di Maurizio Quilici *
Dure reazioni fra le associazioni forensi – e diatribe a non finire – hanno scatenato le “Linee guida per la sezione famiglia del Tribunale di Brindisi”, emanate nei primi giorni dello scorso marzo, con le quali tale Tribunale, premesse la “divaricazione tra legge e prassi, per effetto della quale le aspettative create dalla riforma del 2006 (affidamento condiviso) vengono spesso disattese dal provvedimento” e la “scarsa utilizzazione delle forme alternative di risoluzione delle controversie”, ha emanato una serie di indicazioni dirette – in buona sostanza – a riportare le decisioni dei giudici al rispetto dello spirito e della lettera della Legge 2006/54.
La prima parte delle linee-guida cita una serie di studi e ricerche attestanti “la bontà e superiorità del modello realmente (e non solo nominalmente) bigenitoriale” e ricorda la risoluzione n. 2079/2015, sottoscritta anche dall’Italia, che invita gli Stati membri ad assicurare “l’effettiva uguglianza dei genitori nei confronti dei figli” e a promuovere la shared residence, definita nella relazione introduttiva “quella forma di affidamento in cui i figli, dopo la separazione della coppia genitoriale, trascorrono tempi più o meno uguali presso il padre e la madre”. Sempre nella prima parte, si ricordano le osservazioni critiche verso la mancata applicazione della legge 54 da parte del MIUR (circolare 5336 del 2 settembre 2015) e dell’ISTAT (Report novembre 2016, pag. 13).
Segue una parte di “Aspetti operativi principali” che consta di un modulo con le “Istruzioni per l’uso” indirizzato alle coppie che intendono definire consensualmente un affidamento condiviso dei figli. Il modulo si articola in nove punti ed è stato redatto – come espressamente segnalato – in collaborazione con l’avv. Mariella Fanuli e con il Prof. Marino Maglietta, dell’associazione Crescere Insieme (tutte le linee-guida del Tribunale sono, in realtà, ispirate da Maglietta, cosa di cui non si fa mistero).
In tali istruzioni i punti “essenziali e qualificanti che si raccomanda di rispettare” (qui sintetizzati per motivi di spazio) sono:
- residenza dei figli. Ha valenza puramente anagrafica, mentre i figli saranno domiciliati presso entrambi i genitori;
- frequentazione dei genitori. Avverrà ispirandosi al principio che “ciascun genitore dovrà partecipare alla quotidianità dei figli (…) all’interno di un modello di frequentazione mediamente paritetico”;
- assegnazione della casa familiare. “Se la frequentazione è, secondo legge, equilibrata e continuativa con entrambi i genitori [come previsto testualmente dall’art. 1 della legge 2006/54, n.d.r.] la casa resta al proprietario senza possibilità di contestazioni”;
- mantenimento. “La forma privilegiata dal legislatore, alla quale questo tribunale si uniforma, è quella diretta”.
- spese straordinarie. Il tribunale adotta il criterio che divide le spese non in ordinarie e straordinarie, ma in prevedibili e imprevedibili;
- ascolto del minore. Ricordato che il decreto legislativo 154/2013 subordina oggi l’ascolto del minore almeno dodicenne alla valutazione del giudice che ciò non sia “manifestamente superfluo” [vanificando così l’obbligo dell’ascolto previsto dalla legge 54 e da numerose convenzioni internazionali, n.d.r.], “l’ascolto, se richiesto, non può essere negato”;
- mediazione familiare. Si inviteranno le coppie a farvi ricorso.
Come si è detto, queste linee guida hanno suscitato molte polemiche. L’AIAF (Associazione Italiana Avvocati Familiaristi), l’AMI (Associazione Matrimonialisti Italiani) ed altre associazioni hanno protestato sulla base di varie osservazioni: nella elaborazione delle linee guida non sono stati coinvolti gli avvocati; non può esservi un modello unico di famiglia separata; le linee guida possono andar bene in certe realtà sociali ma non in altre nelle quali la donna solitamente non lavora… e via di questo passo. Particolarmente duro il comunicato dell’AIAF, che contesta in toto le linee-guida, osservando che “non si tratta di linee guida ma di un’imposizione aprioristica di un modello unico per la risoluzione di ogni conflitto familiare che calpesta la specificità di ogni singolo caso che non può essere semplicisticamente ed ideologicamente risolto tramite un richiamo egualitario di natura totalitaria”. Per l’AIAF, “il Presidente della sezione civile del Tribunale di Brindisi, propone, sulla carta, ma in realtà impone (anticipando il pensiero proprio che che si suppone applicherà anche nei giudizi contenziosi) un modello unico di famiglia separata”. Il comunicato si conclude dicendo “NO all’applicazione ideologica e illiberale di tesi di parte” e appellandosi al Ministro della Giustizia e al Procuratore Generale della Corte di Cassazione perché intervengano.
Alle critiche piovute numerose ha risposto, con tono vivacemente polemico, Marino Maglietta, ribattendo punto per punto e giustificando le proprie posizioni.
C’è stata anche qualche voce a sostegno, come quella della SISF (Società Italiana Scienze Forensi), che commentando le linee-guida ha osservato che “l’affidamento materialmente condiviso è da intendersi come la migliore realizzazione delle esigenze della prole di usufruire di una equilibrata reazione emotivo-relazionale con le due figure genitoriali”. Anche il Presidente dell’ANFI (Associazione Nazionale Familiaristi Italiani), Avv. Carlo Ioppoli, in un comunicato, sostiene le linee-guida e critica la posizione dell’AIAF.
Successivamente la questione è parsa allargarsi a macchia d’olio. Un lungo articolo del Coordinatore della Prima Sezione Civile del Tribunale di Salerno, Dott. Giorgio Jachia, pubblicata il 7 aprile scorso su Ilcaso.it, ha fatto da sponda alle linee guida del tribunale brindisino e a Marino Maglietta – espressamente citati – sostenendone le ragioni. Maglietta a sua volta ha commentato il testo di Jachia con un intervento su studiocataldi.it, definendolo “pregevole nota” e parlando con entusiasmo di Salerno come della “prima sede di Tribunale a seguirne le tracce”. Qualcuno, sommessamente, mi ha fatto osservare che il Tribunale di Salerno non ha fatto alcuna linea guida né ha aderito ad altre e che il giudice Jachia non ha titolo per parlare se non per sé.
Insomma, come si vede, una tipica querelle all’italiana, che rischia di durare all’infinito fra accuse, contro-accuse, precisazioni e dissertazioni. Che dire? Riducendo la questione all’osso, ci sembra che vadano distinti due aspetti. Il primo: se il Tribunale di Brindisi non si è confrontato con tutte le necessarie componenti del diritto, avvocati in primis, ha certamente commesso una scorrettezza nei confronti di qualcuno (Maglietta respinge anche questa accusa e parla di impossibilità di convocare tutte le sigle del mondo forense, di una riunione con tutto il personale interessato del Tribunale il 2 marzo e di un seminario pubblico tenuto il giorno dopo “alla presenza di centinaia di avvocati e giudici”).
Detto questo, rimane l’aspetto – meno formale e più sostanziale, mi pare – del contenuto delle linee guida (che non sono un protocollo, ricordiamolo, non obbligano nessuno e vogliono essere semplicemente delle indicazioni, anche se, indubbiamente, con un certo peso). Ora, che la legge 2006/54 sia stata abbondantemente tradita rispetto alle intenzioni del legislatore e spesso anche nella lettera delle sue disposizioni mi pare assolutamente indiscutibile. Lo “svuotamento” di questa legge è stato più e più volte rilevato da numerosi esperti in articoli, saggi, trasmissioni televisive e radiofoniche, social, convegni… Anche chi scrive (e a suo tempo seguì da vicino i lavori preparatori della legge) ha più volte sottolineato come l’interpretazione giurisprudenziale abbia scardinato quelli che dovevano essere i “pilastri” della legge sul condiviso, a partire da una nozione – quella di bigenitorialità – che non appare mai citata nel testo della legge ma che ne impronta tutto lo spirito (si veda, per esempio, quanto scrivo nel Manuale del papà separato, datanews, Roma 2012).
Dunque che ci sia un Tribunale il quale decide che è ora di “rileggere” il testo di quella legge secondo lo spirito che fu del legislatore e di ricondurlo ad una più corretta interpretazione e applicazione mi pare vada apprezzato e non condannato. Molte delle critiche che si sono abbattute sulle linee-guida paiono ignorare studi e ricerche, la rapida evoluzione della famiglia, della infanzia, della società in genere, i gravi danni che la scomparsa della figura paterna comporta nel minore, le raccomandazioni in proposito dell’Europa (e le condanne nei confronti dell’Italia), la forma stereotipata dei giudizi di separazione e affidamento.
C’è il rischio che le linee guida si trasformino in una rigida gabbia perdendo di vista le fattispecie, i casi particolari? Significherebbe cadere dalla padella nella brace; va da sé che l’interpetazione della norma rimane un ineludibile diritto-dovere del giudice proprio per adattare il principio generale (che a volte deve restare generale, non potendo “coprire” ogni situazione minimale) alle circostanze, e questo vale in modo particolare per il diritto di famiglia. Purché non accada – come avviene regolarmente nella applicazione della legge 54 – che l’interpretazione stravolga la norma e il giudice – come paventa il giurista Michele Ainis – si faccia “troppo spesso legislatore”.
Del resto, le associazioni di avvocati potranno ben monitorare che le linee guida di Brindisi non si traducano in ingiustizie giudiziarie.
* Presidente I.S.P.