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Il male da evitare e il bene da perseguire (n. 3/12)


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Ho sempre creduto che alla base di tutto ci debba essere una sensibilità. Se non la cultura – intesa, alla tedesca, come formazione e storia, o, perlomeno, come memoria – dovrebbe esserci come minimo una coscienza. Un io che interpreti, di volta in volta, la  ealtà, e che si relazioni con essa. Un soggetto che pensi e non un mero esecutore cieco di un compito o di un dovere. Mi riferisco  gli agenti che a Padova hanno trascinato per la strada un bambino urlante e di cui si parla nell’editoriale di questo numero. Ma penso anche a tanti altri casi del genere, più o meno conflittuali ma dove, sempre, non si prende in considerazione il bene più  mportante, quello dei minori.

A volte si è ciechi quando si indossa una divisa (non solo militare), ma spesso un’uniforme – come dice la parola stessa – prende  le sembianze più di una livrea mentale che di un semplice abito: non ci sono più io, lì dentro, ma soltanto un credo conformista e  ncontestabile esiste. Il ruolo, il mandato e la gerarchia sono gli unici valori che contano. E’ da qui che nascono i dualismi  delineati che conosciamo bene: dirigenti e sottoposti, controllori e controllati, questo sì e quello no, il mio ruolo e il tuo. La  libertà nella nostra epoca esiste, sì, ma si trova all’interno di una sfera i cui confini sono tracciati e ben visibili, guai a chi non li  rispetta.

E le conseguenze di tale impostazione sono sotto gli occhi di tutti. Non solo a Padova, ma, senza andare troppo lontano, anche a  Mestre. Dove una bambina, figlia di genitori separati e affidata a loro (soltanto sulla carta) in modo “condiviso”, alla vista del  papà, che era andato a scuola per incontrarla all’uscita e parlarle, si è rifugiata nell’edificio, mentre l’insegnante chiamava la  polizia che interveniva con ben tre pattuglie, contro questo “padre-nemico pubblico numero uno”, per-riportare-la-situazione- alla-normalità.

Ancora una volta gli attori e i ruoli con i quali i primi si identificano acriticamente, anzichè interpretarli: l’insegnante e la polizia,in primis, ma anche la figlia e il padre. Questi ultimi personaggi che sembrano, a dire il vero, far saltare gli schemi: ma  dove si è vista mai una bambina che scappa alla vista del genitore? E dove invece un papà, costretto, da una preesistente situazione di normalità” che improvvisamente non condivide più, a inseguire sua figlia?

Ma non è proprio questo il bello della diretta, quel che sembra un autentico paradosso  ma che invece è parte intrinseca della  realtà più trita? E quante realtà come questa esistono e quante ancora, di identiche, ce ne sarebbero se al loro posto non ci  fossero altrettante situazioni il cui scopo è soltanto quello “funzionale” di evitare che nascano? Sono tantissimi i matrimoni che  saltano, ma sono tanti anche quelli che “stanno in piedi”, anche se barcollano ogni giorno. Ci sono genitori che non si lasciano e  che vivono una vita da schiavi  in una realtà domestica da cui vorrebbero fuggire. “Per ‘amore’ dei figli, per il ‘loro bene'” – così si  giustificano, ma non so veramente se sono capace di fidarmi delle loro parole.

Quello a cui credo, in questi casi, è ciò di cui ho  accennato all’inizio e cioè che, dietro ad alcune scelte, c’è anzitutto una sensibilità e una cultura, spesso una storia che non si  vuole replicare, un futuro certo e già noto da evitare. In casi come questi, soltanto successivamente si sviluppano certi ruoli:  ma le uniformi sono strette e le parti sono imparate a stento. E se non è un bene quello da salvaguardare, di certo è presente un  male (maggiore?) da evitare. A volte va così e si vive un’esistenza che è una seconda scelta, piuttosto che affrontare la realtà,  con tutte le conseguenze che essa comporta, per sé come per i figli.

Ma vorrei che qualche volta succedesse anche che chi  indossa un abito si spogliasse del suo ruolo, quando il caso dovesse richiederlo. E che tornassimo a essere uomini anziché  soldati, e quindi più umani e sensibili. Che guardassimo di più al male da evitare piuttosto che al bene – se davvero di bene si  tratta – da perseguire.
* * giornalista. Creatore del Blog FiglioPadre. Roma
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