di Maurizio Quilici *
Per molti giorni, l’estate scorsa, ho seguito con interesse uno scambio di mail in un Gruppo di incontro – nato a commento di un articolo di Repubblica – su un aspetto attuale e delicato della separazione e del relativo affidamento. Sappiamo quanto sia, purtroppo, frequente l’atteggiamento ostile del genitore affidatario (nel caso sia stato deciso l’affidamento esclusivo) ovvero “collocatario” (nel caso che sia stato formalmente applicato l’affidamento condiviso) nei confronti dell’ex partner. Quando – ci si è chiesto – il genitore affidatario o collocatario (quasi sempre la madre) frappone pesanti ostacoli alla frequentazione dei figli con l’altro genitore e attua tutte le strategie possibili per eliminare psicologicamente il suo ex partner, qual è il comportamento più giusto da tenere da parte del padre? Combattere ribattendo colpo su colpo, sostenendo a spada tratta la sua presenza non solo per affermare un suo diritto-dovere ma soprattutto per il bene degli stessi figli o, al contrario, fare un passo indietro e assumere un basso profilo per tutelare la serenità dei suoi bambini? In altre parole, con una formula dal sapore letterario che suggeriva “Massimo” nel corso del dibattito e che ho ripreso come titolo di questo scritto: Esserci o non esserci? Scelta dolorosa e lacerante, attraverso la quale molti padri sono passati e hanno deciso in base alle loro convinzioni, al loro carattere, alle circostanze e – non ultimo – al potere della controparte. I partecipanti al Gruppo si sono divisi con accenti ora accorati ora molto coloriti. C’è chi si sente “sconfitto perché ormai incapace di concepire una strategia adeguata (se esiste!!)” e chi giunge “all’assurdo ma necessario convincimento che l’unica forma di tutela del minore rimanga quella di ‘mettersi da parte’ per evitare che il bimbo possa continuare ad assistere e scene così ripugnanti che non potranno non lasciare il segno”. Un altro non ha alcun dubbio: il padre deve “fare un passo indietro”, deve “temporaneamente rassegnarsi”, perché “non è possibile pensare di raggiungere l’obiettivo calpestando l’equilibrio psicologico di un bambino!”. C’è anche chi auspica la “lobotomia a chiunque permette questo scempio”. Qualcuno cerca un compromesso: non crede che la rinuncia di un padre faccia desistere “chi vuole fare la guerra a tutti i costi, anzi…”; e nemmeno crede che “i figli, dopo, potranno veramente capire perché il padre abbia fatto un passo indietro… la madre che vuole alienare lo confonderà”. Questo padre ritiene, pertanto che si debba “portare la croce, ma lasciando traccia delle proprie intenzioni. I figli” – osserva – “se mai cercassero le verità dovranno trovare atti concreti ed inoppugnabili, non giustificazioni”. Premesso che in questi spinosissimi casi non esistono regole di comportamento tracciabili a priori e che la tattica (mi si perdoni il termine), temperata dalla sensibilità di ognuno, sarà inevitabilmente quella di navigare a vista, mi trovo sostanzialmente d’accordo con questo padre. Una certa esperienza in materia mi ha insegnato che gli uomini non devono arrendersi e scomparire di fronte alle pur pesanti ostilità di un genitore conflittuale. Devono, come scrive quel padre, lasciare tracce tangibili del loro impegno, perché non sia mai possibile che un giorno i figli gli chiedano ragione di un comportamento debole e rinunciatario. Nello stesso tempo, si dovranno evitare quelle forme estreme di affermazione del proprio diritto (come il ricorso alla forza pubblica o le scenate di fronte a testimoni da far valere a futura memoria) che possono turbare oltre il limite la serenità, già solitamente compromessa in questi casi, dei figli. Raramente ho visto la presenza costante e tenace, discreta, amorosa di un padre non affidatario non dare, al crescere dei figli, i suoi frutti. Più spesso mi è accaduto di vedere che il tempo dava ragione a quei padri che, pur avendo evitato di porre i figli al centro del campo di battaglia, non si erano mai rassegnati. Sono anche d’accordo, pertanto, con Gaetano Giordano, psicoterapeuta e medico legale che da anni si occupa di paternità, che è intervenuto nel dibattito sostenendo che il genitore mobbizzato “non può sapere mai – perché nessuna soluzione è valida in sé – se deve reagire alle provocazioni, se invece deve continuare a lottare con tattiche giudiziarie o ‘comportamentali’, ovvero se deve rinunciare a vedere il bambino (scelta che – se devo esser sincero – in linea di massima sconsiglio decisamente)”. Per Giordano “in linea di massima, l’analisi dei casi seguiti un tempo, quelli cioè con figli ora adulti e ultraventenni, dimostra che il genitore che ha rinunciato alla conflittualità diretta con l’altro genitore, e che dunque ha tutelato il figlio rispetto al signiconflitto, tenendocelo lontano (ma rimanendo presente in modo ‘virale’ nella sua vita), è quello che a distanza di tempo ha più decise possibilità di recuperare un buon o ottimo rapporto con il figlio, anche se questi è stato vittima di alienazione grave”. Ogni volta che un padre in queste condizioni mi ha chiesto un consiglio (è singolare che in tanti “manuali” della paternità e della separazione io non ricordi che sia stato affrontato questo aspetto) gli ho detto più o meno così: se la tua ex tira con violenza tuo figlio per un braccio e tu lo afferri per l’altro braccio e lo tiri con altrettanta forza, è certo che gli farete male (è un metafora, naturalmente, anche se a volte una triste realtà). Meglio fare un passo indietro se vedi che reclamare il rispetto degli accordi, o di quanto stabilito dal giudice, espone tuo figlio a pesanti ritorsioni, pressioni, minacce o, peggio, violenze fisiche. Ma che sia “un passo indietro”, non una fuga. Non scomparire per questo, non arrenderti. Continua le tue battaglie sul piano legale, anche se defatiganti e spesso deludenti; se ti vengono impediti i contatti fisici, cerca il rapporto con tuo figlio in tutti i modi civili, a seconda dell’età – lettere, telefonate, SMS, e-mail… -. Tieniti informato della vita dei tuoi figli parlando con le loro maestre (è un tuo diritto), con i genitori dei loro amici… Alcuni padri hanno trovato sollievo ed utilità annotando scrupolosamente in un diario ciò che facevano – e ciò che era loro impedito di fare – nei confronti dei figli. E quando quei figli sono cresciuti il diario è stata per loro una scoperta e una conferma: il loro papà non si era defilato, non era scomparso, non si era mai arreso. E gliene sono stati grati.
* presidente dell’ISP