrializzazione, della successiva terziarizzazione della economia e della società, fino al prevalere del mondo digitale di oggi.
Le donne, grazie al mutato contesto socio-economico, e politico, hanno in fin dei conti seguito un percorso più definito, ad esempio puntando ad un aumento della propria formazione scolastica (la scolarizzazione femminile da anni è più elevata di quella maschile); sono entrate in massa nel mercato del lavoro (specie nel comparto terziario della Pubblica amministrazione, e nei servizi); hanno dimostrato minore propensione al matrimonio, all’impegno nel lavoro domestico, alla procreazione. Tutto ciò è avvenuto anche per un certo sostegno che le donne hanno avuto nelle politiche pubbliche, ad esempio nei programmi di pari opportunità, ed in tutto ciò ha certamente inciso il femminismo.
Gli uomini hanno invece seguito percorsi più oscillanti, al punto che come detto è complicatissimo individuare un profilo prevalente, come invece in certa misura poteva avvenire una volta (tempi in cui esisteva uno “stereotipo maschile” relativamente unitario), ed infatti l’andamento della occupazione come della scolarizzazione maschile hanno seguito traiettorie molto variabili nel tempo. Sono comparsi molti modelli culturali di maschile, alcuni in effetti innovativi, altri viceversa ancorati ad un passato che non sembra sparire.
Dei modelli stereotipati del maschile abbiamo già scritto nell’articolo pubblicato su ISP notizie (e ad esso quindi rimandiamo). Anche della crisi maschile, tema dominante a partire dagli anni 70’, ma di cui oggi si parla assai meno, rimandiamo alla letteratura in bibliografia[4].
I costi dell’essere uomini. I rischi della obsolescenza maschile
Dagli anni ’80 del 900 sono comparse figure maschili molto critiche della mascolinità tradizionale (che viene talvolta appropriatamente definita “obsoleta”). Per il nostro discorso interessa rimarcare l’attenzione molto cresciuta negli uomini per la cura di sè sia sul piano estetico che anche per la salute. Specie nella paternità si ravvisano cambiamenti molto interessanti verso la cura dei figli. E’ chiaro che tutti questi modelli di new man come più volte si è detto non riguardano la totalità del maschile, in quanto alcuni settori sono rimasti ancorati ai modelli tradizionali del cowboy, del Marlboro Man, del patriarca familiare, fino ai confini estremi degli atteggiamenti omofobici e violenti. Ma nonostante ciò la quota di uomini che per convinzione, per opportunità, per necessità hanno dovuto ripensare alla propria vita, alla propria collocazione nella società, al rapporto con il femminile, ha una rilevanza maggiore di quanto comunemente si crede.
E’ in crescita la percentuale di uomini che con fatica regge quelli che nella letteratura di genere vengono chiamati i “costi” della mascolinità, che richiedono prove, sfide, antagonismi, che creano tensioni e sollecitazioni in contrasto con gli stessi costumi sociali moderni. La percezione che il modello patriarcale classico sia in molti casi obsoleto, che non tenga il passo non solo con il mutamento femminile, ma anche con i cambiamenti del “mondo”, nella famiglia, nel lavoro, nelle tecnologie, nelle organizzazioni, e in molteplici altri campi, è in aumento in porzioni significative del maschili, specie fra i giovani.
Ne sono una testimonianza anche i gruppi che hanno portato avanti fin dagli anni 70’ del secolo scorso temi, riflessioni, iniziative, programmi di “politica della maschilità”. I movimenti dei padri, i movimenti gay, i movimenti antisessisti, quelli per i diritti degli uomini, costituiscono esempi importanti – anche se non sempre hanno avuto un seguito di massa, o hanno perseguito gli obiettivi che si erano prefissi. Sotto questo profilo i movimenti delle donne, quindi il femminismo, hanno avuto un rilievo, un seguito, una visibilità, una incidenza sul vivere sociale e sul sistema politico incomparabilmente maggiore. Ma nonostante ciò, anche gli uomini si sono politicamente organizzati, hanno riflettuto su se stessi, hanno preso coscienza anche se con differenti percorsi. In fin dei conti si è trattato anche in questi casi di esperienze di auto aiuto, di “liberazione”, di trasformazione. Gli uomini quindi, seppure attraverso gruppi minoritari, si sono già sperimentati in questo campo.
Illegalità e violenza. Autori e vittime
Esiste un vasto campo in primo luogo di studio e di ricerca, che è quello degli uomini e della legalità, che li vede in prima linea non solo come autori (il caso saliente per definizione è quello del femminicidio) ma anche – e di ciò si parla assai meno – vede gli uomini presenti come vittime, al punto che l’indice del rischio vittimogeno maschile (ovvero la probabilità di restare vittime di reato) ammontava in Italia a 11,0 per gli uomini, e a 4,9 per le donne (Eures 2015, p.5).
Quindi legalità, illegalità, violenza sono un continente abitato prevalentemente da uomini, che al suo interno non ricoprono unicamente il ruolo di autore dei reati, o di altri atti illegali, o di organizzatori della criminalità, ma sul versante opposto, sono largamente presenti come vittime, in tutti i tipi di reato, salvo significativamente quelli a sfondo sessuale (come le violenze e molestie sessuali). Soprattutto nella violenza c’e necessità di un intervento, ma mirato particolarmente agli uomini che hanno manifestato tendenze pericolose.
Per il resto gli uomini, come dimostrato da indagini e statistiche (seppure le ricerche sul maschile in Italia siano poche e assai settorializzate) soffrono di problemi assai gravi, nel lavoro (come verrà specificato più avanti), data la loro ampia presenza nei settori specie industriali ad alto rischio: edilizia, trasporti, meccanica pesante; e sono molto presenti nel subappalto e nella manutenzione e degli impianti.
Problemi importanti si registrano nella salute maschile; non si deve dimenticare che la vita media maschile in Italia e in molti altri Paesi è circa cinque anni inferiore di quella delle donne. In conseguenza di quanto detto sopra sul lavoro maschile, è elevata la presenza maschile nelle malattie professionali. I casi di suicidio maschile rappresentano i tre quarti degli omicidi totali.
Nella educazione e formazione, da anni si parla di “disimpegno maschile”, sia sul piano quantitativo (i tassi di scolarizzazione, di diploma, di laurea maschili sono costantemente inferiori a quelli femminili), sia su quello qualitativo (l’apprendimento e l’impegno maschile sono decrescenti nel tempo). La dispersione scolastica colpisce più i maschi in quasi tutte le aree della istruzione.
Liberazione. I terreni e i soggetti del confronto.
Quindi, in conclusione, chi ci libererà? E da cosa? E perché? Dobbiamo prescindere, perchè la risposta richiederebbe approfondimenti complicati, dalla distinzione fra i diversi femminismi di cui si è parlato all’inizio di questo scritto; ovvero se alcune correnti sarebbero più consone ed efficaci nel condurre un dialogo con gli uomini. Se non si tratta quindi di fornire una risposta generale e una proposta “politica”, ci pare che il terreno più fertile sarebbe quello di individuare alcuni temi prioritari e specifici, concreti, per affrontare la questione in prima istanza.
Sul fronte maschile, si possono operare alcune distinzioni (già qui segnalate) utili per progettare, programmare, realizzare, valutare alcune azioni di sostegno, pari opportunità, promozione con carattere anche di sperimentazione, rivolte agli uomini. Preferiamo in questa sede utilizzare termini pragmatici, rispetto a quelli più usuali, umanitaristici, dell’aiuto, del soccorso, dell’emergenza, addirittura della “liberazione”. Ma anche le nostre proposte in questa sede potranno soffrire di genericità, in quanto primi ragionamenti in un terreno in realtà poco esplorato.
Per gli uomini che hanno relazioni specie con il femminile (e non solo), orientate al potere, o addirittura alla prevaricazione, alla molestia, se non alla violenza, un rapporto con il femminile e il femminismo sarebbe indispensabile, in termini di linguaggio di genere, di diversa visione e rispetto di se stesso e dell’altro, di ragionamento sulle differenze.
Un altro terreno importantissimo, molto concreto, attinente alle relazioni di genere in famiglia, è quello del lavoro domestico, del lavoro di cura, dove si verifica ancora fra le coppie una notevole asimmetria di genere. Si tratta di un fenomeno assai complicato in quanto determinato da una molteplicità di fattori non sempre facilmente individuabili e controllabili. Ciò che interessa qui sottolineare è che i tempi della vita quotidiana in famiglia sono determinati da fattori talvolta economici (es. il lavoro esterno dei coniugi, il reddito), e anche da fattori culturali (sul versante sia maschile che femminile), ai quali si dà sempre maggiore attenzione per il notevole influsso che esercitano sul fenomeno, sul quale un confronto più serrato col femminile e i femminismi sarebbe urgente oltre che assai utile (Capecchi S, p. 143-144).
Strettamente connesso e centrale è il tema della paternità, legato profondamente alla identità maschile generale, e alle relazioni di genere. Su questo tema è utilissima la lettura del libro di Maddalena Cannito, della Università di Torino, dal titolo significativo che è anche un progetto condivisibile, Fare spazio alla paternità (2022).
Per gli uomini che hanno propensione al rischio, a sottoporsi a prove per entrare nel circolo della mascolinità, poca cura della propria salute e talvolta dell’immagine, un dialogo con le donne può essere utile, per una educazione ad una diversa maschilità, ad un rapporto diverso con il proprio corpo, alla logica della prevenzione.
Esistono però molti uomini che il rischio e il pericolo lo subiscono (non tutti gli uomini sono uguali, e questo è dimenticato spesso dalla letteratura del gender e anche dai men’s studies). I lavori pericolosi e “sporchi”, ma pure quelli di soccorso nelle emergenze, sono destinati anche oggi in massima parte agli uomini. Specie fra quelli meno privilegiati, sono causa frequente di malattie e di morte. La ripresa della incidentalità sul lavoro in Italia si è riversata in massima parte sugli uomini, al punto che oggi i morti per incidenti sul lavoro rappresentano addirittura il 90% del totale. E’ quindi un fenomeno fortemente connotato in termini di genere, sebbene ciò non venga considerato nemmeno dalla letteratura di genere, e dai media, e richiama pienamente la distinzione fra mascolinità egemoni e mascolinità subordinate. E’ un fenomeno che richiama le separazioni di classe, le stratificazioni interne al maschile (Spallacci 2019, p. 254). Invece il fenomeno è stato finora pienamente degenderizzato, pur rappresentando anch’esso una forma di violenza (di classe e di genere), sul quale intervenire, questo sì, con urgenza, ma in cui gli interlocutori non appartengono ad altri sessi (o generi) ma semmai alle istituzioni delegate alla sicurezza, alle imprese, ai sindacati.
Anche la salute, al di là del lavoro, rappresenta un problema che grava pesantemente sui maschi, per cause molteplici, alcune probabilmente genetiche, altre oggettive, date dall’ambiente e dallo stile di vita, talvolta imposto, e altre soggettive, come la predisposizione individuale al rischio, alla scarsa cura di sé, al disinteresse per la prevenzione, alla certezza di poter contare indefinitivamente sulla propria forza “naturale”, per morire poi in ogni parte del mondo cinque o anche dieci anni prima delle donne. Anche qui le differenze di classe sono palesi, e non solo di classe; ancora a metà del decennio scorso, un uomo del Sud, con licenza elementare, aveva una speranza di vita di dieci anni inferiore ad una donna del Nord laureata. Già si intravedono importanti cambiamenti fra gli uomini, riguardo alla cura di sé, e all’attenzione per il corpo, alla prevenzione, ma l’esistenza di uno “specifico maschile” per la salute è da anni nell’agenda delle priorità in molti Paesi (ma non in Italia), che dedicano a ciò ricerche, risorse, programmi specifici nelle politiche sanitarie (Spallacci 2019, p. 255).
Infine non si possono ignorare due campi nei quali si nota un crescente disagio maschile, seppure in molti (e molte) non paiono essersene ancora pienamente accorti (e accorte), ovvero l’istruzione-formazione e il lavoro. Riguardo alla istruzione, come già anticipato, tutti gli indicatori collocano gli uomini in svantaggio rispetto alla componente femminile. La segregazione di genere, ampiamente documentata e discussa per le donne, esiste anche per gli uomini, ad ha ancora una volta caratteri di classe, ad esempio per i giovani di basso ceto, già colpiti da bocciature e altre disavventure scolastiche, confinati in istituti professionali per l’industria, agrari, ecc,, che seppure assicurano discrete opportunità lavorative, sul piano della socializzazione ed educazione di “genere” si configurano come veri “ghetti maschili”.
Nel lavoro, infine, che normalmente appare come un immenso regno ad esclusivo (o quasi) vantaggio maschile, un esame attento delle statistiche, e delle ultime tendenze, segnala un peggioramento che non per caso gli uomini dichiarano costantemente nelle indagini sulla qualità della vita, individuando nel lavoro e nella vita professionale un fattore di massima insoddisfazione. Per alcuni studiosi e ricercatori quindi si manifesterebbero nel maschile sintomi diffusi di distacco-disaffezione dal lavoro, come fonte di reddito e progetto di vita. Non si può escludere, e sarebbe certo da approfondire, che la recente (post-covid) carenza preoccupante di offerta di alcune figure professionali, provenga anche da un fronte maschile deluso e incerto sul proprio futuro professionale. In ambedue i campi, specialmente l’istruzione e anche il mercato del lavoro, la questione maschile non deve più essere considerata e studiata come problema neutro sotto il profilo del genere, ma come tema specifico di studio e intervento sul fronte maschile.
Praticare l’autonomia. Agire il rispetto.
Esistono terreni nei quali il confronto-aiuto con il fronte femminile-femminista può costituire per il maschile una preziosa occasione per emanciparsi dai costumi più retrivi, specie nel campo delle molestie, del linguaggio sessista, della violenza, e in linea di massima per tutti i problemi attinenti ai “rapporti di genere”. Il rapporto a senso unico andrebbe comunque contenuto, per incoraggiare viceversa un rapporto a due direzioni, che da una parte aiuti a riflettere verso linguaggi e comportamenti non corretti, e dall’altra (quella femminile) perché il rapporto comporti un arricchimento in termini di conoscenza dei problemi del fronte in questo caso maschile.
Considerando però che il nostro approccio verso il maschile propende per una visione a tutto campo (cfr. Spallacci 2012, 2019), a partire sia dai comportamenti problematici, scorretti e illegali-violenti, sostanzialmente da cambiare, ma anche considerando bisogni, fasi problematiche della vita, aree di crisi individuali e collettive, che riguardano gli uomini, e che, come qui ripetutamente si è posto in evidenza, ricevono spesso una attenzione ridotta, minima, o addirittura nulla.
Non esistono nelle realtà sociali (o si tratta di casi rari) divisioni nette fra insiemi, gruppi di individui che vivono solo il privilegio e la soddisfazione e altri opposti che vivono solo lo sfruttamento e la sofferenza. In questo senso ci siamo sempre discostati da chi, per ragioni di credo o di opportunità, ha descritto il maschile come un terreno di privilegio e potere quasi generalizzati, seppure in diversa misura, all’interno degli uomini.
Quindi nel quadro della vita maschile più ampia, molti ambiti di serio disagio maschile andrebbero meglio esaminati, da vari soggetti politici, istituzionali, del Welfare, sindacali e imprenditoriali, e altri, per promuovere programmi di supporto. Mai è successo per gli uomini, in quanto considerato genere dominante tout court, che si proponessero programmi specifici di sostegno. E invece in molti settori sarebbero utili, non solo per la violenza di genere. Ma tutto ciò non deve fermare od ostacolare il cammino, seppure lento e incerto, di molti uomini verso una autonomia di pensiero e di azione. Ci si “libera” anche con l’aiuto di altri, ma in ultima analisi soprattutto da soli, contando su proprie forze. C’è bisogno di cura e attenzione, e soprattutto rispetto verso se stessi, verso le donne, gli altri uomini, i figli, e gli strati fragili della società, principalmente gli anziani. Il rispetto di tutti e tutte verso tutti e tutte.
- ISP Bologna
[1] La letteratura sulla condizione maschile oggi, e sulla crisi (supposta o reale) degli uomini, è molto ampia e variegata. Una sintesi delle vicende sociali e storiche che hanno contraddistinto l’esperienza maschile specie negli ultimi 50 anni si trova in Spallacci, 2012; per l’Italia in specifico si veda Spallacci, 2019.
[2] I meriti politici di Pankhurst non sono stati da poco, ha guidato fra l’altro il movimento delle “suffragette”, perché le donne potessero avere il diritto di voto, partecipare appunto al “suffragio universale” al pari degli uomini.
[3] Fra le correnti principali e più note ricordiamo il già citato Femminismo liberale o Equal Right Feminism (ambito angloamericano). Movimento delle Suffragette (Regno Unito). Movimento emancipazionista (Italia). Poi nella fine degli anni Sessanta e negli anni Settanta del Novecento, il Women’s Liberation Movement. La Teoria del gender (ambito angloamericano). Il pensiero della differenza sessuale (Francia).
[4] Per una ricostruzione della vicenda della crisi maschile Cfr. Spallacci 2012, pagg. 115-149
Bibliografia
Bisogni, S,. “GAP di genere nelle università italiane”, in ISP Notizie n. 2-3/2022.
Bisogni S., “Casalinga e casalingo… pari sono”, in ISP notizie n. 4/2021.
Cannito M., (2022), Fare spazio alla paternità, Il Mulino, Bologna.
Gallino, L., (1993), Dizionario di sociologia, Tea Utet, Torino.
Gasparrini, L., (2020), Perché il femminismo serve anche agli uomini, Eris, Torino.
Capecchi, S., (2018), La comunicazione di genere. Prospettive teoriche e buone pratiche. Carocci Editore.
Eures (2015), III Rapporto su caratteristiche, dinamiche e profili di rischio del femminicidio in Italia, EURES, Roma.
Piccone Stella S., Saraceno C., (a cura di), (1996), Genere, il Mulino, Bologna.
Spallacci, A., (2012), Maschi, Bologna, Il Mulino.
Spallacci, A., (2012), Maschi in bilico, Milano Udine, Mimesis.
Spallacci, A., “Il maschio oggi, così costruisco il mio corpo”, in ISP Notizie 1/2023.
* Sociologo. ISP Bologna