Tra le lacrime ha urlato: “Papà, cosa hai fatto?”. Davanti allo schermo della TV che trasmetteva una fiction sulla mafia, la figlia quattordicenne di Pasquale Di Filippo, collaboratore di giustizia, ha visto comparire il nome del padre con la scritta: “Oltre 20 omicidi”. Fino a quel momento lei sapeva solo che il genitore aveva aiutato il mafioso Leoluca Bagarella, cognato di Totò Riina, a nascondersi. Da allora la ragazza non ha più rivolto la parola al padre. Con le sue rivelazioni Di Filippo, che ha ammesso quattro omicidi e nega la responsabilità degli altri, ha permesso l’arresto di Bagarella e del killer di don Pino Puglisi, Salvatore Grigoli. Ora il collaboratore di giustizia intende chiedere alla RAI un risarcimento di un milione di euro perché “la Storia non si può falsare”. “Non posso essere condannato anche a perdere mia figlia”, ha detto in una intervista a la Repubblica.
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Perché mai un papà per cambiare il pannolino al suo bambino deve introdursi di soppiatto, e con un po’ di imbarazzo, nel bagno delle donne dato che solo lì c’è (quando c’è) il fasciatoio? Isabella Musacchia ha posto la domanda sul suo blog Onalim (la parola “Milano” letta al contrario) dopo essere entrata in un bar in cui il fasciatoio si trovava… nel bagno degli uomini. Così è nata la campagna #iocambio perché i fasciatoi siano messi a disposizione delle mamme e dei papà. Numerosi padri hanno aderito, inviando foto che li ritrae mentre cambiano il pannolino. In un bagno riservato alle donne, naturalmente.
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Era scomparsa dalle scene per tre anni, e pochi sapevano il perché. Hilary Swank, la protagonista di Million dollar baby, film per il quale ha vinto il premio Oscar come migliore attrice protagonista (cinque anni prima lo aveva vinto per Don’t cry) aveva lasciato il cinema per dedicarsi a suo padre, costretto a un trapianto di polmone. “E’ stato splendido prendersi cura di lui” – ha spiegato la quarantaquattrenne attrice a D – la Repubblica delle donne -, “siamo molto vicini: ero l’unica persona ad assisterlo, è stato un onore condividere con lui quel periodo così intenso. Se non mi fossi occupata della sua salute, me ne sarei pentita per il resto dei miei giorni. Ora è tornato a condurre una vita normale e abita con me. Non potrei essere più felice”.
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Anche un re dovrà sottoporsi al test di DNA per una causa di riconoscimento di paternità. Avviene in Belgio, dove i giudici hanno ordinato al re Alberto II, 84 anni, di sottoporsi al test nell’ambito di una vicenda cominciata nel 2013 (anno in cui Alberto abdicò a favore del figlio Filippo) quando Delphine Boël, figlia di Sybille de Selys Longchamps, una aristocratica con la quale Alberto era stato fotografato più volte in luoghi alla moda negli anni ’60 e ’70, sostenne di essere figlia di Alberto e chiese di disconoscere il suo padre legale, Jacques. Un test del DNA, effettivamente, ha dimostrato che Jacques non è il padre naturale di Delphine. La Corte ha concesso ad Alberto 90 giorni di tempo per sottoporsi al test. Ha anche precisato che, se il re dovesse morire nel frattempo, vi sarà un prelievo post mortem o su un suo discendente.
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Una sentenza che avrebbe qualcosa da insegnare a quanti sono contrari a tutti i costi all’affidamento “fisicamente condiviso”. A Firenze un ragazzo di 15 anni, stanco delle liti giudiziarie fra i genitori separati che durano da 11 anni, ha scritto ai giudici del Tribunale chiedendo di essere ascoltato pe spiegare le sue esigenze. Cosa che il Tribunale ha fatto, emettendo poi una sentenza che rispecchia le richieste del ragazzo e confermando l’affidamento condiviso a settimane alterne. “La mamma” – aveva spiegato il giovane nella sua lettera – “insiste nel convincermi a cambiare idea sulle settimane alterne, ma se questo accadesse per me sarebbe veramente spiacevole. La mia vita è organizzata bene così e mi trovo bene negli spostamenti”. Il Tribunale ha anche attribuito al padre in via esclusiva le decisioni relative a salute e attività sportive e ha sospeso la potestà genitoriale della donna, ritenendo che non abbia mantenuto un atteggiamento adeguato alla crescita del figlio e abbia attuato pesanti intromissioni nelle scelte del ragazzo. La donna ha denunciato più volte il marito per violazione degli obblighi di assistenza familiare, per inosservanza dei provvedimenti del giudice, per abusi e percosse, accuse dalle quali l’uomo è stato sempre assolto o prosciolto.