Per non aver garantito il rapporto dei figli con il padre, ma anzi averlo osteggiato screditando la figura dell’ex coniuge (“per aver ostacolato il funzionamento dell’affido condiviso con atteggiamenti sminuenti e denigratori della figura paterna” sono le parole esatte della sentenza), una donna è stata condannata dal Tribunale civile di Roma a versare all’ex marito la somma di 30 mila euro a titolo di risarcimento del danno, ex art. 709 ter c.p.c. La sentenza – n. 18799/2016, depositata l’11 ottobre scorso – è ineccepibile e viene a sanzionare un comportamento purtroppo diffuso fra i genitori durante e dopo la separazione: criticare, svilire, delegittimare l’ex partner agli occhi dei figli. Ha avuto risalto sui media sia perché non accade di frequente che un genitore che ricorre alla sistematica “demolizione” dell’altro con continui commenti denigratori sia severamente sanzionato (e basti pensare ai casi, ben più gravi, delle false denunce di abuso sessuale di cui si occupa l’Editoriale in questo numero del Notiziario); sia perché nell’immaginario del nostro Paese la figura di una madre punita per qualcosa che riguarda i propri figli turba e colpisce in modo diverso da quella paterna, che più facilmente viene associata a comportamenti di prevaricazione e violenza.
L’entità della somma stabilita dai giudici può sembrare elevata, ma va considerato che essi hanno giudicato la liquidazione del danno in via equitativa, tenendo conto sia delle capacità economiche della donna (ex moglie di un facoltoso imprenditore con un passato di successi sportivi ed ella stessa ricca ereditiera), sia del “protrarsi dell’inadempimento”. Nella sentenza è compresa la sanzione della ammonizione, con la quale si invita la donna “ad una condotta improntata al rispetto del ruolo genitoriale dell’ex coniuge e ad astenersi da ogni condotta negativa e denigratoria del medesimo”, visto che “la condotta materna ha avuto ricadute dirette sulla figura dell’altro genitore, svilito nel suo ruolo di educatore e di figura referenziale”.
Ancora, nella pronuncia si esprime chiaramente l’obiettivo della sanzione: “dissuaderla in forma concreta dalla protrazione delle condotte poste in essere, la cui persistenza potrà peraltro in futuro dare adito a sanzioni ancora più gravi, ivi compresa la revisione delle condizioni dell’affidamento dei minori”. In altre parole, i giudici adombrano l’ipotesi di un diverso affidamento dei minori: non più condiviso ma, si presume, esclusivo al padre.
Quest’ultimo punto assume un rilievo particolare. Infatti, non è solo da auspicare che la condotta materna muti in ossequio ai rimproveri del Tribunale e che l’affidamento condiviso – specie se correttamente inteso e non “pro forma” – possa essere applicato nel modo migliore; l’esperienza di questo Istituto in casi di separazione insegna che l’atteggiamento severo di un giudice che prospetta al genitore indampiente una modifica del regime di affidamento è quasi sempre sufficiente a sortire l’effetto voluto.