Un altro “caso Stradella”, questa volta a Roma, dove un bambino di dieci anni, conteso da sei fra i genitori separati, è stato prelevato a scuola dai poliziotti e dagli assistenti sociali e trasferito in una casa famiglia. Così ha deciso il Tribunale per i minorenni, dopo che per anni i genitori si sono reciprocamente e duramente accusati: lei sostiene che il marito è un violento e lo ha denunciato 22 volte in cinque anni (tutte le denunce sono state archiviate), mentre il suo avvocato ricorda che la Corte di Appello ha imposto al padre un regime di visita con incontri protetti. L’uomo, dal canto suo, ha denunciato la ex moglie per abbandono di minore e afferma che da sei anni non riesce a vedere il figlio per l’opposizione materna. La donna – secondo quanto riportato dal quotidiano la Repubblica – è stata giudicata dal Tribunale per i minorenni “simbiotica e alienante”, tanto da “impedire al figlio di coltivare il rapporto col padre”. Come sempre, vera vittima il bambino, per il quale a nulla sono serviti i pianti, lo smarrimento e l’angoscia del prelievo forzoso a scuola.
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Giulio Maira, luminare della neurochirurgia, già fra i nomi eccellenti del Policlinico Gemelli di Roma e oggi in pensione, è stato condannato a pagare 300 mila euro alla figlia Francesca. La donna, oggi trentottenne, era nata da un altro uomo, ma era stata riconosciuta da Maira quando aveva due anni e quindi allevata e educata come figlia senza che mai le fosse detta la verità. Quando poi il neurochirurgo si è separato dalla moglie ha avviato processo di disconoscimento di paternità e solo in quel momento Francesca ha scoperto di non essere figlia naturale. La donna si è allora rivolta al Tribunale di Roma, chiedendo un risarcimento per i danni psicologici subiti. Nel darle ragione, il giudice, Paola Scorza, ha spiegato che “fortemente doloroso non può non ritenersi per una figlia il vuoto identitario creatosi, nel momento in cui la stessa ha potuto chiaramente percepire il ripudio paterno, dopo 38 anni di vita trascorsi nella convinzione di uno status identitario falso”. Riferendosi a Maira, il giudice ha aggiunto: “E’ improvvisamente scomparso come padre dalla sua vita, provocandole una gravissima lesione nella psiche e lasciandole un vuoto incolmabile e insanabile, facendole pardere una relazione padre-figlia fondamentale ed unica nella vita”.
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E’ diventata madre a dodici anni e il padre del bambino non ne ha ancora 14. La nascita è avvenuta in una clinica privata di Roma. Entrambi i ragazzi frequentano la scuola. Del fatto è stata informata la Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni.
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Se un figlio minore ha un legame “simbiotico e di eccessiva dipendenza” con la madre separata, il giudice può disporre il collocamento prevalente presso il padre, al fine di ristabilire un corretto equilibrio fra genitori per un sano sviluppo del minore. Lo ha stabilito la Cassazione con l’ordinanza n. 23324/2016, depositata il 16 novembre scorso, confermando la decisione della Corte di Appello. La madre aveva fatto ricorso argomentando che la volontà del figlio era quella di restare con lei, ma i giudici di legittimità hanno obiettato che la collocazione prevalente presso il padre non trova impedimento nel desiderio del figlio.
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Ha ucciso il figlio disabile, di 50 anni, e si è tolto la vita. E’ accaduto a Sant’Alessio di Vialone, nel pavese. L’uomo, Francesco Sali, un pensionato ottantenne, era ossessionato dall’idea di cosa sarebbe accaduto al figlio – disabile dalla nascita – quando lui e la moglie non ci sarebbero stati più. Entrambi, dalla nascita di quel bambino, si erano dedicati interamente a lui, ma ora le forze lo stavano abbandonando e qualche problema di salute aveva acuito le sue preoccupazioni. Approfittando del fatto che la moglie era andata a messa, Sali ha ucciso con un colpo di pistola il figlio, poi ha ricolto l’arma contro di sé e si è sparato, morendo sul colpo. I due corpi sono stati trovati dalla moglie al suo ritorno. Francesco Sali aveva anche una figlia, alla quale, per essere più libero di dedicarsi al figlio, aveva lasciato la guida della sua azienda agricola. Non è questo il primo caso di un genitore che uccide un figlio con grave disabilità – e qualche volta si uccide – angosciato dall’incertezza del futuro dopo la propria morte. Segno evidente e drammatico che il nostro sistema sanitario, pur efficiente sotto altri aspetti, non garantisce sufficiente assistenza per disabili gravi in età adulta, molto spesso affidati solo all’enorme sacrificio dei genitori.
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No al principio della maternal preference, secondo il quale dovendo decidere sull’affidamento di un figlio minore in caso di separazione sarebbe preferibile – almeno in linea di principio – il collocamento presso la madre. Lo ha ribadito il Tribunale di Milano (decreto 19 ottobre 2016) rigettando il ricorso di una madre separata che aveva chiesto di modificare l’affidamento della figlia con il collocamento presso di lei. Il Collegio ha precisato (ovviamente, verrebbe fatto di dire) che né le disposizioni del Codice Civile né la Carta Costituzionale assegnano rilevanza o utilità giuridica al principio della maternal preference in Child Custody Decisions, “non potendo essere il solo genere a determinare una preferenza”. I giudici hanno fatto cenno agli studi in materia, secondo i quali il prinicipio di bigenitorialità e quello di parità genitoriale hanno condotto al criterio della “neutralità del genitore affidatario”. Sembrerebbe una decisione scontata, ma non è così, e il principio della preferenza materna continua ad avere ampio seguito – ovviamente non espressamente dichiarato – nelle aule di Tribunale. Merita semmai osservare, in questa sentenza, l’applicazione di quello che un tempo era chiamato il “criterio dell’accesso”, un principio molto seguito nella giurisprudenza anglosassone secondo il quale nell’affidamento andrebbe privilegiato quello dei genitori che si mostra più disposto a consentire al figlio la frequentazione dell’altro. Ebbene, in questo caso il Tribunale di Milano ha tratto la convinzione che la madre non avrebbe collaborato per permettere l’accesso alla figlia del genitore non convivente; il padre, al contrario, è apparso molto focalizzato sull’effettivo interesse della figlia, “dimostrando ampia collaborazione e valido rispetto del diritto di accesso alla madre della figlia”.
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Si moltiplicano gli episodi di aggressione di insegnanti da parte di padri – o di entrambi i genitori – di alunni che erano stati rimproverati o puniti. Lo scorso novembre un professore dell’Istituto Caponnetto di Palermo è stato aggredito da quattro persone per aver rimproverato un suo allievo. Autori della spedizione punitiva i genitori del ragazzo, spalleggiati da un amico di famiglia e dalla sorella della madre. In dicembre, analogo episodio in un liceo scientifico di Matera, il Dante Alighieri. Qui un professore di matematica che si era permesso di assegnare voti bassi ad una sua alunna è stato aggredito dal padre della ragazza, subendo la lussazione di una spalla con una prognosi di 30 giorni. Il ripetersi di questi episodi segnala una concezione della “tutela” del figlio completamente errata e controproducente, carenze nello stesso rapporto genitori-figli, immaturità del genitore (che si sente chiamato in causa dall’insuccesso del figlio e “giudicato”) e, naturalmente, l’assenza di una disciplina domestica che richiami il figlio alle sue responsabilità.
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Nel giugno scorso la Cassazione aveva accolto il loro ricorso nel quale chiedevano di poter riavere la figlia, che era stata dichiarata adottabile per la loro età, giudicata troppo avanzata, e per essere stata lasciata sola per alcuni minuti in auto (accusa poi rivelatasi infondata). Stiamo parlando dell’odissea dei genitori-nonni la cui vicenda ha interessato a lungo l’opinione pubblica italiana. La bambina era stata tolta ai genitori – oggi di 75 anni lui, di 63 lei – quando aveva pochi mesi, sia perché padre e madre erano stati giudicati inadatti, per la loro età, ad allevare la piccola, sia perché alcuni vicini li avevano denunciati per abbandono di minore, denuncia dalla quale la coppia è stata però assolta. In seguito Corte d’Appello e la stessa Cassazione avevano dichiarato la adottabilità della bambina, ma ecco che nel giugno scorso la Cassazione accoglie il ricorso dei genitori e rimette in discussione il caso. Solo che in Corte d’Appello uno dei tre giudici del collegio deve essere sostituito e la Corte decide di attendere la nomina del sostituto prima di affrontare il dibattimento, rinviando la causa al 10 gennaio. La bambina contesa oggi ha sei anni e da circa due è stata adottata dalla stessa famiglia che l’aveva presa in affido.
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L’amore per la figlia gli è costata la libertà. Salvatore Barile, 32 anni, nipote dei capiclan dei Mazzarella, a Napoli, era latitante dal luglio scorso, quando la Procura di Napoli aveva emesso nei suoi confronti un ordine di carcerazione. L’uomo, però, desiderava rivedere la figlia, così aveva escogitato un piano che doveva consentirgli un incontro “sicuro” con la bambina: aveva organizzato un pellegrinaggio a Pietrelcina, in onore di Padre Pio, della famiglia di un suo affiliato inserendo nel gruppo anche sua figlia. Senonché i carabinieri tenevano d’occhio la famiglia dell’affiliato e l’hanno seguita nel viaggio. Il gruppo – cinque persone – ha seguito il “tour” religioso classico, poi è entrato in un ristorante e ha chiesto che il tavolo fosse apparecchiato per sei. Il sesto era Barile, che nel monmeto di maggior affollamento di pellegrini è entrato nel locale, dove è stato immediatamente arrestato.