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Un’accusa ingiusta che sconvolge la vita (n. 3/12)


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di Anna Oliverio Ferraris *

“I maltrattamenti in famiglia stanno diventando un’arma di ritorsione per i contenzioni civili durante le separazioni. Solo in 2  casi su 10 si tratta di veri maltrattamenti il resto sono querele enfatizzate e usate come ricatto nei confronti dei mariti durante le  separazioni”. Questa dichiarazione fu fatta dal PM Carmen Pugliese nel gennaio del 2009, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario. Nell’aprile del 2010 – nel corso di un convegno dell’Associazione Nazionale familiaristi Italiani – la  psicologa giuridica Sara Pezzuolo dichiarò che le false accuse di maltrattamenti, percosse, abusi sessuali e violenze di vario  genere costruite al solo scopo di eliminare l’ex marito dalla vita dei figli oscillano da un minimo di 70 a un massimo di 95 per  cento. A queste dichiarazioni ne sono seguite altre, tutte volte a segnalare un progressivo incremento di questo tipo di denunce  nel corso delle cause di separazione o nei conflitti tra ex coniugi per le decisioni che riguardano i figli, le spese, la collocazione  ecc. Il fenomeno non riguarda soltanto l’Italia, ma anche altri paesi.

Tra i falsi abusi, quello a carattere sessuale è il più temibile sia perché crea tensioni e sofferenza nella persona ingiustamente accusata, sia perché il solo sospetto di pedofilia ha l’effetto di separare il genitore dai figli per un lungo periodo. Poiché i tempi  della giustizia sono lunghi, anche quando il sospettato e ingiustamente accusato alla fine viene assolto, in parenti, amici e  conoscenti può restare il dubbio che “qualcosa sia accaduto”. Una falsa accusa di abuso sessuale rappresenta quindi un colpo  molto duro all’immagine dell’accusato che sconvolge quasi sempre la sua vita, avvelena i rapporti familiari e non lascia indenni i  figli.

Secondo alcune statistiche, la maggior parte delle false accuse di abuso sessuale proviene dalle madri (tra l’85 e il 95%) le quali  possono essere in cattiva fede, ma anche in buona fede. Ecco uno scenario tipico di una madre “in buona fede”. Il bambino  mostra un disagio che sembra aumentare dopo le visite dal padre. La madre è convinta che questo malessere sia la  conseguenza  di approcci malsani e comunica un sentimento di allarme al figlio/a senza considerare che il malessere può essere causato dalla separazione e non da motivi ulteriori. Parlando con il figlio/a, o di fronte a lui, insinua dubbi su certi comportamenti “inadeguati” del padre e il bambino viene man mano contagiato dalle domande che ella gli pone dopo le visite e  dalle reazioni di lei, cosicché, alla fine, può arrivare a dire ciò che lei si attende da lui. In questo progredire graduale, un  passaggio critico si verifica quando la mamma, nel fargli il bagno, nota un rossore nelle parti genitali: invece di pensare ad una  attività automanipolatoria il pensiero va subito ad un contatto malsano.

E’ utile sapere che gli studi e le ricerche che hanno messo a confronto gruppi di bambini vittime di reali abusi sessuali con gruppi  i bambini al centro di denunce infondate hanno evidenziato che, al termine dell’iter giudiziario, i sintomi e i problemi  psicologici sono simili in entrambi i gruppi (Fonagy e Sandler, 2002). Al termine di una ricerca su 70 bambini (Camerini et al.  2010), 50% vittime di abuso sessuale e 50% coinvolti in false denunce gli autori hanno concluso: “I procedimenti penali sono in  grado di incrementare i fattori di stress dovuti al rapporto con il sistema giudiziario e con i servizi sociosanitari in entrambi i  gruppi; nel gruppo delle denunce infondate aumenta significativamente la probabilità di sviluppare veri e propri sintomi  psicopatologici nei bambini coinvolti”.

* Professore di Psicologia dello sviluppo,
Università “La Sapienza”, Roma.

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