di Silvia Ciocca *
La separazione e il divorzio, oggigiorno, possono essere pensati come un'”epidemia sociale” (Cigoli, 2006), non soffermandosi sull’accezione negativa del termine “epidemia”, ma piuttosto riflettendo sull’enorme diffusione e accettazione del fenomeno nella società moderna. L’aumento del fenomeno si è mosso di pari passo con il fiorire in letteratura di studi interessati ad analizzare le diverse variabili strutturali, contestuali, relazionali e cognitivo-affettive che agiscono sul processo di separazione e sul raggiungimento di un nuovo equilibrio familiare, tanto che oggi essa viene concettualizzata e studiata come un processo psicosociale multidimensionale (Cigoli, 1998).
Il processo di separazione comporta un’evoluzione delle relazioni familiari sul piano coniugale, su quello genitoriale e per ciò che riguarda le interazioni con l’ambiente esterno (Malagoli Togliatti, Lubrano Lavadera, 2002). Il prendere atto e l’accettare l’avvenuta scissione a livello coniugale, senza negare la persistente unione a livello genitoriale, rappresenta un compito fondamentale per la coppia separata, chiamata ad affrontare il cosiddetto “divorzio psichico” (Bohannan, 1970) e a ridefinire in maniera non ambigua i confini del proprio legame. I compiti di sviluppo che gli individui sono chiamati ad assolvere sull’asse genitoriale sono essenzialmente mettere in atto una forma di collaborazione con l’ex-coniuge per sostenere l’esercizio della funzione genitoriale e garantire al figlio l’accesso alla storia di entrambe le famiglie di origine (Scabini, Cigoli, 2000).
A seguito della Convenzione sui Diritti del Bambino di New York (20 Novembre 1989) e dell’introduzione della L. 54/2006, anche a livello normativo si è andato via via affermando il principio ideologico di bigenitorialità, in base al quale si sostiene la legittima aspirazione del bambino a mantenere un rapporto stabile con entrambi i genitori, anche nel caso in cui questi siano separati o divorziati.
Nell’ambito delle scienze psicologiche il principio di bigenitorialità trova riscontro nel costrutto di cogenitorialità. La cogenitorialità rimanda appunto all’alleanza supportiva tra i genitori nella cura, nei compiti di allevamento e nell’educazione dei figli, implicando la capacità dell’esercizio coordinato delle funzioni genitoriali (McHale et al. 2000).
In un sistema cogenitoriale funzionale i genitori non si trovano necessariamente in accordo su tutte le questioni che riguardano i figli, ma se essi riescono a mediare le difficoltà che incontrano nel loro percorso è molto probabile che il sistema ne esca rafforzato. Se, al contrario, si frattura la loro capacità di coordinarsi, si crea una dinamica caratterizzata da mancanza di sincronia relazionale e mutualità. Le conseguenze che con maggiore frequenza si riscontrano sono due: in alcuni casi vi può essere un clima di ostilità, o di conflitto aperto, in cui un genitore cerca di imporre il proprio stile sull’altro all’interno di una coparentalità competitiva; in altri troviamo le situazioni di “cogenitorialità escludente” in cui uno dei due genitori, spesso il padre, stanco del conflitto, abbandona il campo disimpegnandosi dalla relazione.
All’interno di una visione sistemica, i pattern coparentali sono però co-creati dai genitori, per cui dove c’è un genitore centrale l’altro accetta, implicitamente, la sua posizione periferica, e viceversa (McHale et al 2004). In questi casi è importante riuscire a riconoscere la propria parte di responsabilità, evitando di sostenere a tutti i costi le proprie interpunzioni arbitrarie secondo una logica causa-effetto in un sistema che invece, per sua natura, è essenzialmente circolare.
Una cogenitorialità efficace nel contesto della separazione è sostenuta dalla propensione a credere che il proprio ex-coniuge sia buon genitore e dalla capacità di trasmettere tale pensiero ai figli. Quando un partner si mostra supportivo del ruolo e del comportamento genitoriale dell’altro, quest’ultimo sarà incentivato a rispondere con il medesimo supporto e rispetto. Purtroppo, laddove permangano sentimenti non risolti e lutti non elaborati, la relazione genitoriale diviene l’estremo campo di battaglia sul quale far valere le proprie ragioni. In questi casi, quando un partner non incoraggia ma al contrario svaluta le capacità genitoriali dell’altro, sentimenti e comportamenti negativi possono intensificarsi in un escalation simmetrica e portare infine al conflitto aperto (Van Egeren, Hawkins, 2004).
Al processo di adattamento della famiglia all’evento della separazione e alla sua successiva gestione contribuiscono senza dubbio la continuità e la stabilità del coinvolgimento paterno nella crescita dei figli (Ahrons, Tanner, 2003). Solitamente è la madre a detenere un ruolo principe nella sfera genitoriale, mentre il grado di coinvolgimento paterno varia in base ai valori, alle attitudini e alle aspirazioni di ciascuna famiglia.
In tal senso un concetto che recentemente ha guadagnato molto interesse è quello di madre come gatekeeper, ovvero “custode” delle relazioni di entrambi i genitori con i figli. Attraverso alcune ricerche (Trinder, 2008) è emerso che se da una parte le strategie di alcune madri finalizzate a migliorare e sostenere il coinvolgimento genitoriale paterno (gate opening) forniscono un supporto continuo alla relazione padre-figlio, dall’altra esse supportano indirettamente il ruolo centrale della madre. In sostanza, le madri che adottano strategie gate opening facilitando ed incoraggiando la partecipazione e la disponibilità paterna, gestiscono in maniera asimmetrica la relazione, assumendo una posizione di controllo, in qualche modo tacitamente accettata dai padri.
Ritengo dunque che sia di fondamentale importanza per i padri acquisire la consapevolezza di tali dinamiche, al fine di poter assumere un ruolo sempre più attivo nella relazione con i propri figli, rendendosi promotori di una cogenitorialità effettiva.
* psicologa. Roma