Gian Ettore Gassani,
C’eravamo tanto armati,
Imprimatur, Reggio Emilia 2017,
pp.286, € 17,00
Torna in libreria Gian Ettore Gassani, Presidente dell’AMI (Associazione Avvocati Matrimonialisti Italiani), a completare una trilogia di testi naturalmente legati al Diritto. Anche qui, storie vissute, ma anche riflessioni e chiarimenti utili – e forse direi soprattutto – non solo agli avvocati. C’è la storia di un padre omosessuale costretto a un accordo di divorzio che lo allontana dai figli con il ricatto di far sapere loro la verità (ma i figli, una volta cresciuti, cercheranno proprio la verità e questa è una storia a lieto fine). C’è il vecchio avvocato che dà, con modestia, lezioni di vita e di professione. Sulla professione di avvocato Gassani spende molte pagine. Perché l’avvocato “è il sale della giustizia”, perché “la professione di avvocato, se svolta ad alti livelli, è di sicuro la più complessa e difficile di tutte”, perché la toga non è solo “un pezzo di stoffa, ma la nostra seconda pelle”.
Molti i temi affrontati nel libro, sempre con il linguaggio schietto, informale (e qualche volta scanzonato) al quale ci ha abituati l’Autore: le unioni civili (legge n. 76 del 20 maggio 2016), le misure per sostenere le famiglie di disabili (la cosiddetta “Legge del dopo di noi”, n. 112 del 14 giugno 2016), i minori non accompagnati (legge n. 47 del 7 aprile 2017), l’immigrazione, il divieto di procreazione medicalmente assistita post mortem, la scuola (con una appassionata difesa di questa e un toccante ricordo d’infanzia), i social, la sottrazione internazionale dei minori.
Alle riflessioni, alle spiegazioni, ai racconti dell’Autore si affiancano alcuni contributi: quello di Cataldo Calabretta, docente di Diritto dell’informazione, sul diritto di cronaca con i suoi diritti e i suoi doveri (in una parola, i suoi limiti) e su quello che definisce appropriatamente “cannibalismo mediatico”. Calabretta esamina alcuni casi di cronaca nera – fra i quali l’uccisione del “piccolo Tommy” il delitto Parolisi, l’uccisione di Sarah Scazzi – analizzando i comportamenti dei presunti colpevoli davanti alle telecamere.
Maddalena Cialdella, psicologa e psicoterapeuta, illustra il caso di una madre che subisce le violenze del marito secondo una sequenza “tipica”: l’aggressione (anche in presenza dei figli) le scuse, la promessa che non accadrà più… Tipica è anche la motivazione che la donna dà della mancata denuncia: “Ho preferito proteggere i miei figli. Volevo che avessero un padre (…) E forse anche il mio sogno di avere una famiglia unita a qualsiasi prezzo”. Difficile giudicare dall’esterno, ma certo un padre così meglio non averlo davanti agli occhi. Tutto ruota attorno a quella inaccettabile frase: “a qualsiasi prezzo”. “Il problema” – osserva giustamente Cialdella – è non insegnare ai figli che vivere insieme, fare famiglia, condividere un percorso di vita, non può prescindere dal mutuo rispetto”. In questa storia la donna si deciderà a chiedere la separazione solo quando il marito colpirà con violenza anche la figlia undicenne.
Ma è soprattutto la straziante storia di Piergiorgio Welby raccontata dalla moglie, Mina, a colpire il lettore. Una storia che tutti noi ricordiamo, fatta di sofferenza ma anche di grande felicità, di lotta contro le istituzioni e contro il bigottismo di una certa chiesa (il cardinale Ruini non consentirà il funerale religioso), di impegno contro leggi anacronistiche per ottenere il rispetto della persona, della dignità dell’uomo. Una cronaca puntuale di fatti e di sentimenti, dal momento del primo incontro fra Mina e Piergiorgio fino a quel 20 dicembre 2006 in cui il distacco dal ventilatore polmonare pose fine alla vita di Piergiorgio, come lui aveva fortemente voluto.
Paolo Cognetti,
Le otto montagne
Einaudi, Torino 2016,
pp. 199, € 18,50
La paternità, la montagna, l’amicizia. Sono i tre grandi temi di questo libro, vincitore del Premio Strega 2017. La paternità è quella che unisce Giovanni a suo figlio Pietro, voce narrante del libro. Uomo di poche parole, Giovanni (e a volte anche brusche) e di una tenerezza nascosta e difficile ad esprimersi: la montagna è l’unico, silenzioso tramite che conosce per avvicinare a sé il figlio. Così comincerà a condurre Pietro nel folto dei boschi, su per sentieri scabri, lungo ghiacciai che cambiano colore ad ogni ora e ad ogni profondità… “Cominciai a imparare il modo di andare in montagna di mio padre, la cosa più simile a una educazione che io abbia ricevuto da lui”. Questo non servirà, al momento, a rendere più facile la comprensione fra l’uomo e il suo bambino e terminerà con il “rifiuto” di Pietro sedicenne a seguire il padre in montagna: una ferita per il genitore, una “liberazione” per Pietro. Come spesso accade fra un genitore e un figlio, Pietro “scoprirà” poco a poco suo padre quando questi non ci sarà più (e la montagna sarà un lascito importantissimo) osservando in se stesso quell’amore per la natura che il genitore gli ha insegnato più con la scoperta che con le parole. Vivendo a Milano, Pietro comincerà col capire “la nostalgia della montagna, il male da cui per anni l’avevo visto afflitto senza capire”. Una Milano lontana dai suoi ricordi d’infanzia e che pure richiama al protagonista una natura tanto potente da non conoscere tempi e distanze: “un nuovo taglio di luce sul balcone, un germoglio nell’erba stenta tra le corsie di traffico, la primavera tornava perfino a Milano e la nostalgia si trasformava in attesa che arrivasse il momento di tornare su”.
E ogni volta che torna “su” Pietro ritrova Bruno, il bambino delle scorrerie dell’infanzia agli alpeggi, delle esplorazioni fra i ruderi delle vecchie baite abbandonate. Bruno che si è fatto uomo come lui e che assieme a lui vivrà ora avventure diverse e non meno significative, come la costruzione di una casa in alta montagna, attaccata a una roccia, su ruderi che Giovanni aveva individuato (sempre accompagnato da Bruno) e comprato, senza che il figlio lo sapesse. Lì Giovanni avrebbe voluto costruire un “rifugio” e lì Pietro e Bruno adempiranno il desiderio di Giovanni. E’ una delle tante scoperte postume che Pietro fa, come quando ripercorre i sentieri battuti dal padre da solo e nei “libri dei rifugi” ritrova le scarne frasi scritte dal genitore. E scopre “di aver avuto due padri: il primo era l’estraneo con cui avevo abitato per vent’anni in città, e tagliato i ponti per altri dieci; il secondo era il padre di montagna, quello che avevo intravisto eppure conosciuto meglio”.
Un padre, un amico, la montagna. La storia è in fondo semplice, semplice il linguaggio, semplici – perché essenziali – i sentimenti, pacato il ritmo della narrazione. Un libro che parla molto con i colori, con gli odori. E con i silenzi. C’è qualcosa di austero, di antico e malinconico – come può essere austera ed antica e malinconica la montagna – in tutta la narrazione. Forse è proprio questa semplicità, questa pacatezza, che ha fatto storcere il naso a qualche lettore, che su Internet ha giudicato l’opera “sopravvalutata”. Il fatto è che oggi, nella prosa come nel cinema, siamo drogati dagli effetti speciali, dai colpi di scena, dalle emozioni forti come pugni nello stomaco. E una bella, semplice storia finisce quasi col deluderci.
Alessandro Volta,
La paternità tra letteratura, arte e neuroscienza,
pubblicazione on-line scaricabile
gratuitamente dal seguente link: http://vocidibimbi.it/dir/la-paternita-letteratura-arte-neuroscienze/
Alessandro Volta è un pediatra neonatologo che da alcuni anni si dedica in modo particolare al tema della paternità. Direttore del Programma Materno Infantile della ASL di Reggio Emilia, tiene corsi di accompagnamento alla nascita per genitori e ha pubblicato alcuni libri sul padre. Questo suo breve saggio unisce spunti di arte e letteratura alle recenti scoperte nel campo delle neuroscienze per affrontare ancora una volta un tema che gli è caro: quello della paternità. Attraverso due frasi tratte da La cripta dei cappuccini di Joseph Roth e Anna Kerenina di Tolstoj – entrambe legate alla nascita – l’Autore spiega le trasformazioni ormonali prodotte dal cervello di un uomo che diventa padre: ossitocina, prolattina, testosterone… sostanze di cui, se non si è medici, conosciamo solo vagamente le funzioni e ancor meno quelle legate a paternità e maternità.
Il Pinocchio di Collodi, testo ricco di simbologia, consente a Volta un raffronto tra Geppetto e un altro famoso padre non biologico: San Giuseppe. Figura, quest’ultima, sulla quale l’Autore torna più avanti, esaminando l’iconografia cristiana di paternità e maternità. Non è certo la prima interpretazione psicologico-analitica di quest’opera (pochissime opere scritte possono vantare un numero così elevato di studi e analisi: psicologiche e psicoanalitiche, sociologiche, persino politiche) ma qui il punto di partenza è uno specifico occhio paterno e questo fa la differenza.
Il rapporto di coppia attraverso un quadro di Van Gogh (“I primi passi”, copia da Millet) permette a Volta di ricordare Winnicott e la madre come “base sicura” e, ancora una volta, spiegare quali trasformazioni biochimiche sono legate alla paternità e alla maternità e quali comportamenti esse inneschino. Nei genitori e nella loro piccina ritratti dal pittore olandese si trovano gli spunti per esaminare le dinamiche della coppia genitoriale e le necessarie sinergie dei suoi elementi.
Sul suo sito online Volta spiega di non aver trovato un editore disposto alla pubblicazione e di aver deciso perciò di mettere il libro a disposizione di chiunque sulla Rete. Peccato? Forse meglio così, perché questo breve saggio merita una lettura (sarà una lettura scorrevole e interessante) e forse potrà raggiungere un maggior numero di lettori. L’Autore gradirebbe – come ogni scrittore vorrebbe fare, ma gli Editori non amano questo contatto “diretto” – osservazioni al libro. Che possono essere inviate alla sua mail: allevolta@libero.it. Per chi è abituato a leggere su carta più che sul video, basterà scaricare il testo su una chiavetta e farlo stampare (sono poche decine di pagine). Noi siamo fra questi e noi così abbiamo fatto.
Enzo Morgagni e Ivan Morini,
Ambiguo paterno,
Fernandel, Ravenna 2017,
€ 13,00, pp. 109
Molteplici sono i risvolti che attengono alla paternità e spesso, in un testo, è giocoforza (e più significativo) prenderne in esame solo alcuni. Sei sono i profili del paterno che questo libro raccoglie, qualcuno “classico” (la ricerca sociologica sul rapporto padre-maschio, declinata nei due aspetti statistico e qualitativo, e le iniziative sulla paternità nei vari Paesi) qualcun altro più “di nicchia” (essere un papà gay, l’iconografia di San Giuseppe, la figura paterna nel cinema). L’agile, ma pieno di contenuti, libretto che ne è derivato raccoglie gli atti del convegno di studi “Ambiguo paterno” organizzato a Ravenna dalla associazione Femminile Maschile Plurale (FMP) nel febbraio 2016.
Arnaldo Spallacci – socio del nostro Istituto – Stefano Ciccone, Annina Lubbock – anche lei socia I.S.P. – Sergio Lo Giudice, Serena Simoni e Fabrizio Varesco firmano i sei interventi. Se sono interessanti gli aspetti statistici (in modo particolare quelli meno noti: vedi la ricerca “Il tempo degli uomini”, di Eikon Strategic Consulting, dalla quale si apprende che il 68 degli intervistati, pur descrivendo il padre in termini positivi, attribuisce alla madre un “ruolo preminente” nella loro crescita) non lo sono meno quelli valutativi e di riflessione, ad esempio sulle associazioni di padri separati, sul conflitto nelle separazioni e nell’affidamento, sulla genitorialità (vista da Ciccone non come funzione ma come esperienza).
Uno spazio a sé, per la loro specificità, occupano i due interventi su San Giuseppe e sulla cinematografia relativa al padre. La storica dell’arte Serena Simoni ricostruisce la figura di San Giuseppe (storicamente soggetto ad alterne vicende, oggi apprezzato ed amato ma un tempo trascurato e svilito) attraverso un excursus iconografico che soddisfa insieme interesse religioso e artistico; Fabrizio Varesco, documentarista e regista, ripercorre un lungo cammino dal secondo dopoguerra ad oggi, passando attraverso registi quali Pasolini, Bellocchio, Bertolucci fra gli Italiani, Spielberg, Schlöndorf, Hillcoat fra gli Americani (rispettivamente con Prova a prendermi, Morte di un commesso viaggiatore, The Road). Una ricca carrellata di film e registi ognuno dei quali testimonia di come la società vive e interpreta nel suo momento storico il rapporto padre-figli.