di Fabio Moscatelli *
Fabio Moscatelli è un quarantenne, padre di una bambina di sette anni, figlio di separati e recentemente iscrittosi all’I.S.P. Fa il fotografo e vive a Roma. Il tema della paternità lo coinvolge emozionalmente e lo attrae intellettualmente, tanto che ha avviato un progetto per un libro fotografico sui figli dei separati, un libro che racconti – visivamente e non solo – i loro ricordi, i loro sentimenti, le loro emozioni. Sul sito dell’I.S.P. è riportato il questionario che Moscatelli va distribuendo ed è spiegato il senso della sua iniziativa, con l’invito, da parte dell’Istituto, a collaborare con lui. Nell’articolo che segue, l’Autore ricorda con affetto, gratitudine e nostalgia il padre e il momento dei due distacchi da lui: quello della separazione e quello, definitivo, della morte.
La prima volta avevo sei anni,e ricordo quella mattina dell’ottobre del 1980 come fosse accaduto oggi stesso; una brutta infezione mi costringeva a letto con un febbrone da cavallo ed un rapporto ormai agli sgoccioli aveva portato i miei genitori verso una separazione inevitabile.
Lui non riusciva a varcare la soglia della porta di casa, come se fosse una linea di demarcazione di due vite, quella che stava lasciando e quella che avrebbe dovuto affrontare senza di me. E tornava indietro per dirmi che non mi avrebbe abbandonato, che ci sarebbe stato sempre, e si riavvicinava a quella linea sottile per poi tornare ancora indietro e ancora e ancora, con il volto bagnato di lacrime. Lui, un adulto, non si vergognava di piangere davanti a me, non poteva nascondere quel dolore, troppo intenso per celarlo.
Gli siamo sopravvissuti, più forti e uniti che mai, quel dolore ci ha scalfiti ma non sconfitti; non ho mai avuto la sensazione che fosse assente, anzi la sua presenza non è mai mancata, così come il mio rispetto per lui.
Seppur fuori dalle mura domestiche, mio padre è stata una guida, anche se lui amava definirsi il mio migliore amico; ed in effetti lo è stato, confidente, compagno e avversario nelle interminabili partite di calcio, amico paziente quando da piccolo alla spiaggia preferivo le piccole stazioni dell’Argentario per poter vedere sfrecciare i miei amati treni.
E nel frattempo crescevo, il bambino lasciava spazio al ragazzo, ma tra noi poco cambiava ed io non mi sono mai vergognato di dirgli: “Papà, voglio stare sempre con te”. Ma lui da buon profeta amava rispondermi, “Stai crescendo, ti farai i tuoi amici, la fidanzata e riserverai meno tempo a me, come è normale che sia, ma io ci sarò sempre!”.
Annuivo, non ero convinto, anche se alla fine fui costretto a dargli ragione; ma seppur ridotto ho sempre considerato quel tempo un bene inestimabile, forse perchè in fondo noi figli di genitori separati abbiamo un concetto un po’ strano del tempo, forse inconsapevolmente restiamo un po’ bambini, almeno quando tutto questo accade in età in cui si è ancora bambino.
Lentamente si stava avvicinando il momento della seconda separazione, questa volta non tra i miei genitori, ma tra me e mio padre.
Era la mattina dell’ 11 Settembre 1996, l’alba era appena svanita, mi venne a prendere per accompagnarmi alla stazione Termini; entro le 12 dovevo essere alla Caserma di Pesaro per iniziare il mio servizio di leva.
“Ci vediamo a Roma” ed un braccio proteso verso il mio, le ultime parole e l’ultimo gesto che ci scambiammo, il nostro inconsapevole addio.
Non ho voluto vederlo con gli occhi chiusi sul nulla, un’immagine che non accetto tuttora. Quest’anno sono vent’anni, metà della mia vita con lui e metà senza; il tempo vola e non guarisce, la banalità di chi vive da fuori certi drammi è proprio tale, banalità. Stamattina, aprendo il cassetto dei ricordi, mi sforzavo di riaccendere nella memoria il primo del bambino che fui, innamorato del proprio papà: ebbene, mi sono rivisto nella cucina di casa nostra, molto piccolo, mentre lui preparava il Cinevisor per poi guardare Goldrake insieme a me. Quanta pazienza, e soprattutto quanto amore; me lo ha sempre fatto sentire, anche quando la vita ci separò per la prima volta. Ma non voglio aggiungere altro, porto tutto dentro di me.. Anche la sua voce, lo sento quando mi parla e lui sente me quando chiedo aiuto, ora so anch’io cosa vuol dire; ci siamo scambiati le parti, mi impegno ad essere quello che è stato per me. C’è qualcosa che purtroppo non potrò mai avere: la gioia di sentirlo chiamare nonno, vabbè…
Sono trascorsi vent’anni, c’è ancora molto da fare.
E tra gli impegni c’è la realizzazione di un progetto fotografico che racconti il vissuto e la condizione dei genitori separati; vittime,carnefici e a volte eroi dei giorni nostri, in cui certi valori vanno via via perdendosi inesorabilmente.
Te lo devo, un ultimo omaggio papà…
* fotografo. Roma