di Maria Elettra Cugini *
Come ricordava la sociologa dell’educazione Silvana Bisogni nel suo articolo su ISP Notizie n. 2/2019, nella Chiesa Cattolica – in base agli ancora vigenti ordinamenti più volte discussi ma mai rinnegati – i sacerdoti non sono tenuti ad un voto di castità – e cioè alla rinuncia obbligatoria di relazioni sessuali (anche se dai vertici drasticamente avversate) – ma al voto di celibato, cioè alla rinuncia sia del matrimonio che della convivenza.
Già questo duplice aspetto e questa diversa impostazione nei confronti della sessualità potrebbe divenire fonte di ben più ampia discussione, per la sua evidente ambiguità e contraddizione in termini (l’impulso sessuale è una fonte di tentazione diabolica o una parte naturalmente costitutiva dell’essere umano che va rispettata e, in questo secondo caso, perché condannare proprio le più degne manifestazioni connesse all’amore di coppia, come appunto il matrimonio e la convivenza?). Ma, come psicologa e psicoterapeuta, l’aspetto che vorrei qui considerare rispetto a questa situazione obbligatoriamente imposta è che essa, ove trasgredita, genera drammatici conflitti ed enormi difficoltà psicologiche, sia nelle parti in causa che nella eventuale prole esistente.
Nel 2014 pubblicai un libro intitolato Credere in Modo Nuovo (Aracne Editrice), in cui, dopo aver esaminati vari fattori che, nella mia esperienza personale, mi avevano portata dapprima ad abbandonare e poi a rientrare nella fede Cristiana con un’ottica nuova, lasciavo spazio a varie testimonianze di persone che, come me, auspicavano dei cambiamenti nella dottrina e pratica ecclesiastica che giovassero a riportare molti cristiani che ne sono usciti alla loro Fede, facendo loro superare tante perplessità e tanti dubbi che li avevano indotti ad abbandonarla.
Fra queste varie testimonianze, ce n’è una di Stefania,ex segretaria del gruppo romano “Noi siamo Chiesa” e coordinatrice del blog “Amore negato”, che tratta i grossi problemi inerenti le cosiddette “donne dei preti”, e cioè di quelle donne che instaurano con un sacerdote una relazione non fugace ma duratura di coppia. La sua è una testimonianza nata in realtà come articolo, pubblicato dalla rivista Adista (n. 58 del 2 luglio 2011) che Stefania mi ha dato, autorizzandomi a pubblicarla nel mio libro. Stefania è una donna dalla fede profonda ma anticonvenzionale, di cui vi riporto in parte la testimonianza. Ella parla di quella paura della trasgressione che nasce dalla visione di un Dio punitivo e repressivo, che ha contraddistinto la formazione religiosa di molti cattolici, una paura che, lei dice, “ha la capacità di trasformare la bellezza in senso di colpa e la passione in delitto. Nella mia esperienza con le cosiddette donne dei preti – prosegue – riscontro quanto questa paura sia presente e determini le azioni e i gesti sia della donna che del chierico. La prima annaspa nel tentativo di liberarsi dalla trappola dorata di una relazione impari, condizionata dalla superiorità dell’uomo sacro che impone tempi e modalità fortemente penalizzanti a una storia già di per sé complicata. Il secondo cerca di vivere la relazione occultando il senso di colpa per aver tradito l’istituzione, i confratelli e le aspettative che tutti ripongono in lui”, fino a che, spesso, proprio per il divieto di una conclusione impossibile, come il matrimonio o la convivenza, è proprio lui a tirarsi indietro, abbandonando chi ama, per non relegare se stesso e la donna ad una vita clandestina senza uscita. O anche, ella aggiunge, preferisce abbandonare un vero amore, ripiegando su relazioni sporadiche e fugaci, che lo facciano sentire meno colpevole, distruggendo però spesso la vita della partner, e non escludendo l’eventualità di figli illegittimi nati dal loro amore, che non avranno mai la possibilità di essere riconosciuti dal loro padre.
Stefania conclude l’articolo chiedendosi “Qual è il senso di tutto questo? E come uscirne? Combattere affinchè l’istituzione ecclesiastica decida per l’abolizione di questa norma o cercare la forza e la strada per superare ed eliminare ciò che impedisce di essere autentici?”
Ho conosciuto personalmente un sacerdote che scelse questa seconda strada, e cioè l’autenticità. Era un teologo di valore e un sacerdote impegnato, ma, innamoratosi di una sua devota, decise di chiedere la dispensa papale per poter condurre una vita alla luce del sole, sposando la donna che amava: la classica persona onesta e d’onore che non vuole cedere a compromessi, da cui la sua coscienza rifuggirebbe. Venne successivamente da me in terapia, assolutamente dilaniato dalla decisione presa, e mi diede drammaticamente l’impressione di un ricatto morale imperdonabile a cui questa brava persona era stata condannata, nell’obbligarla a scegliere fra due componenti altrettanto essenziali della sua persona, e cioè la fede e l’amore per la sua donna: come averlo costretto a decidere fra il taglio delle sue gambe o quello delle sue braccia, tanto per lui l’aspetto religioso e quello affettivo erano parimenti importanti.
Fare quella scelta sovrumana – operata proprio per la sua estrema onestà sia nei confronti della partner che della Chiesa – lo distrusse, e non mi stupii affatto, purtroppo, quando mi disse tempo dopo che era stato colto da una forma così grave di Parkinson che aveva perso del tutto la possibilità di camminare. Nel frattempo egli è diventato anche padre: ma quale serenità potrà mai avere questa coppia – ed anche questo figlio – da una situazione così disperata, che ovviamente ha anche influito sull’equilibrio emotivo di questa persona e, di conseguenza, sul benessere e l’intesa della coppia?
Ma è questo l’amore che Gesù ci ha insegnato a costo della sua vita ed è questa l’esistenza che la Chiesa desidera riservare ad alcuni dei suoi figli migliori che, nel pieno rispetto della loro fede, desiderano solo avere una famiglia, come a tantissimi altri cristiani non cattolici – ortodossi, episcopali, anglicani, protestanti – è stato concesso da tempo?
Sono felice di poter scrivere queste righe proprio in vista di una nuova Commissione Ecclesiastica che a breve esaminerà questo problema, anche se purtroppo tutti sappiamo quanto i tempi della Chiesa siano lunghi e, di conseguenza, quanto poco sia probabile che le decisioni sempre ribadite in proposito vengano revocate, malgrado tanti cristiani non siano più di questo avviso, e malgrado in tanti campi la Chiesa, grazie a Papa Francesco, stia facendo molti passi avanti nel suo rinnovamento.
Gli antichi dicevano: “Panta rei” (tutto scorre), i buddisti sostengono un principio fondamentale della vita che è l’impermanenza, Teilhard De Chardin, un grande gesuita evoluzionista, a suo tempo condannato ma oggi rivalutato dalla Chiesa, diceva che tutto si evolve e, nella sua scia, il teologo Don Carlo Molari ne deduceva quindi che anche la dottrina ecclesiastica non può rimanere rigida e fissa, non adeguandosi alla vita e ai tempi che cambiano.
Chissà se tutti questi saggi saranno ascoltati (da chi invece ha lo sguardo irremovibilmente rivolto al passato, come i famosi dannati danteschi, che però Dante mise in un girone dell’inferno)? Possiamo dubitarne. Tuttavia una parte innovatrice ed aperta al cambiamento nella Chiesa Cattolica esiste, e quindi nutriamo anche la speranza che questa volta essa possa finalmente prevalere sull’ala conservatrice, all’insegna di quella misericordia che il suo grande Maestro e Fondatore le insegna da ben 2000 anni.
* Psicologa e psicoterapeuta, ISP Roma