Bambini maschi nati con la fecondazione assistita, grazie alla cosiddetta tecnica Icsi, a causa della infertilità paterna ereditano la stessa impossibilità a procreare. I genetisti hanno sempre sospettato che ciò avvenisse e infatti i medici avvertivano i futuri genitori di questo rischio, ma il nesso non era mai stato dimostrato. Lo ha fatto ora uno studio – il primo del genere – del Centro di genetica medica dell’università di Ziekenhuis, in Belgio. I ricercatori hanno esaminato il seme di 54 ragazzi fra i 18 e i 22 anni, concepiti fra il 1992 e il 1996 con la tecnica Icsi, che permette di individuare lo spermatozoo di migliore qualità da impiantare nell’ovulo materno, e lo hanno confrontato con quello di altrettanti coetanei concepiti naturalmente. E’ risultato che i giovani nati da fecondazione assistita hanno la stessa infertilità che era dei loro padri, confermando così l’ipotesi che i fattori genetici abbiano un ruolo importante anche se non unico. In Italia i bambini nati nel 2014 con la tecnica Icsi sono stati 7.644.
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Un business poco chiaro da milioni di euro, quello dell’accoglienza dei minori “a rischio”, ossia che hanno problemi con la legge. Lo denuncia una inchiesta del quotidiano la Repubblica pubblicata il 7 ottobre scorso con la firma di Giuliano Foschini. Un giro di affari, per l’esattezza, di circa 133 milionio di euro all’anno che il Ministero della Giustizia, i Comuni e le Regioni pagano a cooperative sociali “di sostegno”. I giudici onorari che decidono il destino di questi ragazzi – scrive il quotidiano – “sono spesso presidenti, componenti del consiglio di amministrazione, soci delle stesse coop dove poi vengono affidati i minori”. La diaria media per una casa-famiglia, sempre secondo la Repubblica, è di 130-150 euro al giorno, ma si arriva anche a 500. Il ministro della Giustizia, Orlando, ha firmato poche settimane fa una direttiva per ottenere “economicità, trasparenza ed efficienza” nei rapporti con le cooperative ed avere finalmente un censimento dei minori collocati.
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Giuseppe Salvatore Riina, figlio del boss mafioso Totò, condannato per le stragi Falcone e Borsellino e detenuto in regime di 41 bis, potrà incontrare il padre, malato e chiuso nel carcere di Parma. Il permesso è stato concesso dal Tribunale di sorveglianza di Venezia e ha suscitato qualche polemica, specie tra i parenti delle vittime. Giuseppe Salvatore ha scontato nove anni per associazione a delinquere di stampo mafioso ed è da anni sottoposto all’obbligo di firna a Padova. I due non si incontravano da dodici anni.
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Una donna animata da “spirito vendicativo” e da “pervicace perseguimento dell’obiettivo di sottrarre al padre ogni possibile relazione con le figlie”. Così si è espresso il GIP di Como nell’ordinanza con la quale ha disposto l’arresto di Daniela Rho e del suo amante Alberto Brivio, accusati di essere i mandanti dell’omicidio del marito della donna, l’architetto Alfio Molteni.; Molteni fu ucciso il 14 ottobre dello scorso anno da due pregiudicati ora in carcere. La donna, esasperata perché il Tribunale continuava a respingere le sue istanze dirette a impedire che il padre vedesse le figlie, li avrebbe incaricati di “gambizzare” il marito, nell’ambito di un piano teso a dipingere Molteni come persona dalle frequentazioni equivoche e pericolose. Ma nell’attentato l’uomo rimase ucciso.
Ha percorso 1.064 chilometri in bicicletta – da Venezia a Strasburgo – per portare all’attenzione del Parlamento europeo la situazione dei padri separati. Si chiama Gabriele Fabris e, giunto a Strasburgo, ha incontrato il Segretario Federale della Lega Nord, Matteo Salvini, e il suo vice, Lorenzo Fontana, che gli hanno espresso la loro solidarietà rilanciando sui social la sua battaglia. Fabris ha affermato che ogni anno in Italia 150 padri si suicidano per motivi legati alla separazione e all’affidamento dei figli (tremila, secondo Fabris, in Europa) e che l’80% dei padri separati vive sotto la soglia di povertà. “La legge sull’affidamento condiviso c’è” – ha commentato Fabris – “è la 54 del 2006, ma ad oggi è, nei fatti, inattuata”.
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Se il padre è assente nella vita del figlio questi subisce un danno che dovrà essere risarcito. Così il Tribunale di Cassino (sentenza n. 832/2016) ha condannato un uomo a risarcire alla figlia, oggi adolescente, 52 mila euro a titolo di risarcimento per danno non patrimoniale. L’uomo – la cui paternità naturale era stata giudizialmente accertata a suo tempo – si è difeso dimostrando di aver sempre ottemperato agli obblighi di mantenimento e affermando di non aver potuto trascorrere più tempo con la figlia per gli ostacolio frapposti dalla madre e per il timore che moglie e figli attuali venissero a conoscenza dell’esistenza della figlia naturale.
Il Tribunale, seguendo un orientamento che si va consolidando ed è sostenuto anche da sentenze di legittimità, ha confermato due principi: da un lato ha ricordato che “l’obbligo del genitore naturale di concorrere al mantenimento del figlio nasce proprio al momento della sua nascita, anche se la procreazione sia stata successivamente accertata con sentenza”; dall’altro ha ribadito la nozione di “illecito endofamiliare” in base alla quale la violazione di doveri familiari che provoca una lesione di diritti costituzionalmente garantiti può integrare gli estremi dell’illecito civile e dar luogo ad un’azione di risarcimento per danni non patrimoniali.
Per il Tribunale di Cassino non c’è dubbio che il disinteresse mostrato da un genitore nei confronti del figlio “determina un’immancabile ferita” di diritti riconosciuti e tutelati dalla nostra Costituzione.