di Silvana Bisogni *
E’ stata pubblicata dall’ISTAT (20 giugno 2024) l’annuale ricerca statistica “NOI ITALIA”, che offre uno spaccato sui diversi aspetti demografici, economici, sociali e ambientali dell’Italia e delle differenze regionali. Ne emerge un quadro complesso, con la rilevazione di molti elementi positivi, ma anche di aspetti critici, che provocano non poche inquietudini in prospettiva futura. Uno di questi elementi è senz’altro la dimensione demografica, che negli ultimi anni ha registrato sempre un trend negativo. Secondo l’Istat, al 1 gennaio 2024, i residenti in Italia sono stati
Area geografica | Totale
popolazione |
Popolazione
Maschile |
Popolazione femminile |
Nord-Ovest | 15.904.974 | 7.797.356 | 8.107.618 |
Nord-Est | 11.585,068 | 5,690,729 | 6.894.339 |
Centro | 11.723.825 | 5.694.244 | 6.029.631 |
Sud | 13.411.488 | 6,559.457 | 6.852.031 |
Isole | 6.364.344 | 3.109.255 | 3.255.089 |
Italia | 58.989.749 | 28.851.041 | 30.138.708 |
Il tasso di crescita naturale è in costante diminuzione dal 2007, quando era dello 0.1% per 1000 abitanti, fino all’attuale – 5,5%, a cui hanno contribuito la dinamica naturale sfavorevole caratterizzata da un eccesso di decessi sulle nascite, la pandemia COVID-19 e la tendenza ad un tasso di fecondità totale (1,24 figli per donna) che è tra i più bassi in Europa, mentre quello necessario a mantenere stabile il livello complessivo della popolazione sarebbe il 2,11. Lo scorso anno, per la prima volta dall’Unità d’Italia, le nuove nascite sono state inferiori alle 400.000 (392.598): nel 1964 erano state 1.016.120, quasi il triplo rispetto al 2022. Il numero delle nascite è solo in parte compensata dai movimenti migratori e dai ricongiungimenti familiari degli stranieri.
Sono di nuovo in aumento i matrimoni celebrati (189.140 nel 2022) dopo il periodo negativo dovuto alla pandemia: il quoziente di nuzialità, sceso a 1,6 matrimoni per mille abitanti nel 2020, si assesta su un valore pari a 3,2 per mille nel 2022. Sempre nel 2022, le separazioni sono state complessivamente 89.907 (-8,2%, rispetto al 2021), mentre i divorzi sono stati 82.596, dato stabile (2021, -0,7%).
Questo breve flash ci consente di entrare più in particolare nel tema di questo articolo: la composizione della popolazione italiana per stato civile. Non mancano le sorprese.
Secondo il D.P.R. 3 novembre 2000 n.396, che ne disciplina l’ordinamento, lo stato civile è il complesso delle singole posizioni giuridiche spettanti alla persona nella famiglia, nello Stato e nella comunità giuridica. Fino al 1996, gli status giuridici erano: celibe/nubile; divorziato/a; coniugato/a; vedovo/a. La circolare del Ministero dell’Interno n. 09605006-15100/4571 del 13 settembre 1996 ha semplificato le terminologie da usare per definire lo stato civile, eliminando lo status di divorziato/a, di vedovo/a, e la differenza tra celibe e nubile, limitando l’identificazione individuale rispetto all’eventuale contratto matrimoniale in essere. Attualmente, nello stato civile, sono ammesse le definizioni: coniugato/a; libero/a. Possiamo quindi inquadrare la popolazione italiana secondo queste due definizioni. Quanti sono i cittadini coniugati? Quanti sono invece quelli che risultano “liberi” o, secondo un termine attualmente usato “single”?
Partiamo dal dato relativo alle famiglie e alla loro composizione. Le famiglie con un solo componente sono il 34,4% del totale, con 2 componenti sono il 28,6%, con 3 componenti il 18,3%, con 5 componenti il 9,3% e, infine, con 6 componenti l’1,1%. Le coppie con figli rappresentano il 29,6%, mentre le coppie senza figli raggiungono il 19,6%. Vi sono poi le famiglie cosiddette monogenitoriali (per separazioni, divorzi, vedovanze, o per scelta) che costituiscono il 9,3%.
Le coppie con figli (29,6% della popolazione), non necessariamente coniugate, hanno in prevalenza un solo figlio, con una distribuzione che varia tra il 44% al Sud e il 49,8% nelle regioni centrali, in prevalenza nelle aree metropolitane centrali (51,5%) e comunque nei comuni con più di 50.000 abitanti. La fascia di coppie con due figli si attesta intorno al 42% con variazioni minime, tranne che nell’area del Nord-Est (39,3%), più numerose nelle zone periferiche delle città e nei comuni con una popolazione tra i 10.000 e i 50.000 abitanti. Le coppie con tre figli e più sono più numerose al Sud (12,9%) e meno presenti nelle aree territoriali centrali, con una netta tendenza a risiedere nelle periferie delle città, e nei comuni tra i 10.000 e i 50.000 abitanti.
Dunque le persone che vivono sole, senza altri componenti familiari, sono il 34,4% del totale della popolazione residente: si tratta di 8.847.000 individui, residenti in netta prevalenza nel Nord-Ovest e nelle regioni centrali. 4.813.000 hanno più di 60 anni. Riprendendo la tradizionale suddivisione per stato civile, emergono questi dati:
Persone sole (dati percentuali) – Italia, maschi
Dato | Meno di 45 anni | 45-64 anni | 65 anni e più |
Dato generale | 30,9 | 39,9 | 29,2 |
Celibe | 34,3 | 52,4 | 27,9 |
Separato/divorziato | 15,6 | 42,8 | 27,9 |
Vedovo | 0,1 | 4,7 | 47,7 |
I dati confermano che i maschi vivono la condizione da single soprattutto tra i 45 e i 64 anni, in situazione di celibato o come conseguenza di separazione e divorzi, ma dopo i 65 anni di età subentra in prevalenza la condizione di vedovanza,
Persone sole (dati percentuali) – Italia femmine
Dato | Meno di 45 anni | 45-64 anni | 65 anni e più |
Dato generale | 13,5 | 25 | 61,6 |
Nubile | 86,9 | 44,2 | 12,4 |
Separata/divorziata | 12,1 | 40,7 | 11,8 |
Vedova | 0,9 | 15,1 | 75,8 |
Per le femmine la condizione da single è molto alta tra i 45 e i 64 anni, in situazione di nubilato o come conseguenza di separazione e divorzi, ma dopo i 65 anni di età è altissima la condizione di vedovanza.
Una categoria di famiglie che tende ad aumentare è quella definita monoparentale o monogenitoriale, tipologia che costituisce il 9,3% del totale. Sono famiglie composte da un solo genitore con figli, quale conseguenza di situazioni createsi nel tempo e dovute a separazioni e divorzi, a vedovanze oppure anche a scelte individuali. A livello nazionale sono monogenitoriali soggetti in età superiore ai 55 anni (51,4%), più per i maschi al 63,5%, e il 27,9% tra i 45 e i 54 anni, più per le femmine al 28,4%. Si tratta in prevalenza di separati e divorziati (51,7% per i maschi e 47,1% per le femmine). La vedovanza colpisce complessivamente il 33,7% delle persone che vivono sole.
Un particolare da tenere presente, ma che spesso sfugge alle statistiche, è rappresentato dalla presenza sul territorio italiano di individui che hanno scelto la vita religiosa nel cattolicesimo e quindi sono single per vocazione e per voto, anche se la condizione è leggermente diversa. I sacerdoti infatti fanno voto di celibato, mentre suore e monaci fanno voto di castità perpetua. Secondo la Conferenza Episcopale Italiana e l’Istituto centrale per il sostentamento del clero in Italia sono residenti 35.000 sacerdoti, di cui 32.000 in attività, presenti nelle 25.610 parrocchie italiane, negli istituti e ordini religiosi. Le suore e le monache di clausura sono 67.000, e vivono in 8.183 conventi, mentre i frati e i monaci sono circa 2000 e appartengono a 118 istituti religiosi (ordini, congregazioni, abbazie, fraternità). Non si hanno dati certi sulla presenza di ecclesiastici e religiosi di altre espressioni religiose. Vanno poi considerati gli immigrati residenti, che, secondo l’ISTAT (Immigrati.Stat) sono 5.307.593. Di questi 2.301.003 risultano celibi o nubili, 36.287 separati, divorziati o vedovi. I dati si riferiscono agli immigrati censiti, non è possibile definire la quantità di single tra i non regolari,
Nel confronto con i Paesi europei, i dati Eurostat sulle dimensioni delle famiglie europee rivelano che oltre un terzo delle famiglie nell’Unione europea è single. Sono oltre 221,3 milioni i nuclei monofamiliari nell’Unione, in aumento di 2,4 punti percentuali rispetto al 2010 (31%). In testa alla classifica dei single troviamo la Svezia (il 51%), la Danimarca (44%), la Lituania (42%), la Germania e la Finlandia (41%). Più bassa la percentuale a Malta (19%), Portogallo e Slovacchia (22%). E’ registrato un netto aumento dei single, in particolare, nei Paesi dell’Est Europa: Lettonia e Bulgaria (+10%), Estonia (+9%), e Lituania (+7%).
Questa carrellata statistica induce ad una riflessione sulla radicale trasformazione che la società italiana ha vissuto e sta vivendo, a partire dal XX secolo. I cambiamenti demografici e i loro effetti sono diventati sempre più veloci, per la convergenza di una molteplicità di fattori socio-economici, tecnologici e culturali: il crollo delle nascite, dovuto anche all’erosione dei potenziali genitori a opera della denatalità dei decenni passati, il drammatico incremento dei decessi a seguito della pandemia da COVID-19, il processo di invecchiamento della popolazione (l’età media è aumentata da 42,3 anni al 1° gennaio 2004 a 46,6 anni al 1° gennaio 2024). Gli adulti e i giovani, complessivamente, sono diminuiti di poco meno di 2 milioni di individui: al 1° gennaio 2024 i residenti con un’età compresa tra 16 e 64 anni contano 36.866.000 (il 62,5 per cento del totale della popolazione), il 2,5% in meno rispetto al 2004, mentre i bambini e i ragazzi fino a 15 anni sono oggi 7 milioni 766 mila (il 13,2% del totale della popolazione), con una perdita di quasi un milione di individui rispetto al 2004. La popolazione di 65 anni e oltre è cresciuta di oltre 3 milioni (il 24,3 %, + 5,1 punti percentuali rispetto al 2004); oltre la metà hanno 75 anni (il 12,6% della popolazione totale), con un aumento di 3,8% in venti anni.
Secondo le proiezioni demografiche delle Nazioni Unite per il 2070 in Italia si stima una diminuzione della popolazione di quasi l’11%. Senza nuova immigrazione la diminuzione sarebbe addirittura del 33%, e in meno di mezzo secolo i residenti scenderebbero a 40 milioni.
I cambiamenti nei processi di formazione delle famiglie e nelle strutture familiari hanno comportato drasticamente la riduzione di quota di coppie con figli, mentre sono cresciute le coppie senza figli e i nuclei monogenitore, in particolare quelli di madri sole con figli. Sono aumentate le persone che vivono da sole, tra gli anziani, anche per effetto della vedovanza, e tra gli adulti, mentre sono dilatati i tempi della transizione alla vita adulta tra i giovani, sempre più in difficoltà nell’ingresso alla indipendenza economica.
Si sono progressivamente diffuse nuove modalità di formazione della famiglia. Coppie non coniugate, famiglie ricostituite, single non vedovi e monogenitori non vedovi nel 2023 rappresentano oltre un terzo del totale delle famiglie (erano il 20% nel 2002-2003). Sono soprattutto i bambini e i ragazzi fino ai 24 anni, che sempre più spesso vivono con genitori non coniugati o con madri single, a essere interessati dalle trasformazioni dei modelli familiari. Tra gli adulti tra i 25 e i 64 anni è raddoppiata la quota di quanti vivono senza partner ed è più che raddoppiata quella di quanti vivono con un partner senza essere coniugati, o in famiglie sposate in cui almeno uno dei due coniugi proviene da un precedente matrimonio. Anche le persone anziane sono state investite dalle nuove modalità familiari: sono aumentati quelli che vivono da soli a partire dai 65 anni non soltanto come conseguenza della vedovanza e – tra i 65 e i 74 anni – sono raddoppiati quanti sperimentano forme non tradizionali di unione (libere unioni e famiglie ricostituite).
I percorsi di istruzione e formazione si sono allungati, ed ampie fasce di popolazione con titoli di studio di basso livello sono sensibilmente diminuite, soprattutto da parte delle donne, così come sono aumentate le persone tra i 25 e i 34 anni con un titolo di studio terziario e oltre i due terzi delle persone di 35-44 anni e più della metà dei 45-64enni hanno almeno il diploma. Si pensi che 20 anni fa tra la popolazione anziana di 65 anni aveva il diploma solo 1 su dieci, oggi sono circa un quarto. Parallelamente nel contesto economico e sociale, si è modificata la possibilità di ingresso e di permanenza nel mercato del lavoro soprattutto per i più giovani, con una erosione costante per i giovani tra i 15 e i 24 anni ed una vulnerabilità della loro condizione lavorativa connotata sempre più spesso da contratti a termine e a tempo parziale. Anche la partecipazione delle donne adulte al mercato del lavoro, benché sia sensibilmente cresciuta, riducendo il divario di genere, si mantiene pur sempre in condizione di differenza (17,9 punti nel 2023).
L’Eurispes (35° Rapporto Italia, Percorsi di ricerca nella società italiana, 2023) interviene nel dibattito e sottolinea quale sia l’impatto delle difficoltà economiche e dell’insicurezza sulla scelta dei giovani in età riproduttiva, a “metter su famiglia”. Tuttavia, afferma il Rapporto, ciò non spiega in toto i punti cardini del problema. “Questi elementi hanno sicuramente il loro peso, e ciò è confermato dal confronto con i tassi di natalità di altri paesi europei, che risultano, seppur di poco, più elevati. Considerando, però, che la serie storica della progressiva denatalità si inaugura nella seconda metà degli anni Settanta e si approfondisce negli anni Novanta, è evidente che alla base della riduzione dei tassi di riproduzione non c’è soltanto l’insicurezza economica o la precarietà lavorativa delle giovani generazioni. È proprio nei decenni di quella che Galbraith definiva ‘la società opulenta’ che comincia a manifestarsi una tendenza per la quale formare una famiglia non è più la risposta meccanica a ciò che la società richiedeva e considerava come una dimensione quasi obbligata”.
E’ innegabile che questo fenomeno colpisce solo i paesi occidentali; in un processo che è un unicum nella storia: “per la prima volta, nella storia conosciuta, una comunità umana allargata vede diminuire fortemente gli individui che la compongono, pur in assenza di calamità naturali, di carestie, di epidemie, di guerre devastanti”.
Una ipotesi interpretativa suggerisce che la crisi della famiglia abbia origine in un benessere mediamente sempre più diffuso. A riprova viene citato il fatto che i tassi riproduttivi nel nostro Paese sono più elevati tra le fasce sociali più deboli e nelle aree geografiche meno sviluppate. Si tratta, dunque, di un fenomeno di natura culturale e antropologica: “dalla famiglia patriarcale e contadina delle società pre e protoindustriali si è passati a quella nucleare e, sempre di più, a quella mononucleare, ovvero caratterizzata da uno ‘stato di famiglia’ che riporta un solo individuo”.
Le conclusioni del Rapporto sembrano improntate ad un sostanziale pessimismo sulle prospettive future della nostra società. La drastica riduzione di giovani e la crisi profonda della famiglia tradizionale aprono le porte ad una società in cui potranno svilupparsi “monadi” che ricordano le speculazioni filosofiche di Gottfried Leibniz (1714): una società costituita da figli unici, “atomi spirituali”: eterni, indivisibili, individuali, che seguono le proprie leggi, senza interagire con gli altri.
- Sociologa dell’educazione. ISP Roma