di Silvana Bisogni *
L’esplosione improvvisa e drammatica dell’epidemia di Coronavirus, con l’inevitabile corollario di obblighi e divieti per contenerne e prevenirne il contagio, ha avuto come conseguenza immediata un cambiamento nella organizzazione della vita domestica e nelle interazioni personali, anche a livello intergenerazionale. Tendenzialmente, soprattutto in ambito cittadino, in una famiglia durante la giornata ogni componente svolge attività personali (scolastiche, professionali, gestionali, di cura), per poi ritrovarsi tutti insieme la sera e nei fine settimana o nelle giornate festive. Nella nuova situazione, il nucleo familiare, invece, deve condividere le attività e gli spazi nell’arco delle 24 ore.
I quotidiani e le testate giornalistiche televisive hanno dedicato ampio spazio nella narrazione della nuova organizzazione familiare, con interviste che raccolgono gli atteggiamenti e i comportamenti dei cittadini. Ne emerge una duplice realtà. Da una parte c’è chi valorizza questo momento come una opportunità, inattesa ma positiva, per potenziare le relazioni familiari, per condividere più tempo insieme, per sfruttare il tempo a disposizione per dedicarsi ad attività del tempo libero o ad hobby spesso sacrificati in tempi “normali”, ma anche per risistemare gli spazi, per fare più approfondite pulizie, per fare piccoli lavori di manutenzione. Comunque il luogo che sembra concentrare l’interesse maggiore sembra essere la cucina, spesso con il gusto di avvicinarsi, da neofiti, alla preparazione dei pasti, con ricette più o meno tradizionali o per confermare pregresse abilità culinarie. Ma nell’altro versante della vita familiare la convivenza forzata può scatenare situazioni di contrasto e disagio laddove ci sono già problemi di interazioni tra i vari componenti della famiglia. I drammatici casi di femminicidi e di violenza domestica registrati nei giorni scorsi ne sono un tragico esempio.
Ma c’è un aspetto che nessun quotidiano o servizio televisivo ha evidenziato: il rischio molto alto che in questa situazione di forzata vita domestica possano aumentare gli incidenti tra le pareti di casa. Mi riferisco all’annoso problema degli incidenti domestici, di cui poco si parla, ma che rappresenta un vero e proprio dramma ed è un problema di portata mondiale.
Da un punto di vista sociale e culturale, la casa è percepita come il luogo di sicurezza per eccellenza, che provoca una tendenziale sottovalutazione dei rischi insiti. A livello internazionale questi incidenti rappresentano la quarta causa principale di morte (dopo le malattie cardiovascolari, i tumori e le malattie respiratorie). Il fenomeno dovrebbe, quindi, costituire un obiettivo prioritario per le politiche di prevenzione per la salute dei cittadini. Tuttavia, l’attenzione a questo problema si è accentuata solo in tempi recenti. Un esempio significativo è rappresentato dall’assenza di un esplicito riferimento agli incidenti domestici tra le cause d’infortunio nella classificazione internazionale delle cause di malattia e traumatismi fino alla penultima edizione. Poi successivamente nel “World Health Organization, ICD-10 Classificazione Statistica Internazionale delle Malattie e dei Problemi Sanitari Correlati – Decima Revisione 2016”, tale lacuna è stata eliminata.
Nel Rapporto Osservasalute 2018 “Per incidenti domestici si intendono quegli eventi che si verificano in una abitazione (all’interno o in locali adiacenti ad essa), indipendentemente dal fatto che si tratti dell’abitazione propria o di altri (parenti, amici, vicini etc.), che determinano una compromissione temporanea o definitiva delle condizioni di salute a causa di ferite, fratture, contusioni, lussazioni, ustioni o altre lesioni del soggetto coinvolto e sono caratterizzati dall’accidentalità (indipendenza dalla volontà umana)”.
Nell’Unione Europea per lungo tempo i dati raccolti sono stati difformi e non suscettibili di confronto in quanto i sistemi di rilevazione erano troppo diversi. Poi è stato istituito il programma HLA (Home and Leisure Accidents,) per la sorveglianza epidemiologica sugli infortuni domestici. E’ attivo il progetto IDB (Injury DataBase) sistema di sorveglianza degli incidenti domestici, del tempo libero e della violenza in Europa, che raccoglie ed integra le fonti sui fattori di rischio che intervengono negli infortuni domestici, un completo sistema di monitoraggio dei traumi basato sulla registrazione di pazienti che accedono ai pronto soccorso. Va sottolineato che le fonti quantitative costituiscono solo una parte del fenomeno, in quanto sfugge il numero di persone che, pur in presenza di un incidente domestico, non fa ricorso alle sedi di pronto soccorso.
Secondo il Rapporto Injuries in the European Union 2013-2015 Supplementary report to the 6th edition of Injuries in the EU-Report on trends in IDB data flow, country comparison and ECHI -injury indicators 2013-2015, pubblicato nel 2017, ogni anno in Europa i traumi sono responsabili di circa 38 milioni gli accessi ai centri di pronto soccorso, di cui 5,3 milioni (14,1%) necessitano di ricovero e di cui 232 mila (0,6 %) sono i decessi. Nel panorama europeo:
- il 66% dei ricoverati per traumi per incidenti domestici è rappresentato da persone di sesso femminile, di età maggiore o uguale a 65 anni
- i tassi di accesso al pronto soccorso per incidenti in casa, del tempo libero, a scuola e sportivi più elevati si registrano nelle classi di età 1-4 anni e superiori a 75 anni.
- circa la metà dei decessi che avvengono in Europa per cause traumatiche riguarda incidenti in casa, per attività del tempo libero, a scuola, in ambito sportivo: sono prevalentemente a rischio i maschi sessantacinquenni o ultrasessantacinquenni.
In Italia fonti di informazioni sono le Indagini Multiscopo sulle famiglie “Aspetti della vita quotidiana” condotta ogni anno dall’Istat. Nell’edizione 2018, risulta che nei 3 mesi precedenti l’intervista, 839 mila persone (pari al 13,9 per 1.000 della popolazione) hanno avuto un incidente nella propria abitazione. Si stima che, nell’arco di 12 mesi, il fenomeno abbia coinvolto 3 milioni e 356 mila persone circa, cioè 56 persone ogni 1.000. Le donne – anche a causa della maggiore permanenze in casa – sono le più coinvolte (63,0% di tutti gli incidenti) con un quoziente di infortuni del 17,0 per 1.000 rispetto agli uomini, che registrano un quoziente di infortuni del 10,6 per 1.000. Tali dati sono confermati anche nel Rapporto Osservasalute 2018.
A rischio, oltre alle donne, anche gli anziani (ultrassessantaquattrenni, 24 persone ogni 1.000), i bambini più piccoli (<6 anni) con l’8,6 per 1.000. Quindi i più colpiti sono donne, anziani e bambini.
Secondo uno studio del Ministero della Salute le fonti di rischio degli infortuni domestici si possono raggruppare in tre macroaree:
- cadute in casa; scale, pavimenti lisci, bagnati o sconnessi, oppure fili elettrici o prolunghe, tappetini per il bagno, sporgenze e spigoli vivi, specialmente se in presenza di insufficiente illuminazione.
- folgorazione: uso errato di apparecchi elettrici (asciugacapelli o rasoi, soprattutto in prossimità dell’acqua o con le mani bagnate), loro malfunzionamento, impianti elettrici non a norma, presenza di prese volanti multiple.
- avvelenamento, intossicazione e ustione: sostanze chimiche contenute nei prodotti per la pulizia della casa o la cura della persona, preparazione e cottura dei cibi
In Italia, a livello percentuale, i luoghi più a rischio sono:
- la cucina, il 63%
- la camera da letto, il 10%
- il soggiorno il 9%
- le scale l’8%
- il bagno, l’8%
- attività “fai da te”, che provocano ferite prevalentemente per gli uomini (42,3%).
Le lesioni più frequenti risultano:
- le fratture: 36% delle persone infortunate.
- le ustioni, dovute ad un uso maldestro di pentole, ferro da stiro, fornelli, acqua o olio bollente: 18,5%, soprattutto tra le donne di età centrali (21,2%).
- le ferite da taglio: 15%. Il 53,7% delle ferite è causato da utensili e attrezzi prevalentemente utilizzati in cucina, soprattutto i coltelli (il 67,1% delle ferite per le donne e il 34,9% per gli uomini)
- urti e schiacciamenti: 13%. Sono più frequenti tra bambini e ragazzi tra i 6 e i 17 anni (25,3% tra 6 e 13 anni e 35,1% tra 14 e 17 anni).
Gli incidenti rigurdano più frequentemente alcune parti del corpo:
- gli arti (braccia, gambe, mani e piedi), in egual misura superiori ed inferiori: 81,2%
- la testa: 11,8%.
- Quanto alle cadute, esse riguardano per il 58,9% le donne e per il 45,4% gli uomini. Le cadute sono causa dei due terzi di tutte le morti degli ultrasessantacinquenni. Negli anziani l’incidenza delle cadute tocca quota 76,9%, ma sale all’81% nelle donne che hanno già compiuto il 75mo anno di vita.
- Le ustioni diffuse riguardano il 16,3% delle donne e il 6,4% degli uomini.
Quanto alle differenze territoriali, queste esistono ma non sono molto accentuate. Nel 2017, nel Nord-Ovest sono state vittime di incidenti domestici 15,0 persone su 1.000, che salgono a 18,0 per 1.000 nel Nord-Est, mentre sono 12,5 per 1.000 nel Centro, 11,7 per 1.000 nel Sud e 11,5 per 1.000 nelle Isole.
Interventi istituzionali e normativi
In Italia gli incidenti domestici rappresentano un problema di sanità pubblica che è stato sottovalutato per anni. Solo in tempi recenti si sono avuti interventi normativi per la prevenzione e il contenimento del fenomeno, grazie all’impegno del Ministero della Salute, tramite il Centro nazionale per la prevenzione e Controllo delle Malattie (CCM), e l’Istituto Superiore di Sanità, che ha creato il Sistema Informativo Nazionale sugli Infortuni in Ambienti di Civile Abitazione (SINIACA), che collabora con il progetto europeo IDB. Il SINIACA inoltre ha avviato una rete di sistemi attivi a livello territoriale (Progetto multiregionale SINIACA-IDB) estendendo così la sua rete di sorveglianza in 11 regioni.
Nonostante la gravità del problema, in Italia gli interventi normativi risultano limitati. Attualmente è vigente la Legge n. 493/1999 che indica le funzioni del Servizio Sanitario Nazionale in materia di sorveglianza e prevenzione degli incidenti domestici, ponendo particolare enfasi alle azioni di informazione ed educazione sanitaria ed alla realizzazione di un sistema informativo dedicato istituito presso l’Istituto Superiore di Sanità.
L’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (INAIL), in seguito alla Legge n. 493/1999, ha istituito l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni domestici, che tutela coloro che, uomini e donne di età compresa tra 18-65 anni, svolgono esclusivamente una attività non remunerata in ambito domestico e che vengono colpiti da infortuni domestici con danno permanente di un certo rilievo.
Ma la natura stessa degli incidenti domestici non consente una vera e propria azione di prevenzione: avvengono nelle case ed è difficile pensare ad una rete di interventi. Inoltre, mancano tuttora importanti strumenti e organizzazione specifica dei Dipartimenti di Prevenzione delle ASL, così come non sono stati attivati percorsi formativi nell’ambito di lauree triennali e specialistiche per l’acquisizione di competenze per affrontare tale problema, che riveste una rilevanza ben maggiore rispetto agli infortuni stradali e sul lavoro o ad altre patologie molto più “centrali” nella percezione di pericolo.
Gli interventi previsti sono sempre a posteriori ; agiscono quando gli incidenti sono già avvenuti. Possono alleviarne le conseguenze da un punto di vista clinico e di assistenza sanitaria, o, per chi ha sottoscritto una assicurazione, possono intervenire con un risarcimento economico, ma non si interviene a livello preventivo.
La prevenzione, dunque, dovrebbe divenire l’azione principale di fronte alla dimensione del problema: dovrebbe iniziare con una ampia azione che coinvolge vari organismi pubblici e privati, per la creazione di una vera e propria “cultura della sicurezza in casa”. Ed è proprio la mancanza di percezione del rischio infortunistico in ambito domestico che costituisce uno dei cardini del problema: in una recente indagine il 90% degli intervistati ha dichiarato infatti di considerare questo rischio basso o assente. In particolare, hanno una più bassa percezione del rischio: i giovani, gli uomini, le persone senza difficoltà economiche.
Sono emerse alcune proposte in merito, che meritano di essere evidenziare.
- sensibilizzazione, informazione ed educazione sanitaria, che abbia come target fasce specifiche di cittadini: bambini, giovani, anziani, casalinghe;
- ampia campagna di sensibilizzazione attivata, per esempio, tramite programmi televisivi ad hoc oppure sfruttando programmi già in palinsesto che dedicano spazi alla cucina, alla gastronomia, alla presentazione di ricette, in cui non sarebbe difficile inserire anche riferimenti specifici ai rischi dovuti a comportamenti non idonei in cucina e in casa;
- altrettanto ampia campagna di diffusione tramite brevissimi spot sui cellulari, che sono i social più utilizzati dagli anziani (che difficilmente seguono facebook, twitter ed altri social network);
- sensibilizzazione nelle scuole, fin dai primi gradi (scuola materna, elementare, secondaria inferiore e superiore) con metodi diversificati in base all’età e per argomenti progressivamente più impegnativi;
- formazione di soggetti istituzionali che svolgono un ruolo di prevenzione;
- formazione di operatori del sociale e sanitario che assistono e prendono in carico i soggetti con maggior fragilità;
- collaborazione con gli operatori addetti alla manutenzione delle abitazioni;
- fornitura a basso costo di dispositivi di sicurezza (maniglie antiscivolo, spie antincendio ecc).
Infine, una annotazione che scaturisce proprio dalla situazione strettamente connessa con le attuali disposizioni di prevenzione e contrasto al coronavirus: molto si parla della nuova (per l’Italia) opportunità legata allo smart working. Se vita familiare e luogo di lavoro tenderanno sempre più a coincidere, sarebbe opportuno che i lavoratori “a casa” fossero sottoposti ad un vero e proprio corso di sicurezza come quelli già previsti per i luoghi di lavoro, che potrebbe ampliarsi anche ai rischi connessi alla vita domestica.
* Sociologa dell’educazione, Roma