Marco Marzano – Nadia Urbinati,
La società orizzontale,
Feltrinelli, Milano 2017,
103, € 16,00
“Morte del padre”, “evanescenza del padre”, “svaporazione del padre”… Sul tema della paternità – e con l’uso frequente di queste e altre simili espressioni – leggiamo e ascoltiamo spesso interventi di esperti e non. Il libro di Marzano e Urbinati (il primo insegna sociologia all’Università di Bergamo, la seconda Teoria Politica alla Columbia University e scrive frequentemente su la Repubblica) parte da questo dato di fatto – una crisi di autorità paterna – per inferirne subito dopo un diffuso e riprovevole rimpianto di autorità perduta e una deriva verso l’“intervento di una autorità protettiva e rassicurante” (e infatti il sottotitolo, che secondo noi sarebbe stato benissimo al posto del titolo) è “Liberi senza padre”. E’ un primo passaggio che ci lascia perplessi. Ma il testo va oltre: questa assenza di padri – assieme alla perdita dei relativi valori e alla propensione al relativismo – sarebbe, per così dire, “spacciata” da autori “apocalittici” come patologia che affligge la società democratica contemporanea: egoismo, solitudine e, giù giù, ribellismo individualistico e fatalismo rassegnato, impotenza senza rimedio verso il caos e l’anarchia…
Tema stimolante, che giustifica l’ampio, insolito spazio che dedichiamo a questo libro.
Per Marzano e Urbinati è in corso una “controrivoluzione dei padri” secondo una logica neo-patriarcale. Qualche esempio? Il progetto di riforma elettorale che assegna alle segreterie e ai segretari di partito il potere di nominare i capilista, “che restano inamovibili e pre-eletti, a prescindere dal voto popolare che non li tange”. Ancora, la tendenza “a privilegiare, nella formazione dei giovani, la venerazione dei maestri, dei ‘grandi padri’”, passati o presenti (qui ci è più difficile seguire gli autori: o quei “padri” non sono grandi e allora siamo di fronte a una mistificazione storica che è giusto correggere, o lo sono e allora non si vede quali mali possando derivare dall’apprezzarli).
Anche l’aumento del carattere direttivo e manageriale del preside nella scuola italiana rientrerebbe in una logica neo-patriarcale. Insomma, la società di oggi sarebbe una società sempre più verticistica e “verticale” e dunque sempre più a rischio e sempre meno democratica. Per gli autori, non è questo il modello auspicabile, bensì quello che gli si contrappone: la società “orizzontale”, “ovvero senza gerarchia di valori e senza devozione per l’autorità”. Questa è “la celebrazione dell’eguaglianza, di quella ‘passione folle’ che fa giustizia dei ‘maestri’ e dei ‘pastori’ – dei padri appunto – e che dichiara, con orgogliosa autosufficienza, di non aver bisogno di vertici infallibili né di autorità depositarie di una verità che non necessita del nostro giudizio per risultare autorevole”.
Qualche pagina più avanti, la società orizzontale viene definita “una società di adulti, di persone mature e degne di rispetto e di considerazione, non per il contenuto delle scelte che fanno, ma perché operano responsabilmente, e prima ancora perché esistono”. Certo, se questa è la società “orizzontale”, come dissentire? Eppure. dopo una tale netta e orgogliosa celebrazione della “società orizzontale”, tocca fermarsi un attimo a riflettere. Forse, anche se non facile in un saggio sociologico, bisognerebbe tenere distinti i padri in senso letterale, quelli biologici, quelli “di famiglia”, dai padri per metafora: dirigenti pubblici, capi d’azienda, amministratori delegati e capi del personale, direttori e presidi, capi politici e sindacali, governanti, presidenti… e via di questo passo. Sulla perdita di autorità dei primi crediamo non ci siano dubbi (non è questo che ci preoccupa, quanto, semmai, la perdita di autorevolezza, che come tutti sanno è cosa ben diversa). Se guardiamo a tutti gli altri “padri” troviamo una situazione molto fluida e ingarbugliata: da una parte ambienti nei quali si è operata effettivamente una verticalizzazione (gli esempi portati dai due autori sono calzanti), dall’altra settori nei quali, invece, si è capito benissimo che il verticismo non paga e che rapporti orizzontali, almeno entro una certa misura, ottengono effetti migliori (un esempio che facciamo noi è quello – evidenziato dagli psicologi del lavoro – dei rapporti in una azienda avanzata, sempre meno gerarchici e sempre più coinvolgenti a tutti i livelli).
Anche una distinzione così apodittica fra società “orizzontali” e “verticali” ci pare difficile da sostenere (e del resto nel libro si trovano esempi attuali che mostrano uno sviluppo “orizzontale” ed altri che testimoniano una verticalizzazione della società). Che qualcuno soffi sul fuoco dei “padri assenti” per ammiccare a soluzioni antidemocratiche e auspichi società più autoritarie è possibilissimo, ma le due cose non sono necessariamente consequenziali. Sulle pagine di questo notiziario si è parlato spesso di una “evaporazione” paterna sul piano normativo (e al contrario di un arricchimento su quello affettivo) e delle possibili conseguenze, ma certo non si è mai pensato per questo di auspicare il ripristino di società più autoritarie e verticistiche. Al contrario, è capitato di esprimere il timore che la “voglia di padri” induca a cercare forza, ordine, autorità, disciplina in “padri” politici col rischio grave della comparsa di figure autocratiche. Rischio messo in luce, fra i tanti, da Luigi Zoja (Il gesto di Ettore) e da Massimo Recalcati (Cosa resta del padre), i quali in più occasioni hanno sottolineato come la dittatura esprima spesso un bisogno di paternità.
Tuttavia, affermare con decisione che “la molla che fa muovere il modello del padre è la paura della libertà e della sovranità individuale” suona ai nostri orecchi come una eccessiva semplificazione.
Il libro affronta poi il tema della società “orizzontale” nei campi della religione, della politica e della famiglia (quelli che un tempo si definivano – ricordano, con evidente allusione, gli autori – “Dio, patria, famiglia”). Anche qui, ipotesi dalle indubbie suggestioni: un atteggiamento degli italiani solo formalmente di appartenenza cattolica, in realtà sempre più critico nei confronti dell’istituzione-Chiesa e “sempre più spiritualmente autonomo” (in questo senso sinteticamente definito dagli autori “protestante”), con ampie citazioni dalle ricerche di Franco Garelli e Alessandro Castegnaro. Questa disaffezione è letta da Marzano e Urbinati come la reazione ad una istituzione verticale per eccellenza – la Chiesa cattolica – “dove la virtù più celebrata è quella di abbassare il capo, di obbedire, di conformarsi agli ordini che provengono dal livello superiore”.
In politica si assiste – secondo gli autori – alla fine del partito identitario (come fu per eccellenza il PCI) e al diffondersi di un modello orizzontale incarnato dal “cittadino critico, politicamente attivo nelle rete”; una “cittadinanza internet” che non manca di risvolti “negativi o problematici”. Ci vorrebbe – affermano – un modello associativo (e non identitario) per creare e tenere insieme i partiti: peccato che, mancando la “colla” ideologica, si cerca quella identitaria nel “leader carismatico plebiscitario”. Esempio di visione non associativa ma plebiscitaria della società e della democrazia è per gli autori – che naturalmente motivano le loro affermazioni – quella di Matteo Renzi.
Infine, la famiglia. Qui i due autori riconoscono che l’appello all’autorità del padre non intende oggi imitare “i modelli austeri e arcigni del passato”. La socializzazione familiare sarebbe attualmente caratterizzata (grazie all’evanescenza dei padri?) dalla reciprocità, dalla “interazione rispettosa fra generazioni”. Le famiglie italiane appaiono come “luoghi pacificati, dove i terribili conflitti del passato sono solo un lontano ricordo”. Questo perché le famiglie sono divenute per lo più – grazie, si suppone, alla “maternizzazione” dei padri – un ambiente democratico, dove esistono sempre meno violenza, punizioni fisiche, urla e umiliazioni e sempre più dialogo e conversazione. Questo quadro, a nostro avviso, non è così idillico come appare. E soprattutto non è senza effetti collaterali. Effetti che sono stati descritti da psicologia e psicoanalisi, ma che gli autori paiono ignorare o rifiutare quando, riportando criticamente il punto di vista degli “apocalittici” (altrove detti anche “guru nostalgici”) fanno loro chiedere: come possono i giovani “liberarsi se non sono stati oppressi, se non hanno subito l’autorità dei padri? A chi si ribella Edipo se non c’è un Laio che ne indichi e ostacoli il cammino e in questo modo ne fortifichi il carattere?”
Davvero gli autori sembrano ignorare ogni via di mezzo. Dal padre-padrone di Ledda, con la sua brutalità, al diffuso “mammo” di oggi incapace di porre limiti, bravo a “soddisfare” più che a “educare” i figli ci sono un’infinità di sfumature che si sarebbero potute analizzare. E le madri? “Svolgono a tutti gli effetti un potere supplente” ed è “oltremodo sorprendente come questa raffigurazione che ‘nanifica’ a tutti gli effetti i ruoli femminili, nella famiglia e fuori, non trovi argini nella letteratura femminile e femminista”. Affermazione discutibile, come è discutibile quella secondo cui “il modello patriarcale di famiglia” (che non rimpiangiamo, sia ben chiaro!) è “la sorgente dei problemi di mancanza di autonomia dei giovani”. A noi pare piuttosto il contrario, e del resto gli stessi autori devono riconoscere nelle famiglie “democratiche”, o “orizzontali”, la “tendenza collusiva di genitori e figli a procrastinare all’infinito il momento della separazione”.
Per concludere, il saggio di Marzano e Urbinati è ricco di stimoli e di suggestive ipotesi. Pecca, a nostro avviso, di unilateralità o – se preferite – di partito preso (le poche pagine sui “rischi dell’orizzontalismo” non sono incisive). Si afferma che la “morte del padre” viene presentata sempre, dai nostalgici, come qualcosa di apocalittico, ma questo non corrisponde ai timori, o alla perplessità, che legittimamente molti di noi nutrono. Anche a noi piace l’idea di una società e una famiglia “orizzontali”. Ma non crediamo – come il torto e la ragione di manzoniana memoria – che il bene stia tutto da un parte e il male tutto dall’altro. Un solo, piccolo esempio: non pensiamo che un rapporto “orizzontale” fra padre e figlio sia un bene per quest’ultimo, specialmente nella fase dell’adolescenza. Ben venga il padre empatico, tenero, affettuoso, perché no “materno”. Ma che sia sempre un padre-padre e non un padre-amico o un padre-compagno, un padre-eguale.
Richard A. Gardner,
L’isteria collettiva dell’abuso sessuale,
QuattroVenti, Urbino 2013,
156, € 18,00
Ci accade talvolta – i lettori lo sanno – di recuperare e presentare un libro non recentissimo: un’opera che, nonostante la costante attenzione, ci era sfuggita al momento della pubblicazione e che tuttavia riteniamo importante segnalare, per il suo particolare significato. E’ il caso di questa opera di Richard A. Gardner, controverso psichiatra americano il cui nome è divenuto noto in Italia per le polemiche che infuriano da alcuni anni a questa parte sulla PAS, Parental Alienation Syndrome. Fu lui, infatti, negli anni ’80 del secolo scorso, a elaborare il concetto di alienazione parentale, a svilupparne caratteri e sintomi, a proporne i rimedi. Ricorderemo brevemente che con questo acronimo si intende “la condizione invero frequente per cui nel corso di divorzi o separazioni conflittuali un genitore esercita un condizionamento psichico sul figlio fino ad incidere negativamente sui suoi rapporti con l’altro genitore” (dall’ampia Introduzione di Marco Casonato).
Sostenitori della PAS (ossia della sua esistenza come “sindrome”, o quantomeno della realtà dei suoi sintomi) e negatori che la definiscono “inesistente” e strumento utilizzato dai padri contro le madri si fronteggiano con toni aspri da almeno una decina di anni.
Poiché regola aurea per poter esprimere giudizi – su una persona o una situazione – dovrebbe essere “prima sapere, poi giudicare”, prima di parlare di PAS sarebbe bene conoscere gli scritti di Gardner e benissimo ha fatto l’editore Quattroventi a pubblicare questo testo.
Il libro affronta un tema parallelo a quello della PAS, ossia le false denunce di abuso sessuale sui bambini, che negli anni ’80 del secolo scorso raggiunsero negli Stati Uniti livelli epidemici. Come scrive Gardner – e come sanno bene anche molti padri italiani separati – “l’unica arma più efficace di una denuncia di abuso sessuale può essere l’uccisione o la castrazione fisica dell’uomo”.
Contestando il detto “i bambini non mentono mai” e sostenendo al contrario che i bambini sono bugiardi, spinti a questo da una serie di motivazioni, Gardner compie una analisi ipercritica e stringente dei “validatori” (psicologi, assistenti sociali, terapisti…) che negli Stati Uniti compiono valutazioni sui casi di presunti abusi sessuali, contestandone la formazione, la metodologia (strumenti usati, domande formulate…), le motivazioni ufficiali. Con tutto ciò, sia chiaro, egli rimane convinto che l’abuso sessuale esista effettivamente, sia diffuso e in aumento nelle situazioni intrafamiliari.
Non meno critico (ma senza mai fare “di tutta l’erba un fascio”) è nei confronti dei medici, dei giudici e in particolare dell’accusa, degli avvocati, dei “cosiddetti terapisti”, della società Ce n’è per tutti, ma con spiegazioni assolutamente convincenti. Particolare attenzione dedica alle situazioni di separazione e divorzio, perché “se una madre divorziata vuole ‘vendicarsi’ del marito odiato, può facilmente usare le denunce di abuso sessuale dei bambini, per raggiungere l’obiettivo”.
Alcune frasi possono farci capire come sia stato possibile accusare Gardner di essere un fiancheggiatore della pedofilia (e persino pedofilo lui stesso): come quella in cui suggerisce “una reazione più umana e meno persecutoria verso la pedofilia e accettare il fatto che tutti in certa misura siano pedofili”, ovvero che “la maggior parte delle persone (se non tutti) hanno impulsi pedofili”. Una affermazione “forte” che Gardner avrebbe fatto meglio a chiarire. Anche scrivere che “dobbiamo sviluppare più pietà che disprezzo per i pedofili” non doveva suonare molto bene in un’epoca di caccia alle streghe.
E’ evidente che Gardner è consapevole dei rischi che comportano certe sue affermazioni, tanto che più volte ribadisce la sua distanza dalla pedofilia. Come a pag. 133: “Sarebbe un errore se il lettore concludesse che io sono favorevole alla pedofilia. Ovviamente non lo sono e personalmente credo che essa comporti uno sfruttamento dei bambini e li immetta prematuramente ad un livello di sessualità inappropriato senza uno sviluppo cognitivo adeguato. Quello a cui sono contrario, sono le reazioni eccessivamente moralistiche e punitive che molti membri della nostra società hanno verso i pedofili. A mio avviso, le punizioni draconiane inflitte ai pedofili, vanno ben oltre l’intrinseca gravità del crimine. (…) ritengo che le vittime di questo crimine [si noti il termine usato, n.d.r.] , all’interno della nostra società sviluppino con maggiore frequenza problemi psichiatrici. E’ una forma di sfruttamento di un bambino innocente e indifeso…” Eccetera, eccetera, ma sempre su questo tono.
Quando Freud fece certe affermazioni sulla sessualità – sia infantile che adulta – suscitò non minore scandalo. Basti pensare, per restare in tema di infanzia, alla formulazione del “complesso di Edipo”, o a quella del “trauma della seduzione”, ipotesi poi sconfessata dallo stesso Freud solo perché – secondo qualcuno – inaccettabile dalla società dell’epoca.
Ma torniamo al libro. Curiosa, ma di indubbia utilità, la tavola sinottica nell’Introduzione, che elenca, confutandole punto per punto, le più frequenti affermazioni sul conto di Gardner, da “non era professore” a “scriveva a favore della pedofilia”, fino a “era un pedofilo che prendeva farmaci per autocastrarsi e si è suicidato per il rimorso”. Su quest’ultimo punto, le modalità del suo “suicidio” appaiono talmente anomale da indurre qualche dubbio e da far scrivere a Casonato: “Si tratta apparentemente di quello che in Italia si definisce ‘un suicidio eccellente’”. Tengo qui a precisare che Marco Casonato, autore della Introduzione, è docente di Psicologia dinamica all’Università Milano-Bicocca ed è, fra l’altro, coordinatore del Master in Scienze cognitive forensi e diritto delle prove.
Insomma, un libro prezioso, le cui osservazioni poco o nulla risentono dei 25 anni trascorsi dalla pubblicazione (anche per via di quell’”effetto anticipazione” che caratterizza i fenomeni sociali americani rispetto al nostro Paese) e che andrebbe letto da assistenti sociali, avvocati, psicologi, giudici, insegnanti (e giornalisti, non li dimentichiamo!), insomma, da tutti coloro che possono essere coinvolti in una denuncia di abuso sessuale su un minore. Unico peccato (veniale) del libro, la punteggiatura, che nella traduzione lascia talvolta a desiderare.
Per concludere, ci sia consentita una piccola digressione, comunque pertinente. Mentre finivamo di scrivere queste righe, ci è capitato sotto gli occhi un commento dell’avv. Girolamo Andrea Coffari alla sentenza del Tribunale penale di Padova sulla nota vicenda del bambino di Cittadella, che escludeva la presenza della PAS. Nel commento, pubblicato il 22 febbraio scorso sul sito dello Studio Legale Coffari, si può leggere che Gardner era “un vero e proprio apologeta della pedofilia”, che la PAS è “una finta malattia inventata da uno psichiatra con idee perverse che odiava donne e bambini” (a leggere questo libro non si direbbe) e che teorie simili promuovono “un’ideologia maschile basata sull’aggressività, sulla manipolazione della scienza, sull’allarmismo delle ‘false denunce’”. Ribaltando quello che, purtroppo, è un dato di fatto noto a molti suoi colleghi, scrive l’avv. Coffari: “La caccia alle streghe del 2.000 alle madri che utilizzano i figli per le ‘false denunce’ per manipolarli contro i padri è cominciata” e si basa sull’”interesse che hanno i padri violenti e perversi (e questi purtroppo esistono veramente) a sfuggire dalle proprie responsabilità e perseguitare per annni le loro vittime”.
Forse c’è bisogno di saperne di più sulla PAS e su Richard Gardner. Magari cominciando proprio a leggere questo libro.