Antonello Vanni,
Figli nella tempesta,
San Paolo, Milano 2015,
pp. 213, € 16,00
L’autore, docente di Lettere, perfezionato in Bioetica all’Università Cattolica di Milano, affronta spesso nei suoi libri il tema dei giovani, della famiglia, della paternità e il suo nome è già apparso in questa rubrica. Sul tema della paternità ricordiamo: Il padre e la vita nascente, Padri presenti figli felici, Lui e l’aborto… In questo testo Vanni affronta un tema doloroso e assai dibattuto: quello della separazione e del divorzio. Lo fa, naturalmente, nella sua ottica, quella di una persona che, per convinzione ideologica e religiosa, è contraria al divorzio – e ancor più di quello “breve” – così come è contraria all’aborto (ma chi è – mi chiedo sempre – è favorevole all’aborto?) e a forme di famiglia che non siano quella “naturale”. Figli nella tempesta rispecchia questo atteggiamento e naturalmente presenta separazione e divorzio in una pessima luce, citando molti studi che avvalorano la tesi divorzio = conseguenze tragiche per i figli ma trascurando quelli che minimizzano le conseguenze della separazione (personalmente, ho espresso più volte la convinzione che la verità non stia né in un estremo né nell’altro e che la separazione sia sempre un trauma per i figli, doloroso e difficile ma con molte gradazioni).
Detto questo, Vanni ha il pregio di scrivere con chiarezza, passione, semplicità. E’ discutibile affermare che la legge sul divorzio “ha portato al tracollo definitivo del matrimonio e quindi della famiglia” ed è stata “il motore di un potenziale sgretolamento”, o sostenere che il divorzio porta con sé “conseguenze psicologiche nell’immediato e sofferenze che dureranno tutta la vita” (corsivo nostro). Non si può che concordare, invece, quando l’autore sottolinea la prassi giudiziaria italiana che nelle separazioni allontana di fatto il padre o quando osserva che, “nonostante sia sempre più chiara l’importanza del padre per il benessere dei figli, la riflessione scientifica e mediatica italiana è ancora molto lontana dal considerare seriamente gli effetti della sua lontananza”.
Anche consigli e spiegazioni dati a chi, comunque, si trova nel vortice doloroso della separazione sono condivisibili, dettati non solo da competenza ma certamente dall’osservazione di molti casi. Particolarmente apprezzabile il capitolo sulla scuola, nel quale è evidenziata l’importanza che la figura dell’insegnante (purtroppo quasi sempre poco preparato su questi temi) può rivestire per aiutare i figli dei separati.
Diogo Mainardi,
La caduta. I ricordi di un padre in 424 passi,
Einaudi, Torino 2013,
pp.155, € 18,00
Assolutamente indefinibile, sconcertante eppure affascinante, questo libro – che un nostro socio ha donato all’Istituto – racconta la nascita di Tito, bambino venuto al mondo con una paralisi cerebrale a causa di un errore medico. Ce ne parla suo padre, scrittore e giornalista brasiliano, attraverso una girandola frenetica e spezzettata di brevissimi paragrafi, 424. Quella cifra non è casuale, ma è il numero di passi che lentamente, giorno dopo giorno qualcuno in più, Tito è riuscito a compiere prima di cadere. 424 frammenti apparentemente slegatissimi, che a un primo approccio possono lasciare perplessi e risultare persino irritanti: vanno da Pietro Lombardo (progettò la Scuola Grande di San Marco, a Venezia, dove fu collocato l’ospedale della città e dove è nato Tito) a Napoleone, da Tintoretto a Le Corbusier a Christy Brown (autore della famosa autobiografia Il mio piede sinistro) a Freud, Neil Young, Proust e Ezra Pound, Leopardi e David Cameron… Tutti questi flash (o poco più) sono legati da un filo che conduce inevitabilmente a Tito, il figlio amato. Ai molti libri che hanno scavato nel rapporto fra un padre e un figlio disabile, questo si affianca con grande dignità (non vi è ombra di pietà, patetismo o commiserazione), con incredibile entusiasmo, persino con umorismo. Ma soprattutto con incrollabile, totalizzante amore: “Sono il padre di Tito. Esisto solo perché esiste Tito”.
Eveline Crone,
Nella testa degli adolescenti,
URRA, Milano 2012,
pp.166, € 13,00
L’occhio degli psicologi e degli educatori è sempre più attento al mondo degli adolescenti. E’ bene che sia così, perché la adolescenza è l’età, come già sosteneva Erick Erickson nel 1969, nella quale il ragazzo acquista quella consapevolezza di sé che lo stesso Erickson – e molti altri dopo di lui – definì “senso di identità”. Un passaggio non facile, che comporta la perdita di molte sicurezze, il confronto con realtà (e richieste) del tutto nuove e suscita inevitabilmente ansia. Un passaggio che può – può, sia chiaro – comportare forme di dissociazione le quali potrebbero, se non risolte, tradursi in età adulta in qualcosa di più grave: nevrosi, comportamenti ossessivi-compulsivi e persino psicosi come la schizofrenia.
Eveline Crone, docente di Psicologia dello sviluppo nelle università di Leida e Amsterdam, affronta il tema dell’adolescenza in un’ottica specifica, quella delle neuroscienze, secondo le quali molti comportamenti nell’età puberale sono dovuti ad una riorganizzazione del cervello, una ristrutturazione totale che avviene fra i 13 e i 20 anni. La educational neuroscience costituisce la frontiera più recente degli studi sullo sviluppo umano e nel suo ambito la ricerca sul cervello ha un posto privilegiato. Può sembrare un argomento poco accessibile, ma Crone scrive in modo chiaro e accessibile, il che fa di questo libro un utile e interessante aggiornamento per genitori, psicologi, insegnanti.