A distanza di quasi un anno dalla sua promulgazione, la Legge 10 dicembre 2012, n. 219 (Disposizioni in materia di riconoscimento dei
figli naturali) continua a far discutere.
E’ una legge importante, che con una semplice frase, all’art. 1, comma 1, cancella decenni di ingiusta disparità tra figli “legittimi” e “illegittimi” o “naturali”: 1. “L’art. 74 del cordice civile è sostituito dal seguente:
“Art. 74. – (Parentela). – La parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite [qui si fermava l’art. 74 prima della novella, n.d.r.] sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all’interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso (…)”. In realtà l’art. 74 c.c. nella vecchia disciplina non poneva il vincolo matrimoniale come condizione alla parentela, ma questo derivava da tutto l’impianto legislativo, per il quale l’unico vincolo parentale del figlio naturale era quello con i genitori.
Intuibili le conseguenze legali, soprattutto sul piano successorio. Un aspetto per il quale Ferruccio Tommaseo, ordinario di Diritto processuale civile all’Università di Verona, definisce senza mezzi termini la 219 “rivoluzionaria”.
Altro pilastro della legge, il comma 7: sostituisce l’art. 315 c.c., che stringatamente stabiliva il rispetto del figlio verso i genitori e l’obbligo di contribuire al mantenimento della famiglia, con un 315 (Stato giuridico della filiazione) che icasticamente sancisce: “Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico”, e con un 315-bis che stabilisce: il diritto del figlio “di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti”; il suo diritto, se ultradodicenneo anche infradodicenne ove capace di discernimento; quello “di essere
ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano”; al terzo punto ripete il vecchio art. 315 estendendone leggermente
la portata. Sono princìpi che già erano contenuti nel nostro sistema giuridico,in leggi dello Stato (ad es. la 54 del 2006) o in convenzioni internazionali ratificate anche dall’Italia.
Infine, la disposizione al comma 11, che ad alcuni è parsa superflua: “Nel Codice Civile, le parole ‘figli legittimi’ e ‘figli naturali’, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla seguente: ‘figli’”.
La legge abbassa da 16 a 14 anni il limite di età entro il quale serve il consenso del minore per il riconoscimento, e soprattutto porta da 16 a 14 anni la possibilità,previo consenso del giudice, di riconoscere i propri figli. Modifica da piùparti ciriticata, poiché – si sostiene – presupponein soggetti giovanissimi, e in materia così delicata, una maturità che è ben lontana dalla realtà.
All’art. 2, tra i “princìpi e criteri direttivi” ai quali deve attenersi il Governo, delegato a rivedere le disposizioni vigenti in materia di filiazione, l’obbligo di delineare “la nozione di reponsabilità genitoriale quale aspetto dell’esercizio della potestà genitoriale”. Sul concetto di “responsabilità genitoriale” (cfr. ISP notizie n. 2/2012 e questo numero a p. 3).
Altri punti salienti dell’art. 2 quello in cui si chiede di specificare la nozione di abbandono morale e materiale dei figli,“fermo restando che le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore… non possono essere di ostacolo all’esercizio deldiritto del minore alla propria famiglia”. Qui sembra di sentire l’eco di osservazioni più volte fatte dal civilista Cesare Massimo Bianca, che ha presieduto la apposita Commissione sul diritto di famiglia (relazione conclusiva 4 marzo 2013).
Di grande rilievo la previsione della “legittimazione degli ascendenti a far valere il diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minori”. Non più, solo, un diritto del minore – come sancito dalla Legge 2006/54 e ribadito più volte dalla Cassazione – ma una legittimazione anche degli ascendenti. Resta da chiarire se nell’ambito del giudizio di separazione (cosa criticata da avvocati e magistrati, che vedono come il fumo negli occhi un moltiplicarsi dei soggetti in giudizio) o in via autonoma o in entrambi i casi.
Una vera rivoluzione è la modifica di competenze dei tribunali ordinari e di quelli per i minorenni in materia diseparazione e affidamento. I primi sono ora competenti non solo per le separazioni e gli affidamenti dei figli tra persone sposate, ma anche per separazioni e affidamenti nelle coppie di fatto. La competenza del tribunale per i minorenni rimane in pochi casi.
Questa norma ha suscitato irate proteste da parte di tutti i giudici minorili, e non solo. Secondo Antonio Frasso, procuratore presso il Tribunale per i minorenni di Salerno, la legge doveva rendere la materia “facile, semplice, certa”, ma “è andata esattamente nel senso contrario”. Per Vittoria Correa, presidente del Tribunale per i minorenni dell’Aquila, si tratta di una legge “orribile” ed incomprensibile, se non per il fatto che dimostra la volontà di eliminare i tribunali per i minorenni”.
Critica anche Annamaria Bernardini de Pace, avvocato matrimonialista, che seccamente commenta: “La legge sulla filiazione sconvolge l’assetto della famiglia. Si stabilisce la dittatura dei figli”. Più cauta, Maria Giovanna Ruo, presidente della Camera Nazionale Avvocati per la Famiglia e i Minorenni, osserva che “la legge 219 è una grande legge ma con alcune criticità”.
Spezza una lancia a favore Gianfranco Dosi, presidente dell’Osservatorio Nazionale sul Diritto di Famiglia: “Ogni legge” – osserva – “ha un valore simbolico e promozionale e uno applicativo, processuale”. Possono esserci disfunzioni nell’applicazione, ma “se i princìpi sono giusti, la legge è buona”.
Se da un lato si può pensare alla reazione di una categoria – quella dei giudici minorili – che si sente defraudata di una radicata competenza e protesta badando al suo particulare, dall’altro non si capisce la ratio di un tale provvedimento, che non sembra andare a favore dei figli. Vero è che la divisione delle competenze in questa materia è apparsa sempre discriminatoria e non funzionale (da
qui l’auspicato Tribunale per la famiglia), ma se la legge 219 intendeva porvi rimedio forse sarebbe stato più logico un gesto contrario: attribuire ai tribunali per i minorenni ogni competenza in materia di separazione con figli minori. So che in tanti la pensano diversamente, tuttavia credo che la struttura dei tribunali per i minorenni – pur con carenze e provvedimenti talora discutibili – sia di regola più congeniale al famoso “interesse del minore”, offra una maggiore specializzazione e forse maggiori garanzie, date anche dalla presenza dei giudici onorari accanto a quelli togati.
Ancora polemiche ha suscitato la previsione che possano essere riconosciuti dai genitori i “figli incestuosi”, ossia nati da genitori legati da vincoli di parentela. Secondo alcuni politici questo si tradurrebbe in una legittimazione dell’incesto.
Sorvolo sui dubbi interpretativi, specie procedurali, che anche questa legge ha suscitato mobilitando giurisprudenza e dottrina. Sembra ormai impossibile promulgare leggi scritte in modo semplice, chiaro, univoco. A volte – è deprimente il rilevarlo – sembra persino che manchi, nella stesura, un pieno possesso della lingua italiana e una chiara comprensione del significato dei suoi termini.
di Maurizio Quilici
(Presidente dell’Istituto di studi sulla paternità)