Il bambino e la montagna,
Torbjørn Ekelund,
Ponte alle Grazie, Milano 2019,
pp. 138, € 13,00
Tra i compiti di un padre – oggi più che mai – dovrebbe esserci quello di insegnare ai figli a rispettare e ad amare la Natura. Ne è convinto l’autore di questo libro, che organizza una lunga traversata nella regione montuosa dello Skrim, in Norvegia, con il figlio August, di sette anni. I due camminano per ore e giorni, dormono in tenda, attraversano boschi e radure, superano insidiose paludi e torbiere, sfiorano profondi crepacci, si arrampicano su ripidi pendii. L’obiettivo: raggiungere la vetta del monte Styggemann. Una prova che può sembrare eccessivamente dura per un bambino di quell’età e può lasciare perplesso il genitore-lettore. “Ho pensato che siamo gli unici esseri umani presenti in questo bosco e che nessuno sa dove siamo”, osserva il padre. Il che non suona del tutto rassicurante. Il piccolo August, naturalmente, ha i suoi momenti di defaillance, nei quali prova nostalgia per la mamma, la sorella e la sua cameretta; ma in genere mostra una determinazione, un ottimismo e una energia invidiabili. Del resto ha dormito per la prima volta in tenda a quattro anni e i boschi gli sono familiari.
Sullo sfondo della lunga escursione, un episodio drammatico ha suscitato l’interesse e l’emozione del padre: cento anni prima un bambino di sette anni, Hans Torske, si perse proprio in quella zona e morì, nonostante le ricerche. Il suo corpo fu trovato un anno dopo. La figura di questa piccola vittima e le scarse notizie che il papà di August ha trovato sulla vicenda scandiscono la spedizione di padre e figlio e sono un costante pensiero per l’uomo (che solo alla fine della escursione ne parlerà con il suo bambino).
Qui finisce tutto bene. I due tornano al luogo dove hanno parcheggiato l’auto, sfiniti (soprattutto il padre) ma felici. Come ci si sente felici, anche se stanchi morti, dopo una lunga camminata in montagna. La natura, osserva Ekelund, andrebbe vissuta così, come ha fatto lui con suo figlio. Perché solo così se ne capisce l’essenza. E si comprende che essa può essere attraente e bellissima, ma anche infida e pericolosa (“la natura ha mille modi per ucciderti”). Certo non è né buona né cattiva. La natura è “imperturbabile”. “E’ questa indifferenza, il lato non umano della natura, che ci attrae. Ma è anche quello che temiamo”.
In questa avventura, raccontata pianamente e gradevolmente, non c’è solo la natura e gli insegnamenti che essa può dare. C’è il rapporto padre-figlio, che dalla natura vissuta insieme – loro due davvero soli – trae alimento e spessore. I racconti del padre, le emozioni, le sensazioni (anche quando sono sgradevoli) vissute così vicini: tutto li avvicinerà e resterà un’esperienza profondamente viva per entrambi. E se questa è, per così dire, un’esperienza-limite, l’insegnamento rimane valido: un padre e un figlio (senza distinzione di genere, naturalmente) devono vivere avventure in comune, loro due soli.
Un libro che piacerà agli appassionati di trekking e di montagna (il volume è stato realizzato in collaborazione con il Club Alpino Italiano) e farà riflettere i padri.