Giuseppe Magno,
Il giardino di Ebe,
datanews, Roma 2014,
pp. 183, € 14,00
Giuseppe Magno è un magistrato, si è occupato per oltre trent’anni di minorenni, è stato Direttore dell’Ufficio Minorile del Ministero di Grazia e Giustizia. I soci dell’I.S.P. lo conoscono per una conferenza che tenne nella sede dell’Istituto e per alcuni pregevoli articoli pubblicati su ISP notizie.
Magno ha pubblicato molte opere relative alla sua materia, ma ama anche affrontare gli stessi temi in forma romanzata. Come le sue opere precedenti, anche questa tratta un argomento di rilievo penalistico e dolorosamente diffuso: il rapimento di un minore da parte di un genitore. Fenomeno che la diffusione dei matrimoni misti rende particolarmente drammatico e di attualità e nel quale le convenzioni internazionali che regolano la materia appaiono troppo spesso impotenti.
Non è facile assegnare un genere a Il giardino di Ebe. Giallo? Poliziesco? Romanzo d’azione? Romanzo psicologico? Forse dovremmo parlare di “generi” che si mescolano. Che è anche questo, se vogliamo, il discorso dei vari “livelli di lettura” al quale si è accennato durante la presentazione romana del libro. Comunque si voglia definirlo, il libro è molto gradevole. Scritto con agile ritmo, coniuga in modo appassionante una vicenda umanissima e i suoi profondi risvolti psicologici. E poi, una storia come questa, che somiglia a tanti casi reali che coinvolgono padri nei panni della vittima (non solo, ma soprattutto) non può non essere stimolante per i lettori di questo notiziario.
Guido Savio,
Figlio e Padre,
Armando Editore, Roma 2013,
pp. 158, € 15,00
“Bandire, per quanto possibile, la paura, la paura di sbagliare, la paura di fare ‘danni’, la paura di offendere. La paura di non essere perdonati, la pura del senso di colpa, la paura appunto che i ‘segni’ diventino ferite”. Questo il “codice”, la “regola” della relazione padre-figlio (dove figlio prescinde naturalmente dal genere) secondo Guido Savio, psicologo e psicoterapeuta vicentino che in questo libro torna su un argomento già trattato (Il padre, 1999). Nella Introduzione Savio afferma di non voler disquisire se sia più importante la relazione con il padre o quella con la madre (questione che ci pare francamente oziosa e certamente mal posta); ma certo in tutta l’opera il padre riafferma la sua validità e la sua ragion d’essere. Portatore di un pensiero positivo che è spinta alla vita, all’azione, dispensatore di fiducia nei confronti del figlio, modello (ma solo in quanto si sia liberato dalla idealizzazione di se stesso), maestro (in contrapposizione al padre ostentatore), ed anche, come sappiamo, colui che si inserisce tra madre e figlio (pone il percorso della distinzione, nel linguaggio di Savio), ad evitare rapporti simbiotici potenzialmente patogenetici. Tutto questo, e ancora molto altro, è il padre.
Grazia Attili,
L’amore imperfetto,
il Mulino, Bologna 2012,
pp. 217, € 14,00
Bel libro, di chiara e interessante lettura, il testo di Attili, docente di psicologia sociale alla Sapienza, affronta i molteplici aspetti della genitorialità in chiave esclusivamente evoluzionistica. Tutto è spiegato sotto il profilo di un adattamento evolutivo, diretto, nella fattispecie, al “successo riproduttivo”: la asimmetria nell’allevamento da parte di padre e madre, la gelosia, l’infedeltà, la scelta del partner, il maltrattamento sui figli, la trasformazione dei padri…, tutto è fatto risalire a fattori che risalgono a centinaia di migliaia di anni fa ma che ancora oggi – per gli evoluzionisti – fanno sentire il loro peso.
L’approccio evoluzionista in psicologia è spesso seducente, convincente. Tuttavia, se l’impianto filogenetico è indiscutibile, l’influenza dei fattori storici, sociali, culturali (in una parola “l’ambiente”) provvede a modificare ampiamente quell’impianto originario, assieme alle capacità proattive delle persone. Insomma, a volte gli evoluzionisti danno l’impressione di… forzare la mano e una impostazione, per esempio, social-cognitiva orienterebbe ben diversamente il focus delle riflessioni di genere.
La dichiarata appartenenza ad un preciso indirizzo teorico, che poco o nulla tiene in conto altre impostazioni teoriche, è forse l’unico limite del libro. L’ultimo capitolo è sui padri e coerentemente si intitola “Padri darwiniani”. Su questo particolare argomento si può notare che l’Autrice si serve di ampi riferimenti ad autori quali Bowlby e Winnicott, i cui importanti studi trascurarono notoriamente la figura paterna e hanno subito notevoli correzioni negli ultimi anni. Per il resto, il libro offre numerosi spunti di riflessione e informazione ed è reso più piacevole da numerose citazioni letterarie e da un ricorrente sense of huomour. Nel complesso, nel panorama di pubblicazioni spesso superficiali e insopportabilmente divulgative, un testo serio.
Didier Pleux,
In famiglia comando io!,
URRA, Milano 2012,
pp. 207, € 13,00
Il fenomeno del “bambino tiranno” sta diventando in molte famiglie la regola e stimola, da una decina d’anni, l’attenzione di sociologi e psicologi. Una regola che fa l’infelicità del bambino (con buona probabilità di esiti ancor più infelici nell’adolescenza e nell’età adulta) e dei suoi genitori. Eppure, intorno a noi, negli adulti non vediamo altro che rassegnazione, impotenza, giustificazione. Proprio lo stupore nel constatare quali distorsioni comportamentali la “dittatura” di molti bambini suscita negli adulti – genitori e insegnanti anzitutto – ha spinto Pleux, psicologo clinico, direttore dell’Istituto francese di terapia cognitiva, a scrivere questo libro. Senza la pretesa di offrire soluzioni univoche, ma con lo scopo di far riflettere e di suggerire strategie idoenee a contrastare bambini viziati, capricciosi, violenti, maleducati, egoisti, intolleranti alla frustrazione. Nessun rimpianto per un autoritarismo d’antan, ma il recupero di una autorità che si situi fra permissivismo e autoritarismo.
Nelle famiglie (e forse, per motivi storici, culturali e antropologici, in quelle italiane più che in altre) i bambini hanno spesso il sopravvento sui genitori, tiranneggiandoli, sfidandoli, ingannandoli. Se cresceremo i figli come piccoli egoisti irresponsabili, “alimentati solo dal principio del piacere”, avremo in seguito una generazione di giovani – e poi di uomini – prepotenti e arroganti, insieme fragili e violenti. Qualcuno penserà che si tratta di uno scenario eccessivamente e inutilmente drammatico. Non lo pensa Pleux (e non lo pensiamo noi), il quale scrive: “Non c’è niente di peggio della sottovalutazione di un comportamento infantile inappropriato”. Al suo primo capitolo l’Autore ha premesso questa citazione: “Se in gioventù abbandoniamo l’uomo alla sua volontà e nulla gli si oppone, manterrà una certa ferocia per tutta la vita”. Firmato: Immanuel Kant, La pedagogia.