di Silvana Bisogni *
“Bravo, mio figlio è proprio bravo, è così che deve fare! E’ importante che impari a difendersi fin da piccolo!”. E’ la risposta che una docente si è sentita dare quando ha fatto presente ad un padre che suo figlio, un bimbo di 6 anni (sic!) aveva nella cartella, insieme ai quaderni e al sillabario, anche un coltellino. E gli altri docenti, tutti di un istituto comprensivo della provincia di Caserta, hanno confermato esperienze simili. Si dirà: è la conseguenza della situazione di un vasto territorio che ha con la criminalità organizzata e con violenza una consuetudine di quotidiana e ordinaria convivenza. Tutto ciò è vero, ma solo in parte.
I fattori culturali e ambientali sono determinanti, ma non sono esclusivi nell’impatto educativo sui più giovani. Pensiamo, ad esempio, ai modelli di atteggiamenti e comportamenti violenti veicolati, ad ogni ora del giorno, dalla televisione (senza alcun rispetto delle fasce protette), dal cinema, dai videogiochi, da internet, da youtube.
Si è detto e letto in moltissime occasioni che non esistono più le agenzie educative, che fungevano da indirizzo educativo ma anche da filtro. Tra tutti, si ha la sensazione che solo la scuola sia rimasta a porre un argine alle forme di violenza, ma è oppressa dalle molteplici funzioni che è chiamata a svolgere, dalle varie forme di “educazione” che deve garantire (dall’educazione civica a quella ambientale, all’affettività, al benessere, all’alimentare, alla sportiva, alla fruizione dei media, e via citando), fino alla sostituzione dell’educazione tout court, che un tempo era garantita dalla famiglia e dalla Chiesa, e che, nella società contemporanea, sembra drammaticamente sospesa tra mille problemi, tra “panico dell’educare” e mancanza di competenze.
Tra tutte, la carenza dell’educazione familiare è quella che appare la più grave, anche perché la sua crisi data ormai da decenni e sembra orientata ad indebolirsi sempre di più. Eppure la famiglia continua a essere, in tutte le comunità umane, il luogo della socializzazione primaria di ogni individuo. Nel tempo, gli status e i ruoli dei suoi membri hanno subito radicali trasformazioni (da famiglia patriarcale a famiglia biologica, nucleare, composta, estesa, monoparentale, omosessuale) a cui si sono aggiunti il principio dell’eguaglianza tra i sessi sia nella coppia che nell’educazione dei figli e le nuove concezioni pedagogiche centrate sul rispetto dell’autonomia dell’individuo, che hanno certamente modificato tanto l’idea di legame sociale quanto l’idea di cittadinanza che esso presuppone: resta il fulcro centrale per la trasmissione di valori, norme, atteggiamenti e comportamenti, di quel senso di appartenenza che consente di esercitare diritti e doveri e che nella legalità trova la sua prassi.
Un ruolo “amicale” e complice della situazione; i figli in qualche modo “sfruttano” il contesto sociale, economico e lavorativo, e non affrontano le difficoltà perché, è duro doverlo ammettere, non sono addestrati alla responsabilità.
Ciò provoca un sempre maggiore e diffuso disagio adolescenziale e giovanile, con assimilazione di comportamenti drammatici (alcol, droga, disaffezione scolastica, devianza…), mentre i genitori assumono via via un atteggiamento ed un comportamento “lassisti” e “deresponsabilizzati”, che tutto permettono e che tutto giustificano. E quindi possono capitare episodi come quello descritto inizialmente, e tanti altri, in cui la frattura della legalità provocata da atti da ragazzi bulli e, comunque, violenti, contro altri ragazzi e/o persone, suscita un risentito atteggiamento di protezione verso il figlio percepito ancora una volta come un “oggetto di tutela” e non soggetto di diritti e doveri.
Torna, più attuale che mai la domanda: ma il “codice paterno” dov’è? Dov’è il padre che trasmette ai figli i propri valori, e che indirizza il figlio verso una corretta, giusta e critica integrazione nel sistema sociale? Se la funzione paterna è l’asse centrale di trasmissione di valori e orientamenti morali, è la rappresentanza della società, dell’autorità e della norma, come si configura tale ruolo in chi quasi sostiene i comportamenti violenti e prepotenti dei figli? Chi educa alla sua funzione di genitore il padre compiaciuto di un figlio bullo?
* sociologa dell’educazione. ISP Roma