Massimo Recalcati,
Cosa resta del padre
Raffaello Cortina, Milano 2017
140, € 12,00
Visto il grande successo del libro, l’editore Raffaello Cortina ha pubblicato la seconda edizione del noto saggio di Massimo Recalcati, Cosa resta del padre. Nuova edizione e nuova prefazione. Non sappiamo, francamente, se, oltre alla prefazione, vi sia qualcosa di nuovo nel testo, che a suo tempo leggemmo e recensimmo su queste pagine. Non è stato possibile capirlo dalle numerose recensioni lette, e neppure da un articolo a tutta pagina della Repubblica scritto dallo stesso Recalcati. Curioso episodio, questo, di un autore che scrive un lungo articolo-recensione su un proprio libro; ma forse sembra curioso solo a noi, che siamo legati a un modo più tradizionale di intendere i rapporti scrittore-recensore.
Comunque sia, nel suo articolo lo psicoanalista ripercorre il suo assunto: rifuggire dal coro che piange (o celebra con soddisfazione) la morte del padre e “provare a ripensare radicalmente la funzione paterna”. Ovvero chiedersi “cosa resta del padre”. Interrogativo che “questo piccolo e fortunato libro” “pone in modo nuovo” (le parole sono dell’autore e fomentano la nostra perplessità di cui sopra) e al quale Recalcati risponde così: il padre “depositario della parola che chiude tutti i discorsi” è evaporato, non c’è alcun dubbio. Ma questo tipo di uomo esaurisce l’essere del padre in quanto tale? Ebbene, proprio la sua estinzione ci permette di cogliere il vero statuto e la vera funzione paterni e di vedere nel padre “il padre del dono della parola piuttosto che del suo sequestro”, una figura “che sa generare un rispetto che non passa dal timore ma che si genera dalla testimonianza”. “Testimonianza” è una parola-chiave nella visione paterna di Recalcati. Essa significa testimonianza “del fatto che la vita può avere un senso, uno splendore, può essere sottratta alla tentazione della distruzione”. Funzione del padre è “umanizzare la legge”. Egli è portatore di un messaggio che Recalcati vede simile a quello cristiano. Come Gesù è venuto a correggere le legge della tradizione ebraica, depurandola della sua violenza e del suo spirito di vendetta e sostituendovi la legge dell’amore e del perdono, così il padre-testimone ha il compito di liberare la legge del padre dal suo apparato normativo-repressivo. Il padre del “sì” corregge quello del “no” (ma non lo cancella, avverte l’autore. Un punto, questo, che avrebbe meritato un approfondimento). E’ un messaggio carico di suggestione, quello di Recalcati, sul quale è bene continuare a riflettere e ad interrogarci.
Andrea Pilotta,
La rivoluzione d’amore,
Garzanti, Milano 2017,
159, € 12,90
“Ognuno ha il diritto di raccontare il suo dolore”. Partendo da questa incontrovertibile verità, Andrea Pilotta si è seduto ogni notte alla sua scrivania per scrivere lettere a suo figlio Jacopo, detto Papo. Lo ha fatto a cominciare dalla fine del 25 agosto 2016, il giorno dopo che il cuore malato del suo Papo, dieci anni, si era fermato per sempre. Ha “raccontato il suo dolore”, Pilotta, con un grande sofferenza, ma anche con molta semplicità, tenerezza, giocosità. Ha raccontato le battute fulminanti di Papo, i calembour, i giochi con gli amici e con i genitori, il suo disarmante senso dell’umorismo, l’ironia, la sua profondità e saggezza, le sue intuizioni, la sua allegria spensierata. Lo ha fatto con levità, verrebbe fatto di dire “con serenità” (almeno in una prima parte del libro) perché questo ha lasciato ai suoi genitori Papo: serenità. Papo che era un eroe, anzi un “super-eroe”. Non solo perché amava i super-eroi, ma perché – osserva suo padre – “restare bambino nella bufera è il gesto più eroico a cui abbia assistito”.
Il padre racconta: lui è solo, ma chi legge ha l’impressione che non si tratti di un soliloquio, bensì di una dialogo. Una conversazione non solo a due, nella quale entrano di continuo Mamma e Totta, la sorella minore di Papo. E a volte anche Luna, la cagnolina. Recita scolastica, festa dei nove anni (con le candeline… sulla lasagna di nonna e quaranta ragazzini scatenati), e poi, meno affollato, decimo compleanno, con il pigiama party a casa (le mummie con la carta igienica, poi il film e tutti sul divano), il gioco delle somiglianze sotto le dolomiti, la pesca con il nonno, le battute feroci sulla nonna (quella della lasagna), i lunghi viaggi con il camper in giro per l’Europa. Quel benedetto battito cardiaco che non vuol funzionare (“cardiomiopatia ipertrofica restrittiva” è la diagnosi) è sullo sfondo, trattato con noncuranza. Ma a volte salta su prepotente e allora ci sono la nascita di Papo in arresto cardiaco, le medicine salvavita tre volte al giorno, gli svenimenti, i pronto soccorso, gli esami specialistici, la sincope ad Amsterdam, il congegno impiantato nel petto… Eppure anche questo, nelle lettere a Papo, diventa la dolcezza di un ricordo: “Nessuno dovrebbe vivere perennemente in ansia per il proprio figlio, ma come era bello stare appesi a quel filo che ci ha regalato dieci anni di vita con te”.
Vai avanti a leggere e il magone ti viene, e come potrebbe essere altrimenti? Anzi, quando arrivi al capitolo otto, quello in cui Papo ci lascia, è facile che affiorino lacrime, è bene avvertire il lettore. Perché quel capitolo segna una frattura, apre al dolore, alla nostalgia, al vuoto dell’assenza fisica. E’ come se papà non ce la facesse più e quella corrente di disperazione e rabbia si fa più impetuosa, travolge le barriere e gli ostacoli, trova unico conforto in quelle due ore ogni notte nella quali un padre scrive al figlio. Prima di quel capitolo i ricordi sono di Papo vivo, ma dopo sono solo i ricordi della sua mancanza, degli infiniti gesti in cui prima lui c’era e ora non più.
E’ un libro che si dovrebbe leggere: perché nessuno di noi si ferma a riflettere su cosa significa avere un figlio cardiopatico (o con una qualsiasi altra malattia), su cosa funziona e cosa no nel nostro sistema sanitario, su come si può sopravvivere alla morte di un figlio se il ricordo porta con sé anche il sorriso, se l’amore continua. Perché questa è una grande storia di amore, l’amore di un padre che sconfigge anche la morte, l’amore di un figlio che regala al mondo un Rivoluzione d’Amore. Migliaia di persone seguono le lettere che Andrea scrive a Papo attraverso un blog e un pagina Facebook intitolati “Papo SuperHero”.
Se, come scrive Andrea Pilotta, “lasciare un bel ricordo di sé al prossimo è l’unica cosa tangibilmente sensata da fare in questo passaggio terreno”, ed è “il senso più vero e semplice della vita”, allora, piccolo Papo, ci sei riuscito in pieno.