Gentilissimo dott. Quilici,
svolgo la professione di avvocato da ormai quasi venti anni ed ho dedicato i miei studi, il mio tempo, le mie energie alle famiglie in difficoltà, alla gestione dei conflitti familiari e alla protezione dei più piccoli. Di anno in anno ho tratto nuova forza dalle “conquiste di civiltà” – come tutti le hanno definite – rappresentate dalle grandi riforme del diritto di famiglia, dalla legge n. 54 del 2006 sull’affidamento condiviso alla legge n. 219 del 2012 sulla filiazione, ed ho sicuramente accolto con gioia la notizia dell’approvazione di leggi come quella del Dopo di noi e quella sul testamento biologico di questi ultimi giorni.
Purtroppo, però, non posso fare a meno di chiedermi sempre più spesso che fine facciano i valori che ispirano le grandi riforme nella successiva fase dell’interpretazione e dell’applicazione della legge tanto attesa al caso concreto.
Il cuore della riforma, la ratio della sua esistenza, le finalità perseguite, i diritti faticosamente riconosciuti cedono il posto, nelle istanze difensive e nei provvedimenti delle corti di merito, ad un atteggiamento di sterile richiamo di singole disposizioni normative, che vengono snaturate tanto da contrarne il senso più intimo, fino quasi a dimenticarlo.
Mi riferisco, in particolare, all’affidamento condiviso e mi chiedo, e Le chiedo, che cosa sia oggi e che cosa rappresenti per un genitore che deve, per sua scelta o per scelta dell’altro, affrontare la separazione e dunque la cessazione della coabitazione con i suoi figli.
A tutti è noto il principio che ha ispirato la legge n. 54. Semplicemente straordinaria la forza contenuta nell’affermazione della co-genitorialità: i bambini hanno diritto a conservare relazioni continuative e significative con entrambi i genitori, anche durante e dopo la separazione. Non può non essere obiettivo prioritario di tutti, ma prima di tutti degli stessi genitori, garantire ai figli una presenza costante del papà (o, molto più raramente, della mamma) anche se non vive più nella casa familiare. E’ un diritto sacrosanto quello dei bambini, già riconosciuto dall’ordinamento internazionale, che la legge ha sentito la necessità di riaffermare: se un genitore vuole fare il genitore deve essergli consentito, perché ciò vuol dire rispettare il diritto dei suoi figli al suo affetto e alla sua presenza costante nella loro vita.
Ma non credo che la promessa della legge n. 54, rivolta soprattutto a tanti papà, sia stata pienamente mantenuta.
E’ una realtà oggi la bi-genitorialità? E’ una realtà l’esercizio condiviso e paritario della responsabilità genitoriale indipendentemente dalla “collocazione”, ovvero dalla “residenza privilegiata” dei figli?
Senza dubbio esiste sulla carta. Sulla carta è la regola e non l’eccezione: il papà, che non è quasi mai il genitore “collocatario” o convivente con i figli, anche se lascia la casa coniugale è comunque esercente la responsabilità genitoriale.
Il problema è che la formula che contiene la promessa di una genitorialità piena, a tutti gli effetti, si rivela presto una formula di stile, a volte perfino in contrasto con tutto quanto disposto dallo stesso giudice con lo stesso provvedimento; appare una sterile disposizione che non muta la sostanza delle cose.
Nei fatti, nella realtà di tutti i giorni, esiste ancora il genitore di serie B. Non si chiama più genitore non affidatario ma genitore non collocatario o non convivente.
E’ il genitore che ha il diritto di vedere i propri figli solo quando è stabilito nel provvedimento; non un giorno né un’ora in più se non ha il consenso dell’altro, cioè del genitore convivente. E’ il genitore che deve essere autorizzato dal giudice se desidera passare cinque minuti del suo tempo con il figlio in un giorno o un orario non stabilito. E’ il genitore che può essere escluso senza conseguenze dalle decisioni che riguardano la vita quotidiana dei propri figli. E’, nella stragrande maggioranza dei casi, il padre.
Dal 2006 ad oggi tanti bambini nelle separazioni che ho avuto modo di vivere, ascoltare, trattare, gestire, accompagnare, hanno sempre ed ancora un genitore di serie A ed un genitore di serie B. E soprattutto tanti bambini soffrono la mancanza del padre. Lei mi dirà che la riforma del 2006 ha introdotto l’art. 709 ter c.p.c., e che dunque ci sono gli strumenti perché i comportamenti irresponsabili del genitore convivente a danno dei propri figli ricevano adeguata sanzione. Devo purtroppo dissentire sul punto. E’ una norma ancora poco conosciuta e poco applicata; non è lo strumento utile perché si possa subito porre rimedio a disfunzioni che potrebbero degenerare a danno dei più piccoli, prima che ciò accada. E’, piuttosto, interpretata in maniera talmente restrittiva da far sì che restino impunite condotte che si consumano all’interno della relazione familiare e genitoriale e la logorano e distruggono irreversibilmente. Quando si può ritenere “insorta la controversia” che giustifica il ricorso alla norma? Quando è grave l’inadempienza che viene rappresentata dal ricorrente? Quando può dirsi ostacolato il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento? In tutti i casi in cui la risposta è frutto di un’interpretazione restrittiva della norma – o comunque svincolata dalla sua ratio più intima -, la norma stessa è disapplicata e la relazione familiare in pericolo resta priva di tutela.
Ciò che invece conserva intatta la sua forza ancora oggi è la convinzione della madre quale genitore astrattamente più idoneo a crescere i figli. Sono ancora tante, caro Presidente, le pronunce che consentono il trasferimento di residenza dei bambini lontano dal papà, in nome dell’insindacabile diritto alla libertà personale della mamma, che viene autorizzata a portarli con sé perché è l’unica idonea a crescerli; le pronunce che escludono il pernottamento del bambino di “tenera età” con il papà, che solo perché non è più a casa non è più in grado di occuparsene la notte; le pronunce che fissano il diritto di visita ad orario predeterminato, aprendo la porta a possibili denunce qualora la “restituzione” del figlio alla mamma avvenga in ritardo. E sono tante, caro Presidente, le pronunce adottate senza istruttoria, ove la decisione è ancorata alle mere dichiarazioni della madre, che ricevono pieno ed assoluto credito pur in presenza di un’evidente elevata conflittualità. E, ancora, sono tante le richieste di archiviazione delle Procure che nel procedimento di separazione danno il visto positivo all’affidamento condiviso, ma contestualmente non procedono quando quella che viene rappresentata è una sistematica, reiterata violazione dell’affidamento condiviso,soprattutto dei principi e dei valori che ha inteso riaffermare.
Se ancora oggi quella che quotidianamente bisogna portare avanti è una battaglia perché i bambini vengano ascoltati e si tenga conto della loro volontà, perché il loro interesse prevalga su quello degli adulti, perché il loro diritto alla bi-genitorialità non venga ignorato ma considerato sacro e protetto, perché tutto quello che ci raccontiamo sul web, nelle riviste specializzate, nei dibattiti, e tutto quello che leggiamo nei testi di legge venga rispettato, allora mi chiedo cosa davvero è cambiato dal 2006 e cosa possiamo fare perché la separazione dei genitori non sia ancora separazione dei figli da uno dei genitori.
Non mi rassegno e confido nell’impegno di tutti coloro che vorranno condividere la mia riflessione: non può essere rimessa alla sensibilità del singolo magistrato la protezione della genitorialità. Tutti i bambini, in tutte le corti di merito, devono poter avere la garanzia della piena tutela del diritto sancito dalla legge n. 54, attraverso un’adeguata specializzazione degli operatori del diritto e linee guida operative univoche, che diano finalmente corpo e sostanza all’affidamento condiviso.
Avv. Gaetana Paesano, Vallo della Lucania (SA)
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Cara Avvocatessa,
vorrei che la sua bella, accorata e coraggiosa lettera diventasse il “Manifesto” di quanti si battono perché nel momento della separazione e dell’affidamento dei figli si rifugga dalle decisioni stereotipate, si abbia a cuore la serenità e lo sviluppo equilibrato dei minori coinvolti, si valuti con il giusto peso la rilevanza della figura paterna, si osservino lo spirito e la lettera di una legge – la n. 54 del 2006 – che ha introdotto la nuova figura dell’affidamento condiviso e che è stata bellamente tradita.
La sua lettera ha suscitato in me, assieme a molte riflessioni, sensazioni contrastanti: da un lato la soddisfazione (amara) di vedere che una giurista, un’operatrice del Diritto, conferma con la sua quotidiana esperienza quanto il nostro Istituto va dicendo dal 2006 a proposito della famosa Legge 54 e dell’affido condiviso: una legge ridotta dalla giurisprudenza a mero cambio di termini senza alcun mutamento di sostanza e senza alcun rispetto per quello che era stata la ratio del legislatore che ben altro peso voleva assegnare alla figura del padre, fino a quel momento trattato – le statistiche sugli affidamenti parlavano chiaro – come soggetto del tutto residuale e ininfluente. Tuttavia, la soddisfazione di veder confermate le nostre convinzioni e le nostre affermazioni è poca cosa di fronte al rammarico, alla delusione, diciamo pure alla rabbia, di sapere inapplicata con tranquilla nonchalance una legge dello Stato.
Lei, cara Avvocatessa, si chiede cosa è davvero cambiato dal 2006; a volte io mi chiedo che cosa è cambiato da quel febbraio 1988 in cui l’I.S.P. si costituiva e apriva una nuova pagina nella storia della paternità in questo Paese. Trent’anni di studi, di ricerche, di informazioni, di battaglie anche… per che cosa? Certamente – va riconosciuto – c’è oggi da parte dell’opinione pubblica una conoscenza dei ruoli e delle funzioni paterne di gran lunga superiore a quella di trent’anni fa, grazie a una ricca bibliografia scientifica e narrativa, film, trasmissioni radio e televisive, articoli, dibattiti, convegni…; grazie all’impegno di numerosi operatori – psicologi, avvocati, assistenti sociali, pedagogisti, sociologi… – e di numerose associazioni di padri separati e no; e grazie, soprattutto, ai padri di oggi. Che sono cambiati e lo fanno vedere. Insomma, oggi l’importanza del padre è conosciuta e riconosciuta. E i problemi dei padri sono noti, ma tutt’altro che risolti.
E’ nel mondo del Diritto, nelle aule di giustizia dove si decide della sorte dei figli nel momento, doloroso per tutti, della separazione che il tempo sembra essersi fermato. E che lo stereotipo della donna per ciò stesso “buona madre” continua a dominare. Lo vediamo ogni giorno, purtroppo: di fronte al giudice una donna non deve “dimostrare” di essere una buona madre, su di lei non incombe alcun onere della prova. Ma il padre… quanto dovrà faticare per dimostrare il suo amore, la sua capacità di empatia e accudimento, la sua importanza, la sua volontà di essere accanto ai figli.
Pochi mesi dopo la nascita dell’I.S.P., ad un convegno in Corte d’Appello a Trieste, pronunciai di fronte ai giudici che sedevano nelle prime file questa frase: “I padri sono cambiati, ma i giudici non se ne sono accorti!”. E’ triste dirlo, ma oggi mi sentirei di ripetere le stesse parole (che allora furono accolte con un certo fastidio e senza che alcuno controbattesse).
“Bigenitorialità”, “affido condiviso”, “ascolto del minore”…: parole prive di senso reale. E non dubiti, non le citerò l’art. 709 ter perché so bene quanto esso sia inapplicato, non tanto perché – come sostiene qualcuno – gli avvocati non vi fanno ricorso, quanto perché si è da subito rilevato uno strumento inadatto a intervenire efficacemente e rapidamente per raddrizzare un torto, correggere un comportamento illegittimo, punire un abuso. Anche qui un’interpretazione restrittiva ne ha stravolto il significato di garanzia che il legislatore aveva voluto attribuirvi. Con l’ovvio risultato che gli avvocati nutrono in questo strumento una ben scarsa fiducia.
Tuttavia, cara Avvocatessa, tutto questo che ci siamo detti non deve spingerci alla resa. Quanti, come Lei, hanno a cuore il futuro dei figli dei separati, hanno anche il dovere morale di battersi per correggere le storture che sono davanti ai nostri occhi: i politici in sede legislativa, gli avvocati e i periti nei Tribunali, i giornalisti sui mezzi di comunicazione, gli studiosi sulle pagine dei libri e nelle ricerche… Anche noi dell’Istituto continueremo a sostenere, con tutti i mezzi a nostra disposizione, la parte che ci viene chiesta dal nostro Statuto: “tutelare e valorizzare funzioni e ruoli paterni nella società, stimolando su questo tema una nuova sensibilità sociale”.
Lei conclude la sua lettera affermando di non rassegnarsi e di confidare nell’impegno di quanti vorranno condividere le sue riflessioni. Il mio Augurio è che le sue parole trovino molti echi e ci siano molte voci a sollevarsi assieme alla sua. Forse un coro – del quale l’I.S.P. si farebbe amplificatore – potrebbe stimolare orecchie che finora sono state completamente sorde.
M.Q.