Un padre violento, una figlia che si ribella e si difende, una conclusione tragica. Non è il primo caso e purtroppo non sarà l’ultimo. Questa volta è accaduto a Monterotondo, a pochi chilometri da Roma, dove una ragazza di 19 anni, Deborah Sciacquatori, ha ucciso il padre, Lorenzo, di 41 anni con un pugno. Da anni l’uomo maltrattava l’anziana madre, la moglie (che lo aveva anche denunciato) e la figlia. Il 19 maggio scorso, all’alba, è tornato a casa ubriaco e ha cominciato a picchiare le donne, che sono fuggite in strada. Lui le ha inseguite, si è azzuffato con la figlia e lei (che tira di boxe, come faceva il padre, che un tempo era un buon pugile) lo ha colpito con un pugno alla tempia. L’uomo è caduto a terra, forse ha battuto la testa e ha cominciato a perdere sangue. Soccorso, è morto poco dopo in ospedale per una emorragia interna. Adesso Deborah – studentessa modello di liceo, ora sotto choc – è accusata di omicidio. Ma tutto il quartiere la difende.
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Trent’anni, il più giovane fra i cuochi italiani stellati: due stelle Michelin, tre cappelli per la Guida dell’Espresso, tre forchette per il Gambero Rosso, chef nel ristorante La Siriola di San Cassiano, in Val Badia, uno dei più rinomati delle Alpi. Eppure Matteo Metullio ha deciso di lasciare la montagna a tornare a Trieste, la sua città, dove vivono il figlio Nicolò, di tre anni, e la moglie, Elena. “Non sono un eroe”, ha spiegato. “La maggioranza dei genitori, nelle mie condizioni, sceglie ciò che realmente vale di più”. “Non posso lavorare quattordici ore al giorno e sette giorni su sette” – ha aggiunto – “sapendo che la mia compagna e mio figlio non mi vedono per mesi”. Metullio riprenderà a cucinare “quando Nicolò andrà all’asilo ed Elena riprenderà il suo lavoro”.
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Italia recidiva. Per la quarta volta in meno di dieci anni la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato il nostro Paese per non aver rispettato i fondamentali diritti dei genitori separati. Motivo della condanna la vicenda di un papà romano, Luca Costa Sanseverino, di 49 anni, e le enormi difficoltà affrontate dall’uomo per poter incontrare il figlio, nato nel 2006, nonostante fra il 2010 e il 2015 ci siano stati ben tre decreti che davano ragione al padre. In quattro anni Costa Sanseverino non ha potuto vedere il figlio nemmeno una volta. Nel 2017 il ricorso alla Corte di Strasburgo e oggi la condanna. I giudici europei hanno rilevato la inadeguatezza del sistema giuridico italiano e di quello amministrativo (in particolare per quanto attiene ai servizi sociali), che non riescono a garantire i diritti dei genitori dopo la separazione. La Cedu ha anche voluto sottolineare che in questi casi “il trascorrere del tempo può avere conseguenze irrimediabili sulle relazioni tra il fanciullo e il genitore che non vive con lui”.
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Per nove mesi non si è arresa e ha cercato il corpo del padre, che era sparito mentre cercava lumache sulle montagne del Bellunese. E alla fine lo ha trovato, e ha potuto riportarlo a casa. Lui ha ricevuto sepoltura, lei ha ritrovato la pace. L’uomo, Giocondo Ghirardo, 79 anni, era scomparso l’8 giugno 2018. Subito erano scattate le ricerche, anche con elicotteri e cani molecolari, che erano proseguite per giorni. Ma alla fine erano state sospese, senza che il corpo fosse trovato. Da quel momento la figlia di Giocondo, Monica, non si è data pace. Prima ogni giorno, poi due o tre volte a settimana, saliva su quelle montagne e fra i boschi a cercare suo padre. Finché, in un giorno di marzo quest’anno, assieme al suo compagno, ha deciso di superare un’ampia frana che al tempo delle ricerche aveva fermato i soccorritori. E il corpo del padre era là. L’uomo, ha accertato l’autopsia, è morto d’infarto, il giorno stesso della sua scomparsa. “Ora sono sollevata”, ha detto Monica. “La sua non è stata una morte violenta ed è morto mentre guardava le sue amate montagne”.
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Qualche analogia con la notizia precedente. Là una figlia ha cercato il padre scomparso da nove mesi, qui un padre da nove mesi chiede giustizia per il figlio morto in circostanze sospette. Accade nella Repubblica Srpska, in Bosnia Erzegovina, dove nella piazza principale di Banja Luka, la capitale, Davor Dragicevic ogni giorno chiede giustizia per il figlio David. David aveva poco più di 20 anni e un anno fa annegò nella Crkvena, il fiume che bagna la città. “Morte accidentale” secondo gli inquirenti. Ma le indagini mostrano incongruenze, depistaggi, pressioni. E sul corpo erano evidenti segni di colluttazione. David era tra gli oppositori di Milorad Dodik, leader nazionalista serbo eletto alla presidenza della Bosnia. La protesta del padre di David è diventata un movimento, con migliaia di persone che continuano a manifestare nelle piazze di numerose città balcaniche.
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Tempi assolutamente paritetici da trascorrere con il papà e la mamma, separati, per un bambino di quasi sei anni. Lo ha deciso il Tribunale di Catanzaro con il provvedimento 443/2019. Il giudice, dopo una lunga disamina dell’evoluzione del collocamento paritario con riferimenti al Consiglio d’Europa, alla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, alla letteratura scientifica americana, alla giurisprudenza e alla legislazione italiana in materia, ha preso la sua decisione argomentando che la shared custody è senz’altro da preferire “laddove ve ne siano le condizioni di fattibilità e, quindi, tenendo sempre in considerazione le caratteristiche del caso concreto”.
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Cosa accade a un sacerdote che diventa padre? E soprattutto cosa accade a quei bambini? Un tempo venivano accuratamente nascosti, figli doppiamente “illegittimi”, oggi, forse, qualcosa sta cambiando. Il New York Times ha pubblicato parte di un documento riservato (“ad uso interno”) della Santa Sede nel quale si auspica che il sacerdote che è divenuto padre lasci il sacerdozio e si assuma “le proprie responsabilità come genitore, dedicandosi esclusivamente al bambino”. Secondo Coping International, associazione fondata da Vincent Doyle (che a 28 anni scoprì che il suo vero padre era il suo padrino, parroco in un vicino paese) con lo scopo di dare supporto psicologico e spirituale ai figli di sacerdoti, ritiene che siano circa quatttromila i figli nati dal rapporto sessuale di un prete.
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Il 27 dicembre 2016 strangolò le figlie, di nove e sette anni. Ora la Corte d’Assise d’Appello di Caltanissetta ha assolto la donna, l’insegnante Giusy Savatta, perché al momento del fatto era “incapace di intendere e di volere”, come confermato dalla nuova perizia disposta in secondo grado. Al padre delle due bambine ed ex marito della donna, dunque, non spetterà alcun risarcimento.
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E’ nata a sette anni di distanza dalla morte del padre e la donna che l’ha partorita non ha mai conosciuto l’uomo. Ora la bambina, Shira, ha tre anni, ma la insolita vicenda è stata raccontata solo in questi ultimi giorni, dalla Bbc. Nel 2008 Baruch Pozniansky, israeliano di 25 anni, muore per un tumore alla bocca. Finisce la sua vita e comincia questa storia, perché il giovane chiede di avere un figlio e lascia il suo sperma congelato perché possa fecondare una donna. I genitori del ragazzo si impegnano per rispettare le ultime volontà del figlio e nel 2013 incontrano Liat Malka, una insegnante 35/enne di scuola materna che accetta di diventare madre. Un contratto stabilisce i punti fondamentali dell’accordo: niente scambio di denaro, diritto dei nonni di frequentare la nipote e provvedere alla sua crescita. Nella cameretta di Shira, ad Ashkelon, campeggia la foto di papà Baruch.
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L’ex re del Belgio Alberto II, marito di Paola Ruffo di Calabria, ha accettato di sottoporsi al test del DNA per il riconoscimento di paternità. Si tratta di una vicenda cominciata nel 2005, quando Delphine Boel affermò di essere sua figlia e di essere nata da una relazione tra la baronessa Sybille de Selys Longchamps e Alberto, allora principe di Liegi. L’ex re, 84 anni, aveva finora rifiutato il test di riconoscimento di paternità, ma la Corte d’Appello, che lo aveva convocato per il test, il 16 maggio scorso ha stabilito una penale di cinquemila euro per ogni giorno di ritardo rispetto a quello stabilito. E a quel punto Alberto ha dovuto capitolare. Adesso si attendono l’esito del test (per la verità abbastanza scontato, vista la resistenza dell’ex re) e le decisioni dei giudici.