di Ubaldo Sagripanti *
Digitando “istinto paterno” sul motore di ricerca di Google, si ottiene un suggerimento: “forse cercavi istinto materno”. Quest’ultimo è certamente più rappresentato nel senso comune, ma poco differente circa le difficoltà di riconoscimento che ogni istinto incontra nella specie umana in quanto “schema comportamentale ereditato, caratteristico di una specie, che si articola finalisticamente secondo sequenze temporali pressoché immodificabili”. Tuttavia, nel 1951 Timbergen giungeva alla conclusione che “salendo nella scala evolutiva, l’apprendimento determina modificazioni nello schema fisso di azione, tanto che l’interazione tra istinto e apprendimento genera uno schema di avvio, modificato dall’esperienza”.
La base genetica che presiede allo schema d’avvio innato dei comportamenti istintuali nel DNA umano non risponde solo all’ereditarietà ma è suscettibile di variazioni di espressione dovute all’ambiente. Si può dire, con Mancia, che “le interazioni tra natura e cultura sono la nuova frontiera delle neuroscienze”, e quindi, dell’espressione umana nel mondo. In questa prospettiva, possiamo riconoscere oggettivamente solo l’istinto di conservazione della specie umana; ma, allo stesso tempo, c’è in ognuno la percezione soggettiva dell’istinto come qualcosa che si sa ma non si riesce a definire, al pari del tempo e dell’amore. Circa quest’ultimo, sostiene Callieri: ” Non vi è un solo amore, ma ve ne sono tanti quante sono le persone (…) tuttavia c’è solo una misura dell’amore. Una sola misura, anche per i diversi tipi di esperienza d’amore, da quella per il partner a quella per gli amici, per i fratelli, i genitori, i figli e anche per gli altri, e per Dio. La sola misura è quella per cui l’amore assume l’atteggiamento irriducibile della cura per l’altro, senza di che il modello comportamentale umano dell’amore sembra vanificarsi, ridursi a flatus vocis.”
Credo sia ipotizzabile che il modello comportamentale della cura per l’altro come atteggiamento irriducibile muova dalla traccia istintuale che sta alla radice dalla complessità dell’amore e che questa, riguardo i figli, sia interpretata diversamente dal femminile e maschile. Potremmo distinguere alcuni caratteri dell’istinto materno in quelli della nutrizione, dell’accudimento primario, della ricettività empatica ( intesa come capacità, anche nelle neo-mamme, di decifrare il pianto del neonato riconoscendovi quale tipo di disagio o bisogno sta esprimendo). A differenza delle altre specie, in quella umana il prendersi cura dei figli prosegue molto oltre le variazioni ormonali estendendosi, con forza sorprendente, fino ai figli dei figli anche per il maschio.
Da qui, vorrei ipotizzare i caratteri dell’istinto paterno con una piccola storia personale. Una domenica incontro un caro amico: ha la preoccupazione in volto e mi spiega che è per il figlio che sta accompagnando all’aeroporto. E’ in partenza per l’Irlanda, dove da poco ha ottenuto un posto di lavoro stabile che però vuole lasciare per una proposta, ancora incerta, ricevuta dall’Australia. Gli chiedo quanti anni abbia il figlio. Quasi trenta! …Sa bene che è grande, ma ripeterebbe ora quanto gli disse in una discussione avuta quando ne aveva quindici: ” Io non sono nato padre, sto imparando con te che sei il primo figlio e posso anche sbagliare, ma tu devi comunque ascoltarmi!”
Credo che questo episodio mostri due tracce istintuali che, attraverso l’evoluzione, rimangono al servizio del paterno prendersi cura dei figli: la territorialità e la funzione di guida/sostegno.
Circa la territorialità, moltissime specie animali affidano al maschio il controllo e la difesa del territorio in cui vive il nucleo famigliare; egualmente fa l’uomo con la continuità che va dal concetto di “casa paterna” a quello di “Patria”.
Etologicamente, la ragione è nel sostentamento e difesa di femmine e piccoli a vantaggio della conservazione della specie; antropologicamente vale l’identica cosa. Ma non solo. In diversi canidi e primati si riscontrano, nei maschi, condotte di gioco e cura della prole in età prepuberale; per gli uomini, recenti ricerche di Baldoni sull’attaccamento mostrano l’influenza del padre significativa sulle capacità di esplorazione del bambino, che da adolescente sarà in grado “di sviluppare competenze sicure nelle attività di esplorazione e sulle capacità di adattamento a situazioni difficili”, in relazione alla sensibilità al gioco dimostrata dal padre quando il piccolo aveva 2-3 anni.
La funzione paterna costruisce il ponte tra la coppia madre-bambino e il mondo esterno preparando i nuovi individui a mettere in atto le competenze istintuali attraverso la trasmissione di acquisizioni appropriate. Il padre difende i confini entro i quali il figlio acquisisce la capacità di superarli per crearne dei propri. Per gli umani, da spaziali, i confini si ampliano a temporali, normativi ed etici: si pensi alla correlazione tra scarsa presenza del padre nell’infanzia e condotta delinquenziale nell’adolescenza.
La seconda dimensione istintuale di guida/sostegno è connessa alla prima e origina dagli ominidi cacciatori preistorici che ci hanno preceduto. La caccia in branco era una pertinenza maschile che implicava strategie di gruppo e l’addestramento dei giovani per la trasmissione di un vero e proprio know how, come confermerebbero gli studi della Giusti in La scimmia e il cacciatore. Nella nostra successiva evoluzione, la trasmissione del “come si fa” da padre in figlio/a è documentata in Storia della Paternità da Quilici, ma anche dal senso comune in detti come: ” l’arte del padre è mezzo imparata”; o, ad esempio, dall’immaginario poetico di Dante che impersona il Padre-Guida in Virgilio. Tuttavia, credo che nel mondo tecnologico attuale questo istinto non sia più da cercare nei campi istituzionalizzati della trasmissione del sapere, la cui complessità di intenti, di fini e risultati è divenuta, secondo Galimberti, una criticità assoluta di tutto il genere umano, ma vada riconosciuta nei messaggi dei “poeti”: di coloro che trasformano in opera l’esplorazione del mondo umano interno. Maschi non più a caccia di prede nella savana ma di Senso nel vivere, che trasmettono il “saper andare a caccia” di nutrimento etico unito al sostegno nel “passaggio difficile”, come scopriamo nei brani dedicati ai figli da alcuni cantautori italiani come: Baglioni, Guccini, Jovanotti, Ramazzotti, V. Rossi, Vecchioni. Propongo questi artisti, postulando che se riescono a raggiungere la sensibilità di milioni di individui vi è, ragionevolmente, una base comune evocata in tutti dal messaggio stesso. Ciò rappresenta al momento solo una possibile e forse fantasiosa ipotesi di studio; ritengo, tuttavia, che sia epistemologicamente possibile parlarne in una prospettiva scientifica.
* neuropsichiatra infantile. ISP Civitanova Marche