di Maurizio Quilici *
In un momento storico in cui sembra che si sia in parte esaurito l’interesse sul tema della paternità che mezzo secolo fa, con i “nuovi padri”, teneva banco sui media, colpisce favorevolmente la serie di articoli pubblicati – tutti quest’estate – proprio sull’argomento a noi caro. Vediamo se essi ci comunicano qualcosa di nuovo. Cominciamo da un articolo pubblicato sul sito www.fanpage.it, a cura di Sophia Crotti (17 giugno 2024). Spiega uno studio pubblicato nel 2023 su Oxford Academic, secondo il quale la gravidanza provoca cambiamenti non solo nella materia grigia del cervello materno (cosa di cui le neuroscienze ci avevano già informati da tempo), ma anche in quella dei futuri papà, specialmente se diventano genitori per la prima volta. Anche sulle modifiche cerebrali (e quindi del comportamento) degli uomini “in attesa” sapevamo qualcosa, ma questo studio aggiunge alcune informazioni. Ci ricorda che i cambiamenti legati alla gravidanza sono concentrati soprattutto nella corteccia cerebrale, la sostanza grigia che riveste gli emisferi cerebrali, luogo deputato a molti meccanismi cognitivi complessi, quali la memoria, l’attenzione, il linguaggio ma anche – cosa di particolare interesse ai fini della paternità – a disposizioni morali quali il senso del giusto/sbagliato e il senso di responsabilità. Aggiunge però che mentre la struttura del cervello maschile – a differenza di quello femminile – non modifica la sua architettura, si assiste a una riduzione della materia grigia. Nessuna paura, però: ciò non significa – rassicurano gli autori della ricerca – un peggioramento nelle funzioni cerebrali, ma un “riadattamento” al nuovo ruolo e ai nuovi compiti di genitore. Riadattamento che, stando anche a un ulteriore studio condotto nel 2024 dallo stesso gruppo, si tradurrebbe nella capacità di elaborare in modo più rapido e efficiente i segnali e gli stimoli che giungeranno dal bambino (una attenzione più acuta e sensibile) e quindi di stabilire con lui un forte legame. Purtroppo la medaglia ha anche una faccia negativa: questa maggiore attenzione paterna si traduce anche in una possibile tendenza alla depressione (è ormai accertata scientificamente la depressione post-partum maschile), all’ansia, ai disturbi del sonno.
Altro articolo, quello pubblicato a distanza di 24 ore dalla rivista Vogue sul sito www.vogue.it. (18 giugno 2024). Questa volta l’autrice, Nell Frizzell, racconta (dopo aver premesso di non essere “una convinta maschilista”) di come abbia imparato ad essere un buon genitore dal proprio padre prima e dal padre di suo figlio poi. Inglese, 39 anni, Frizzell ricorda i grandi cambiamenti che hanno segnato la paternità nel suo Paese: i 18 minuti al giorno che un padre trascorreva con i figli nel 1961 (un dato fornito dall’Università dell’Essex), la legge sulla parità salariale del 1970, i primi segni di cambiamento negli anni ’80, quando ancora, però, non esisteva il congedo di paternità retribuito. Il racconto prosegue narrando il rapporto personale con suo padre, un padre certamente in anticipo sui tempi, che amava passare del tempo a giocare con lei e soprattutto insegnarle cose o comunque fare cose assieme a lei (a quanti padri dubbiosi ho detto: non preoccupatevi tanto di fare cose “per” vostro figlio; baste che facciate cose – anche le più banali – “con” vostro figlio).
L’autrice dell’articolo cita poi una ricerca svolta dall’Università del Kent nel 2021 che riassume una serie di prove a sostegno del fatto che un coinvolgimento dei padri nella cura dei figli può contribuire (io direi che certamente “contribuisce”) a ridurre l’eventualità di disturbi emotivi e comportamentali. Ma qui siamo su un terreno ormai abbondantemente seminato e arato: numerosissimi sono gli studi che mostrano l’importanza della vicinanza paterna ai fini di un equilibrato sviluppo del minore. Infine, racconta di come il suo bambino di sei anni non mostri alcuna preferenza fra madre e padre e come, quando ha bisogno di qualcosa (di carattere fisico o cognitivo), si rivolga indifferentemente all’uno o all’altro genitore. Segno evidente di un coinvolgimento paritario dei genitori, di una eguale presenza. Quanti bambini, purtroppo, sono invece inguaribilmente “mammoni” vuoi per una iper-presenza materna vuoi per una latitanza paterna? Non gliene verrà un gran bene.
A ridosso degli altri due (17 giugno 2024), ecco un altro articolo, scritto da Francesca Favotto e pubblicato su www.vanityfair.it, dal titolo “Crolla la figura del padre come riferimento autorevole”. Oggetto dello scritto una ricerca condotta dalla Fondazione Foresta Onlus fra l’ottobre 2022 e il marzo 2024 (il 15 aprile 2024 la ricerca era stata illustrata su www.fanpage.it, in una intervista di Niccolò De Rosa al prof. Carlo Foresta, endocrinologo all’Università di Padova e presidente della Fondazione).
Nell’ambito del progetto “Prevenzione andrologica permanente nelle scuole” è stato distribuito un questionario a 4.383 studenti fra i 18 e i 20 anni negli istituti delle scuole superiori di Padova e Lecce, con il quale essi dovevano definire il ruolo genitoriale di padre e madre secondo gli aggettivi “amichevole”, “autorevole”, “indifferente”, “problematico”. A quanto pare (ma ci ripromettiamo di saperne di più su questa ricerca, indubbiamente interessante) i figli non cercano più (o non trovano più) l’autorevolezza nella figura paterna, ma piuttosto in quella della madre. Ora, che la figura del padre abbia perso la sua autorevolezza (quante sostantivi hanno usato gli psicologi: appannamento, evanescenza, scomparsa…) a causa non di una auspicabile presa di distanza dal patriarcato ottocentesco ma di una deprecabile confusione e duplicazione di ruoli (il “mammo”) è fuor di dubbio. Ma alla responsabilità individuale dei “mammi”, pronti a tutto concedere pur di evitare il conflitto, si associa quella collettiva di una società che svaluta la figura paterna privandolo delle sue prerogative, dei suoi caratteri, dei suoi diritti. Come evitare qui il riferimento alla maternal preference che ancora segna tante sentenze di separazione e affidamento? Argomento delicato sul quale l’I.S.P. non ha mai cessato di sottolineare i diritti delle madri e le responsabilità dei padri, ma che qui giunge a proposito; infatti la ricerca – alla quale hanno collaborato lo psicoterapeuta Pietro Aliprandi e il biologo Andrea Di Nisio – rileva un dato estremamente significativo, nell’articolo illustrato da Carlo Foresta, endocrinologo e presidente della Fondazione Foresta Onlus: agli occhi di un figlio l’autorevolezza di un padre separato si dimezza, sia per i maschi che per le femmine. Il rischio di apparire “indifferente” aumenta di 2/3 volte e quello di risultare “problematico” fino a 4/5 volte rispetto ai padri coniugati. C’è bisogno di spiegare il perché di questo meccanismo? Ecco quantificata la svalutazione paterna che è insita nei procedimenti giudiziari di separazione e affidamento: l’automatico allontanamento, la difficoltà di ottenere – e poi di veder rispettato – un paritario diritto di visita, il frequente impoverimento sul piano economico, certi atteggiamenti giurisprudenziali che non tengono minimamente conto del sapere pedagogico e psicologico di cui oggi disponiamo – e si veda, quantomai a proposito, la recente sentenza di Cassazione illustrata nella Rubrica “Diritto e… rovescio” di questo numero – tutto concorre a svilire l’immagine paterna, a ridurne non solo l’autorevolezza, ma persino quella che non dovrebbe mai venire meno, la dignità. Intervistato dalla autrice dell’articolo, Foresta osserva che affrancarsi dal modello patriarcale, assumendo un nuovo ruolo, è difficile per i padri a causa di pregiudizi ancora ben radicati, “per esempio che gli uomini siano meno bravi ad accudire rispetto alle donne. Non è un caso” – aggiunge – “che quasi il 90% degli affidi in coppie separate ricada sulla madre, rinforzando lo stereotipo del padre che è solo un sostegno economico”.
Tre articoli su diversi aspetti della paternità, pubblicati nell’arco di 48 ore, fanno ben sperare che l’attenzione su un tema di così grande rilievo per un equilibrato sviluppo dei figli non sia, poi, tanto scemata.
- Presidente dell’I.S.P.