di Silvana Bisogni *
Quello che l’educazione, la famiglia, la storia, la politica
possono fare è forse solo l’acqua con la quale si annaffia un fiore.
Quell’acqua non trasforma una margherita in un’orchidea,
ma senza di essa la margherita muore.
Curata invece amorosamente, annaffiata come si deve
e aiutata a reggere le intemperie,
la margherita cresce e può diventare bellissima.
Conosco alcune margherite più belle di molte orchidee.
Claudio Magris, La storia non è finita
E’ metà settembre e, come ogni anno, riaprono le scuole di ogni ordine e grado: nell’anno scolastico che sta per iniziare saranno 7.881.632 gli studenti che frequenteranno la scuola italiana pubblica e paritaria, italiani e studenti con cittadinanza non italiana (sono in totale quasi 740 mila). Nel sistema scolastico è presente anche l’organico di docenti: 721.590, dei quali circa 110 mila solo per il sostegno ai 210.909 allievi con disabilità. Secondo una indagine realizzata da “Tuttoscuola”, mancheranno certamente all’appello gli oltre 68 mila gli studenti che rinunciano agli studi al primo anno delle superiori (l’11% di tutti gli studenti del primo anno), a conferma della drammatica situazione dell’abbandono scolastico in Italia.
Quello della scuola è dunque un vero e proprio universo, continuamente attraversato da situazioni contrastanti, dalla innovazione e dalla sperimentazione ai conflitti, da riforme alla ricerca di soluzioni all’annosa problematica del personale docente, dall’inserimento delle nuove tecnologie nella prassi didattica ai problemi dell’edilizia scolastica, ed altri problemi ancora. Ma la centralità rimane sempre – e non può essere diversamente – la presenza degli allievi, ciascuno con il proprio bagaglio di identità, personalità, cultura, relazioni, famiglia.
Su questa in particolare vorremmo centrare la nostra attenzione: la famiglia e il suo rapporto con l’universo della scuola. Innanzi tutto, un piccolo inciso: dovremmo dire “le famiglie”: una grande varietà di situazioni e condizioni che nel corso degli ultimi decenni ha subito una radicale trasformazione nella composizione e nei ruoli, nei suoi valori e nei suoi compiti, nei diritti e nei doveri. Ormai relegata ad una presenza residuale, la famiglia di tipo patriarcale (in cui il padre aveva il ruolo predominante, e numerosi figli), ha perso il suo ruolo centrale nella società italiana. Le famiglie ora sono di varia natura e consistenza anche numerica: nucleare, composta dalla coppia genitoriale con un numero sempre più ristretto di figli, possono essere regolarmente sposate, o conviventi, ma anche famiglie monoparentali a seguito di lutti o di separazioni e divorzi o per scelte individuali, allargate, ricostituite, fino ai casi, non ufficialmente accertati ma esistenti nella realtà italiana, di poligamia, nelle famiglie musulmane residenti in Italia (sono stimate circa 20.000, sia per ricongiungimenti familiari, sia per nuove relazioni coniugali costituite presso le moschee, ma non registrate ufficialmente in Italia ).
In questa radicale trasformazione della società italiana in società complessa, pluralista e multiculturale (non ancora interculturale), la scuola ha assunto un ruolo assolutamente centrale nella sua funzione di educazione e di formazione delle giovanissime generazioni, non solo nella elaborazione di nuovi modelli organizzativi e didattici, ma anche nell’impegno progettuale nella ricerca di risposte efficaci alle sfide educative del nostro tempo. Proprio per affrontare la complessità sociale e condividere il compito educativo la scuola tende, non sempre con risultati efficaci, a valorizzare il “patto di corresponsabilità” che riguarda in primis il rapporto con la famiglia, ma si estende a tutte le agenzie formative presenti nel territorio.
Ma veniamo al punto. Quali sono i rapporti tra questa costellazione di situazioni familiari e l’universo della scuola? Quali differenza di atteggiamenti e comportamenti sono rilevabili tra padri e madri nei confronti della scuola, agenzia fondamentale per l’educazione e la formazione dei figli?
Per evidenziare un punto saliente dei comportamenti dei genitori nei confronti della scuola, delle sue scelte educative e delle prassi di natura didattica, analizziamo un aspetto che offre uno spaccato significativo: la questione dei compiti a casa. E’ una questione, che può apparire di minore importanza, ma è rivelatrice delle dinamiche interne alla famiglia e degli atteggiamenti e comportamenti nei confronti della scuola: i compiti a casa, tema che è tornato alla ribalta in questi giorni, prossimi alla riapertura delle attività scolastiche dopo la pausa estiva. Il tema ha avuto una certa risonanza sulla stampa.
La domanda fondamentale è: sono necessari i compiti a casa? Qui docenti, educatori ed esperti hanno posizioni diverse.
Per molti i compiti a casa non devono essere considerati come una punizione o semplicemente un dovere. Debbono essere valutati come strumenti e momenti di crescita del bambino o del ragazzo per verificare di aver compreso il percorso proposto a scuola, ma anche per suscitare nuove domande, rendersi conto dei passaggi e dei miglioramenti compiuti e acquisire maggiore competenza sui contenuti. Ma i compiti a casa consentono anche una crescita nella responsabilità e nell’autonomia, nella capacità di gestire il tempo, riequilibrare il tempo dedicato allo studio e alla famiglia, al tempo libero, allo sport e alle attività ludico-ricreative.
Per altri educatori invece i compiti a casa sono un inutile “tormento” per i ragazzi e, di conseguenza anche per i genitori: un’abitudine didattica considerata obsoleta. Dopo le proteste, sporadiche e sparse di genitori in tutto il Paese, peraltro sono state avviate iniziative sperimentali che di fatto cancellano questa prassi: coinvolgono la scuola primaria e la scuola media di 166 classi di cinque province italiane (Torino, Biella, Verbania in Piemonte, Milano in Lombardia e Trapani in Sicilia), ma presto la sperimentazione potrebbe sbarcare anche in Toscana, Umbria e Lazio.
Per i genitori i compiti a casa sono occasione per conoscere meglio il figlio, aggiornarsi sulla crescita e sui suoi progressi, rendersi conto dell’andamento scolastico complessivo, ma possono costituire anche un ulteriore motivo di relazione positiva: farsi raccontare dal figlio cosa ha imparato a scuola, fare compagnia con totale disponibilità, con la stessa presenza fisica, con rassicurazioni e incoraggiamenti dimostrando stima nei confronti del bambino, dando rilievo e importanza all’impegno.
Proprio dalla vicinanza al bambino durante questo impegno, i genitori possono rilevare eventuali aspetti problematici nella preparazione scolastica del figlio e farne motivo di confronto, di conoscenza di capacità, competenze, lacune del ragazzo, di decisioni e di interventi, parlandone nel momento di massima relazione tra genitori e scuola, rappresentato dal colloquio con i docenti.
l problema dei compiti a casa viene risolto sulla base della relazione interfamiliare, ma anche con soluzioni che risentono delle caratteristiche della famiglia stessa, dalla reale presenza dei genitori più o meno impegnati in ambiti professionali, alla presenza di fratelli più grandi, dall’aiuto tra compagni di scuola ai casi di aiuto esterno, al livello culturale dei genitori, spesso non in grado di seguire con opportuna competenza lo svolgimento dei compiti.
Non esistono dati quantitativi su questo aspetto: qualche indicazione viene da una indagine multiscopo ISTAT (“La divisione dei ruoli nelle coppie”). Vi si prende in considerazione “il lavoro di cura dei bambini fino a 13 anni, rispetto al quale l’asimmetria interna alle coppie con figli risulta notevole: se la donna lavora resta a carico della madre il 65,8% del lavoro di cura, contro il 75,6% se la madre non è occupata. Le mamme vi dedicano mediamente 2h13’ e i padri 1h23’.
Nel lavoro di cura dei figli piccoli le mamme rispondono alle più diverse esigenze dei figli. La gran parte del lavoro di cura delle madri è rappresentato da cure fisiche o sorveglianza (dar da mangiare, vestire, fare addormentare il bambino o semplicemente tenerlo d’occhio); nel caso dei padri il tempo è soprattutto dedicato ad attività ludiche, che sono anche le sole per le quali l’indice di asimmetria assume valori inferiori (41,5%) del tempo dedicato al gioco da entrambi i genitori, a significare che è maggiore la porzione di tempo relativa ai padri. Infine, sono ancora più numerose dei padri, le madri coinvolte nell’aiutare i figli quando devono fare i compiti scolastici: in un giorno medio, il 19,3% delle madri contro il 4,8% dei padri segue i figli nei compiti a casa”.
Sempre rispetto alla questione “compiti a casa” va segnalato anche un ulteriore aspetto: la modalità in cui vengono svolti. Infatti, mentre molti genitori si limitano ad un sostegno affettivo e psicologico al lavoro svolto dal figlio, in molti altri casi si assiste ad una vera e propria sostituzione al figlio, con genitori (padri compresi) che eseguono esercizi di matematica, elaborano frasi ed esercizi nelle varie discipline, per non parlare delle “onnipresenti” ricerche, in cui la sostituzione è quasi sempre garantita. Questo comportamento, soprattutto quando è accompagnato da commenti critici sulla quantità e/o difficoltà dei compiti, rischia di demolire la figura del docente e del ruolo della scuola.
Il danno sarà soprattutto per il figlio, che non avrà acquisito adeguatamente quelle conoscenze e competenze che la sua formazione richiede. L’insegnante non potrà capire se il suo alunno sia in grado di comprendere o meno la materia.
Dietro questo atteggiamento familiare si nasconde il timore del giudizio negativo sul figlio: ma non è un dramma se i compiti sono sbagliati. Sta al docente correggere a scuola gli errori e, se del caso, rispiegare la soluzione corretta.
* Silvana Bisogni, sociologa dell’educazione. ISP Roma