di Massimo Poli *
Massimo Poli è stato uno dei primi soci dell’I.S.P. La sua iscrizione risale infatti all’ottobre del 1988, pochi mesi dopo la fondazione dell’Istituto. Con altri amici – che tali ormai sono divenuti – citati, salvo dimenticanze che spero di non aver commesso, nell’editoriale dello scorso numero di ISP notizie, Poli è rimasto per questi trent’anni uno dei soci più attivi. Sempre pronto a collaborare, a sostenere anche a livello personale l’Istituto, al quale ha dedicato tempo (e qualche volta denaro), costituisce una delle “colonne” dell’I.S.P., al quale il nostro Istituto deve molta gratitudine.
Nel 30/mo anniversario della fondazione, ci è sembrato giusto chiedergli di commentare questa sua lunga esperienza all’interno della nostra associazione. Motivazioni e sentimenti nei quali, è probabile, si riconosceranno molti altri padri, soci o meno dell’I.S.P.
Ho molte spesso desiderato fissare sulla carta i miei ricordi di questi trent’anni di vita, prima da entusiastico neo-iscritto, poi da sostenitore accanito dell’Istituto di Studi sulla Paternità e delle sue finalità istituzionali.
La difficoltà più grande era dovuta alla massa di ricordi ancora carichi di sofferenza che si oppone ad una serena, ordinata esposizione delle vicende legate al mio matrimonio in dissolvenza fotografica. Di più: l’angoscia di vedere travolti dalla medesima dissolvenza i rapporti con i due figli che ho desiderato e mai rinnegato.
C’è un acronimo che uso per chiudere le comunicazioni con la mia Piccola tutt’oggi: PNAP. Vorrebbe dire che ancora oggi le pene della crescita di un figlio non superano (ancora) la forza vitale del loro desiderio: Padre Non Ancora Pentito, tale mi considero.
Non vorrei, pertanto, riesaminare ancora il lato matrimoniale e generativo della mia vicenda che, a ben guardare, è simile alle decine che ho ascoltato da tanti testimoni passati per la sede dell’ ISP nel corso di 15 anni. Due pomeriggi a settimana ho offerto per la “presenza” nella sede associativa necessari ad accogliere gli aspiranti soci.
Molti erano studenti, soprattutto laureande, che venivano ad iscriversi per poter consultare la ricca biblioteca dell’ associazione.
Non pochi, invece, erano i padri, i nonni, qualche madre che afflitti dal mio medesimo stato di ansia per il pericolo di una perdita affettiva grave (di solito più temuta che realmente incombente) si affacciavano all’ISP pieni di speranza.
Il dogma di Maurizio, saggio e prudente Presidente (nonché inventore dell’idea di creare questo cenacolo di studio) era che non dovessimo dispensare consigli, pareri ma suggerimenti a precise richieste.
Il primo effetto di questi incontri era per me di prendere atto che le vicende degli altri erano, spesso, molto più drammatiche della mia. Per questo era facile individuare nei loro racconti quegli aspetti positivi da valutare positivamente per offrire, per questa via, quell’ appoggio che lasciava soddisfatto l’interlocutore di turno. Invero gratificato più dall’attenzione e dall’ ascolto attento che potevo offrire con autentica umiltà.
D’altra parte io ero stato agevolato molto in questo compito poiché avevo ricevuto proprio dal Presidente, nell’ ottobre del 1988, in via della Dataria, un aiuto, durato solo una quarantina di minuti, capace di sovvertire il mio quadro esistenziale; in quel momento paurosamente compromesso da eventi avversi che si succedevano senza tregua. Il suo ascolto attento, la precisione delle sue indicazioni “tecniche” sulle vicende matrimoniali e genitoriali che esponevo, mi bastò. Null’altro mi ha sostenuto quanto quel primo colloquio. Anch’ esso indelebile.
Ecco cosa si attende un uomo o una donna che stanno arrostendosi al fuoco di una possibile grave perdita affettiva, forse irreversibile, in una parola, tragica. Appunto, che la via della tragedia è frutto di una scelta solo mia. Oppure decidere di non aiutarla a svolgersi, la tragedia, modificando però radicalmente l’approccio alla vicenda.
Questo processo richiede molte energie ma anche il sostegno di qualche professionista competente nell’arte di tenere a bada i fantasmi che divorano la nostra mente, le nostre energie quando sulla nostra via incontriamo la burrasca.
Da qui il passo di scegliere di affiancare il nostro presidente è stato veloce come un battito di ciglia. Non ho più smesso, ancora oggi.
Si sovrappone al percorso di amare i figli, non solo i miei, ma anche tutti quelli che non incontrerò mai.
Seguire la vicenda umana di Antimo, oggi sacerdote, psicologo ne ha fatto per me un figlio. A quella di Federico, che ha conosciuto la tragedia, quella vera, ho fatto posto come ad un figlio.
Si può essere padri ad libitum. L’approccio a questo modo di distinguere questa straordinaria dinamica relazionale è limitato solo dalla nostra capacità affettiva. Ho tratto anche dall’ ISP proprio questa forma di energia, con continuità nel corso di questi trent’anni. E rifuso, quando richiesto, le energie necessarie a mantenere in vita il sodalizio, sempre bisognoso di contributi non solo di pensiero. Quando il flusso dei ricordi rallenta il suo girotondo, riemergono dalla nebbia figure davvero incancellabili che hanno lasciato tesori nella mia mente.
Quel padre in trepidazione che una sera si affacciò con poco preavviso alla sede, piuttosto turbato. Ho iniziato ad ascoltarlo pregandolo di spiegare con parole semplici il suo problema. Comincia col dire che di lì a qualche mese sarebbe nato il suo primo figlio. Ho temuto, a quel punto, una prematura rottura con mamma del nascituro. No! Il rapporto con la moglie era ottimo, si volevano molto bene, andavano d’ accordo. E allora? pensai io, cosa cruccia quest’uomo? “Sa” mi disse, pieno di esitazioni, “mi sono accorto di non sapere nulla di quello che dovrei sapere, per fare il padre”. Faceva il falegname e per me lo stupore generato dalle sue parole fu grande e mi commosse questa autentica umiltà di padre in formazione. Voleva leggere qualche libro. Gli spiegai che lui sapeva in tema di paternità più di me e che nessun libro poteva dargli tanto ardore paterno. Suo padre gli aveva donato una modalità di fare il padre che poteva essere un capitale su cui investire. O uno zio, un amico. Chiunque poteva offrigli uno spunto. Conclusi con le parole di un lucido psichiatra che soleva ripetere: “Il peggior padre è sempre migliore di un padre assente”. Aggiungo io assente fisicamente o affettivamente. Chi può negare, infatti, la feconda funzione paterna svolta sul figlio che in Franz Kafka è pur sempre stata fonte di una vena poetica e creativa affascinante e che ha donato al suo autore l’ immortalità letteraria?
Ecco, anche questo è stato l’ I.S.P. per me. Nella mia memoria hanno spazio ancora adesso l’incontro con figure professionali che non esagero se definisco gigantesche: l’avvocatessa Marina, professionale, rispettosa, equilibrata, affettuosa… come non metterla nello scrigno segreto dei miei ricordi più preziosi, assieme alla psicologa Albertina, sempre attenta, disponibile, coraggiosa. Con Osvaldo sempre disponibile malgrado il suo terribile intrigo internazionale. Una Maria Elettra che mi ha consentito di scontrarmi con le sue idee senza pretendere di avere la meglio solo perché psicologa: “solo tu puoi decidere cosa vuoi fare della tua vita”. Con Giusi … cancellata improvvisamente da un male incurabile, sempre disponibile per gli altri malgrado la sua pesante quotidianità. Ricordi ancora carichi di stimoli …
La scelta della paternità, in parole semplici è la scelta della vita sulla morte che ci avvolge, ci lusinga, ci tenta. Scelta forse facilitata per me che ho avuto un padre mai esitante di fronte alla sua, congenitamente radicata; lui che il padre lo aveva perso all’età di sette anni, completamente sgomento. Della mamma, a quell’epoca, infatti, ricordava solo l’ombra del suo sorriso. Se ne era andata che lui ne aveva tre, di spagnola credo, nel 1919, lasciando tre femmine e un maschietto.
Perché decidere di essere padre davanti a vicende esistenziali tanto dolorose? La ricerca di una risposta a questa domanda ancora mi appassiona. Ogni volta verifico, però, che quanto di noi stessi siamo disposti a spendere per una causa, si riempiono in pari misura di valore le mete che poi ci affanniamo a raggiungere con il tempo. La fatica, il dolore che gli avvenimenti comportano fa lievitare il bene che quella causa contiene.
Trent’anni sono tanti per le nostre capacità di misura. Per me sono stati un battito d’ali.
A Maurizio riconosco il merito della scintilla che ha innescato quel fuoco di passioni che ancora oggi in centinaia di persone non si spegne.
* Socio I.S.P. Roma dal 1988
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