di Maurizio Quilici *
Il giorno prima – 28 febbraio 1988 – era uscita su numerosi media la notizia della nascita dell’I.S.P., che avevo fortemente voluto. Aveva suscitato molta curiosità e molto interesse: per la prima volta la trasformazione dei padri veniva posta come un problema culturale e sociale. Dormivo i sonni del giusto (erano da poco passate le sette del mattino e io non sono mai stato molto mattiniero, preferendo studio e lavoro nelle ore notturne) quando suonarono alla porta. Andai ad aprire e non sapevo se ero più incuriosito o più seccato. Davanti a me un giovane dal fisico robusto e un signore maturo. Padre e figlio, si presentarono. E aggiunsero che avevano letto la notizia dell’Istituto e all’alba avevano preso il treno da Chieti per venirmi a parlare. Il ragazzo aveva avuto un bambino dalla fugace – e presumo burrascosa – relazione con una collega di università e ne era stato felicissimo. Diventare padre era stato per lui una gioia immensa. Seguita da un dolore altrettanto forte. Perché lei gli aveva detto chiaro e tondo che quel figlio era suo, suo di lei intendo, e che lui “se lo poteva scordare”. Dopodiché ogni tentativo di farle cambiare idea era naufragato. Li feci entrare e sedere, parlammo a lungo. Se ne andarono con un poco di speranza in più. Sono trascorsi 30 anni da quel giorno di febbraio, il 29 per l’esattezza, di un anno bisestile e dire “mi sembra ieri” non è una frase fatta.
Fu così che capii – fin dal primo giorno – che l’esistenza del nostro Istituto aveva sollevato un enorme coperchio, sotto il quale ribolliva un mare di sofferenza, impotenza, incertezza, dubbi, solitudine… Senza trascurare gli altri aspetti fondativi dell’I.S.P., per lungo tempo dovemmo considerare prioritario un solo lato della paternità: quello della separazione e dell’affidamento.
Furono anni di grande impegno, ma anche di grande entusiasmo che animava noi tutti. Fatemeli ricordare qui, i nomi di coloro che entrarono, con me, a far parte del primo Consiglio Direttivo dell’Istituto: l’avvocato Marina Bottani, il Presidente della Corte d’Appello di Roma, Carlo Sammarco, Antonio Guglielmo, praticante commercialista e futuro Tesoriere dell’I.S.P., Silvio Merli, Professore Ordinario di Medicina Legale alla Sapienza, Albertina Del Lungo, psicologa e in seguito Segretario dell’Istituto. Voglio ricordare anche il notaio che redasse l’atto costitutivo e lo Statuto: Francesco Scaldaferri. Con lui si stabilì nel corso degli anni un rapporto di stima e amicizia e poiché si considerava un po’ il “papà” del nostro istituto continuò a seguirne le vicende fino alla trasformazione dell’I.S.P. in APS, avvenuta davanti a lui il 18 settembre del 2015, poco prima che il notaio andasse in pensione.
Riassumere in poche righe 30 anni di storia di una associazione è naturalmente impossibile. Ma è giusto fermarsi un attimo a riflettere sul significato che questi anni di attività hanno avuto. Per chi ha fatto o fa parte del nostro Istituto, per i padri che a noi si sono rivolti con diverse motivazioni, non solo di conflitto, per gli studenti che nella nostra sede hanno consultato libri e documenti attingendo ad una ricca Biblioteca, per la società civile che si evolveva ma non teneva mai il passo con l’evoluzione della figura paterna. Studio, ricerca, raccolta dati, documentazione bibliografica e cinematografica, incontri, conferenze (tanti nomi “eccellenti” di conferenzieri sono passati nella nostra saletta, impossibile ricordarli tutti). Teoria, riflessione, pensiero, come si addice a un istituto di studi, ma non solo. Quando è stato necessario siamo anche scesi, civilmente, nelle strade, come quando raccogliemmo firme a Roma (in Via Arenula, davanti al Ministero della Giustizia) e Firenze a sostegno di un padre, Osvaldo Costa, accusato dalla giustizia americana di aver sottratto i figli alla madre e ingiustamente estradato e incarcerato negli Stati Uniti. O come quando, in occasione della Festa del papà, lanciammo una campagna per invitare i padri a donare il sangue negli ospedali pediatrici, dando per primi l’esempio.
Difficile, del resto, separare con chiarezza studio e ricerca dalle ricadute pratiche che questi comportano. Così, il progetto di ricerca sulla paternità in carcere presentato dall’I.S.P. al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e realizzato nel 2013 e 2014 somministrando un questionario seguito da un’intervista in sette carceri italiane (esperienza di grande spessore umano che io e l’avv. Fiorella D’Arpino ricordiamo con emozione) non è stato solo un impegnativo esercizio fine a se stesso. Esso ha evidenziato una serie di criticità logistiche, ha svelato risvolti affettivi ed emozionali nascosti, ha messo in luce acute sofferenze e desideri inespressi raccontati in prima persona e spesso per la prima volta. Insomma, ha offerto alla amministrazione penitenziaria, al garante per i detenuti, alla classe politica e alle numerose associazioni che operano nelle carceri un prezioso materiale che doveva tradursi (e in parte così è stato) in concrete trasformazioni del regime carcerario.
Non sono mai mancati i problemi, naturalmente. Soprattutto quelli di natura economica e quelli della disponibilità dei soci, spesso professionalmente molto impegnati. Tuttavia siamo sempre riusciti a operare grazie alla buona volontà di alcuni (come non citare gli “storici” iscritti Nicola Palmieri e Massimo Poli?) e alla fiducia e stima di quei soci che da varie parti di Italia continuano dai tempi della fondazione a rinnovare ogni anno la quota. Sono quelli che, con linguaggio sindacale, chiamo “lo zoccolo duro” dell’I.S.P., amici da trent’anni o quasi: Michele Suriano, di Lecce; Carlo Cecchi, Mirella D’Ippolito, Leo Nestola, Maria Elettra Cugini di Roma, Alfredo Poloniato di Trieste, Grazia Verde e Salvatore Avagliano di Napoli… Probabilmente ho dimenticato qualcuno, che mi perdonerà in nome della nostra vecchia amicizia. Persino qualcuno dei tanti giornalisti che trent’anni fa scrissero dell’I.S.P. è rimasto vicino all’Istituto e ne segue tuttora l’attività, come la collega – ora anche amica – Stefania Quaglio, dell’Agenzia Adnkronos. Non abbiamo invece mai avuto quei problemi intestini che spesso agitano le acque delle associazioni: rivalità, invidie, “cordate”, disaccordi, malanimo… In tanti anni riesco a malapena a ricordare un paio di episodi facilmente superati. E’ un fatto di cui, lasciatemelo dire, vado orgoglioso.
Naturalmente, dopo 30 anni di attività alcune domande si pongono spontanee. Almeno tre. La prima è: in questo periodo il nostro Istituto può dire di aver assistito a un cambiamento radicale della paternità? E se sì – è la seconda domanda – a questo cambiamento ha corrisposto un adeguamento delle strutture sociali, delle leggi, della società in genere? In altre parole, si può parlare, dopo 30 anni, di “una nuova sensibilità sociale”, obiettivo testuale del nostro Statuto? Terza domanda (sempre nel caso di risposta affermativa): riteniamo che l’I.S.P. abbia contribuito efficacemente a stimolare una tale sensibilità?
Il primo interrogativo è quasi pleonastico: l’I.S.P. nacque proprio per dar conto della profonda trasformazione che si affermava con sempre più marcata evidenza e i 30 anni che sono seguiti non hanno fatto altro che confermare la epocale trasformazione e far emergere l’enorme mole di corollari – psicologici, sociali, giuridici… – che ne derivavano e che continuano ad affiorare, nuovi ogni giorno.
Più complicato rispondere alla seconda domanda. Nel corso di questi decenni c’è stata senza dubbio la formazione di una consapevolezza e conoscenza diffuse sul tema della paternità. Da figura che cambiava sì, ma nell’ombra, come una comparsa della cui recitazione nessuno si accorge (anche a questo alludeva il titolo del mio primo libro sull’argomento, Il padre ombra, edito nel 1988) il padre ha conquistato la scena con prepotenza, ha preteso di essere visto e ascoltato, ha ottenuto che su di lui studiosi di molte discipline umanistiche si interrogassero. Sulla sua evoluzione, sulla sua importanza e sui suoi limiti, sui suoi ruoli e sulle sue funzioni. Ha suscitato interesse, simpatia, ricerca, solidarietà, comprensione. Ma anche accuse e rimproveri, ostilità, svilimento, sarcasmo. E la sua figura è stata sottoposta a una continua, sottile, subdola delegittimazione.
Indubbia l’acquisizione di una nuova consapevolezza critica e analitica (talvolta più sui padri che dei padri, ma questo è un altro discorso che ci porterebbe lontano). Possiamo dunque dire, per tornare alla domanda iniziale, che una “nuova sensibilità sociale” va riconosciuta solo a quella che, con termine vaghissimo si chiama di solito “opinione pubblica”. Oggi l’”uomo della strada” (altra espressione che vuol dire tutto e nulla) oggi “sa”. Grazie ai media (TV in testa), all’eco moltiplicatrice della Rete, alla letteratura scientifica e divulgativa oggi prolifica sul tema – quasi una moda… –, alle battaglie delle numerose associazioni di padri separati (qualche volta controproducenti, ma sempre rumorose e indicative di un disagio reale e profondo), ai convegni, dibattiti, conferenze sul tema. Dove invece è mancata quasi del tutto la volontà di adeguarsi al cambiamento è nell’ambito della politica (e dunque delle leggi) e soprattutto del diritto, o meglio della giurisprudenza, che del diritto costituisce la quotidiana applicazione e interpretazione. Per la verità, un tentativo del legislatore c’era stato con la legge 54 del 2006, quella dell’”affido condiviso”, che intendeva restituire al padre separato una dignità e una vicinanza ai figli fino ad allora negate. Ma sappiamo come è andata a finire e non merita qui tornare sull’argomento. Non è andata meglio con le leggi relative ai congedi parentali (con una retribuzione al 30% quale padre volete che possa permettersi di stare a casa con i figli?) ed anche la novità recente dei permessi alla nascita per il padre, obbligatori e retribuiti al 100% (sacrosanta e importantissima sul piano del principio e dell’innovazione) fa un po’ sorridere, con quella lenta e “sperimentale” progressione che ha portato per il 2018 a quattro il numero dei giorni, specie se paragonata con i 90 giorni della solita Svezia o i 50 della Finlandia o i 30 della Lituania. Ma qui, almeno, c’è una giustificazione economica, se è vero che ogni giorno di congedo costa dieci miliardi di euro.
Non è cambiato nulla neppure in merito all’aborto: l’art. 5 della Legge 194 sulla interruzione volontaria di gravidanza sta sempre lì a sancire che il futuro padre può essere informato solo “ove la donna lo consenta” e a testimoniare una evidente discriminazione di genere (chi legge questo notiziario sa che l’I.S.P. riconosce alla donna “l’ultima parola” sulla decisione come un suo inalienabile diritto, ma considera inammissibile che il padre non debba – non ho scritto possa – essere coinvolto).
Ed eccoci alla terza domanda: che ruolo ha rivestito l’I.S.P. in questa congerie di luci ed ombre? Io credo – e non è per volersi fare pubblicità – che abbia avuto una parte importante. Anzitutto ha “aperto la strada”. In un momento storico in cui, come ho detto, il padre cambiava ma quasi nessuno rilevava il cambiamento e lo additava, il nostro Istituto ha avuto il merito di far aprire gli occhi (e gli orecchi) e dire: “Ci siamo!”. Quando, all’inizio, si trovò ad affrontare il nodo delle separazioni e degli affidamenti ebbe un effetto inaspettato: fece della separazione e dei suoi problemi un argomento non più tabù, “dette la parola” ai padri separati, per usare un’espressione che mi colpì perché ripetutami, identica, da più di un padre. Effetto “secondario” inatteso e degno di attenzione, questo: padri che fino ad allora si erano vergognati di parlare dei propri problemi (con i colleghi, gli amici, i parenti…) per una separazione vissuta come vergogna, sconfitta, dolore, trovarono coraggio e fiducia nel fatto che un Istituto come il nostro, privo di velleità revansciste e maschiliste, affrontasse apertamente il tema e “ritrovarono la parola”. Poi, esaurita quella prima fase “emergenziale”, l’Istituto imboccò la sua strada segnata dai compiti statutari e cominciò un cammino di ricerca, studio, dibattito, raccolta e archiviazione di documenti, film, libri (oggi la nostra biblioteca conta oltre 1.300 testi ed è meta di studenti universitari che giungono da ogni parte d’Italia). Un percorso la cui ultima tappa è di poche settimane fa: la Giornata di studi sulla paternità – organizzata dall’I.S.P. e dalla Università Roma Tre, Dipartimento di Scienze della Formazione – che si è svolta a Roma il 19 marzo scorso e i cui contenuti costituiranno il 2° Rapporto sulla paternità in Italia.
In occasione di questo trentennale abbiamo inserito sul sito una voce: “Il nostro curriculum”. Esso raccoglie – con inevitabile selezione – alcuni eventi significativi della nostra attività. Sono incarichi e successi che testimoniano la stima, l’interesse e l’apprezzamento da parte dei singoli e delle istituzioni. Una stima che ha portato negli anni alla compilazione di una mailing list molto estesa di “amici dell’I.S.P.”: rete di persone interessate a ricevere informazioni relative all’Istituto e alla sua attività.
Naturalmente, guardare alle nostre spalle non basta. Occorre guardare anche al futuro. Negli anni che ci attendono vedo ancora molte sfide. Ma soprattutto occorrerà adoperarsi in un senso: garantire al nostro istituto un ricambio generazionale che ne assicuri la continuità. Abbiamo un target di età troppo alta. A cominciare dal sottoscritto, che in prospettiva vorrebbe intravedere un inevitabile (e forse auspicabile) “passaggio di testimone”. Le recenti iscrizioni di giovani ed eccellenti professionisti (penso a Laura Romano di Como, Chiara Narracci, Emiliano Varanini, Ermanno Vianello di Roma, Raul Marini di Pisa o all’Avv. Gianluca Aresta che su questo numero del notiziario apre una nuova Rubrica) sono un contributo prezioso per la professionalità dell’I.S.P., ma sono poche e non bastano, temo, a rivitalizzare l’Istituto e a garantire la sua essenza per il futuro.
Oggi ci chiediamo anche se e come festeggiare questo anniversario. Le disponibilità umane ed economiche – per il carattere volontaristico che abbiamo sempre voluto mantenere – non sono granché. Ed abbiamo appena terminato, come ho detto, la prima parte di un impegno gravoso, l’organizzazione della “Giornata di studi sulla paternità” del 19 marzo scorso. Altri compiti ci aspettano per l’anno in corso. Si era pensato ad un incontro celebrativo conviviale, ma questo finirebbe per riguardare i soli soci di Roma e ci dispiace (d’altro canto non è facile trovare qualcosa che coinvolga tutti gli iscritti, indifferentemente). Una socia di Milano, l’amica e collega Lorenza Pizzinelli, mi ha suggerito di scrivere una “Storia dell’I.S.P.”. E’ una bella idea quella di festeggiare il trentennale lasciando ai vecchi e nuovi soci (e a chi studia questo argomento) una storia del nostro Istituto. Unica controindicazione, il tempo necessario anche a chi, come il sottoscritto, è abituato per esigenza professionale a scrivere con rapidità. Conto di ricordare l’evento con un comunicato ai media; purtroppo, la crisi dell’editoria ha comportato anche una limitazione dell’attenzione ai “grandi fatti”, con minore sensibilità per gli aspetti socio-culturali, e non garantisco il risultato.
Comunque sia, non credo che dovremo assumerci sensi di colpa o vivere una percezione di inadeguatezza se non festeggeremo alla grande il nostro compleanno. Quello che ci ha animati finora e continua a sostenerci è la convinzione di operare per qualcosa di bello e di utile. Senza guardare troppo alla forma esteriore, senza cerimonie e fanfare. Conoscere di più e meglio quello che Freud definì “l’enigma paterno” è il compito che ci siamo prefissi trent’anni fa e che continueremo a svolgere. Un dono prezioso per noi genitori e per i nostri figli.
* Presidente dell’I.S.P.