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Cosa c’è dietro l’adozione (n. 3/12)


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di Silvana Bisogni *

Nell’ultimo decennio le coppie italiane che hanno concluso positivamente l’iter adottivo sono state 29.060, in prevalenza in  Lombardia, Veneto, Toscana, Lazio, Emilia Romagna e Campania. Dunque il fenomeno dell’adozione internazionale si mantiene  stabile, sia pure con qualche lieve tendenza al decremento (nel 2011 sono entrati in Italia 4.022 bambini – 2,6% rispetto al  2010).

Nel mese di marzo di quest’anno, la Commissione per le Adozioni Internazionali (C.A.I.) ha pubblicato un Rapporto, Dati   prospettive nelle adozioni internazionali”, in cui ampio spazio è dedicato alle motivazioni che spingono le coppie a scegliere la  via dell’adozione internazionale.

Le caratteristiche delle coppie adottanti sono individuabili in una età media, alla data del  decreto di idoneità, di 42 anni per gli uomini e 40 anni per le donne; in genere la coppia inizia il percorso adottivo dopo circa  7/8 anni di matrimonio. Si tratta di persone che in prevalenza hanno un buon livello culturale (studi universitari o diploma di scuola media superiore), impegnate in attività professionali di tipo intellettuale a elevata specializzazione o in professioni tecniche. Solo l’11% delle donne sono casalinghe.

Alla luce di questi dati generali, necessariamente sintetici, la Commissione Adozioni Internazionali ha cercato di individuare le  motivazioni più pressanti che portano all’inizio di un percorso di adozione.

La motivazione più frequentemente registrata è legata all’infertilità della coppia: 88%. L’Organizzazione Mondiale della Sanità  (OMS) stima che l’infertilità (definita come la mancanza di concepimento dopo 12 mesi di rapporti liberi non protetti) è una  condizione che coinvolge circa il 15-20% delle coppie nei paesi industriali avanzati. Secondo recenti studi epidemiologici, essa  sembra essere legata nel 35% dei casi al fattore femminile, nel 30% al fattore maschile, nel  20% dei casi a problemi in entrambi i
partner; mentre nel 15% dei casi si tratta di infertilità “sine causa”.

Nello specifico “sine causa” l’infertilità sembra essere la conseguenza connessa a nodi psicologici, quali la paura inconscia del  momento del parto, i problemi di relazione in una fase critica della coppia, l’ansia stessa di non riuscire ad avere un bambino.  Quest’ultimo caso è piuttosto frequente nelle coppie candidate all’adozione, tanto che come inizia il percorso di una genitorialità adottiva, il problema si risolve autonomamente con la desiderata gravidanza.

La presa di coscienza della condizione di infertilità costituisce una crisi di vita che coinvolge l’individuo e la coppia, creando  vissuti di frustrazione, stress, senso di inadeguatezza e perdita, sia pure differenziati tra uomo e donna, anche perché  l’elaborazione del “lutto emotivo” così si intreccia negli stati e nelle condizioni della psicologia del profondo: perdita del  bambino fantasticato, perdita del patrimonio genetico, perdita dell’autostima relativamente alla capacità di riprodursi, perdita  della gravidanza e dell’esperienza della nascita, perdita del controllo/privacy del processo di costruzione della genitorialità.

La seconda motivazione per la scelta adottiva è quella di una pregressa “conoscenza del minore” e si instaura, nella quasi totalità  dei casi, quando la coppia ha avuto modo di conoscere un bambino nel corso di progetti di accoglienza che prevedono una  permanenza in Italia nel periodo estivo e una durante le vacanze natalizie.

Una terza motivazione, la più rara, è invece connessa al desiderio adottivo, vale a dire alla voglia di mettersi a disposizione di  uno o più bambini in difficoltà ed è propria delle coppie che ha già figli propri, ma che decidono di adottare per offrire ai  bambini un’alternativa all’istituto.

Quel che si può anticipare è che l’adozione è un modo valido per costruire una famiglia, ma non può rappresentare una  “soluzione” alla sterilità. Rispetto alle “perdite” precedentemente indicate, l’adozione può risolvere ed effettivamente risolve la realizzazione dell’esperienza genitoriale, che richiede una lunga strada di acquisizione di consapevolezza sia individuale che di  coppia, che deve essere accompagnata con rigore, ma anche e soprattutto con delicatezza e profondità, fino alla presa di coscienza che l’adozione è una relazione a due vie: anche il bambino deve adottare i suoi nuovi genitori.

* Sociologa della famiglia. ISP Roma

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