Anche nel 2015 le separazioni fra coniugi o conviventi sono aumentate, come avviene ormai da molti anni: sono state 91.706, con un + 2,7% rispetto al 2014. Ma il vero aumento si è avuto nei divorzi: 82.469, con un aumento di ben il 57%. Si tratta – come precisa l’Istat nel suo Rapporto su “Matrimoni, separazioni e divorzi”, pubblicato il 14 novembre scorso – di un aumento legato alla legge sul “divorzio breve”, entrata in vigore a metà anno, in base alla quale i tempi che devono intercorrere fra separazione e divorzio sono passati da tre anni a sei mesi per la separazione consensuale e un anno se giudiziale. Si sono così sensibilmente accorciati i tempi che devono intercorrere fra la separazione e il divorzio. Anche la semplificazione delle procedure per separazione e divorzio consensuali, con la possibilità di rivolgersi al Comune, ha influito sull’aumento di separazioni e divorzi.
A che età ci si separa? Le statistiche continuano a sfatare la famosa “crisi del settimo anno”. Ormai si può parlare di “crisi del 17/mo anno” perché è a quel punto che, nella maggior parte dei casi, finisce il matrimonio. E dato che ci si sposa sempre più tardi, anche l’età dei separandi tende a salire: nel 2015 la media per l’uomo era di 48 anni, per la donna 45. Altro dato in costante aumento, il numero di separazioni che avvengono in tarda età.
Per la prima volta dal 2008 sono aumentati anche i matrimoni, che hanno fatto segnare un + 2,4% (ma sono sempre il 20% in meno rispetto al 2008). Ancora presto – precisa l’Istat – per poter parlare di inversione di tendenza. L’età media del matrimonio è, come ormai da tempo, elevata: 35 anni lui, 32 lei. Come meravigliarsi, visto che (ce lo dice lo stesso Istituto di statistica) l’80% degli uomini e quasi il 70% delle donne ancora vivono con mamma e papà? Anche i secondi matrimoni sono aumentati: nel 2015 10% in più rispetto al 2014. Uomini e donne… ci riprovano e la percentuale complessiva delle seconde nozze è arrivata al 17%. Il 45,3% dei matrimoni italiani ( + 8% rispetto al 2014) è avvenuto con il solo rito civile, a conferma di una progressiva “laicizzazione” del vincolo, specie per quanto attiene alle seconde nozze (30% nel 2015). I matrimoni religiosi, però, sono più stabili rispetto a quelli civili.
Per quanto attiene all’affidamento dei figli, l’affidamento condiviso è ormai la prassi. Nel 2015 è stato applicato nell’89%, ma come sappiamo bene si tratta nella maggior parte dei casi di una formula che lascia nella sostanza inalterato il vecchio regime dell’affidamento, con la madre che è quasi sempre il genitore “convivente”. “Solo” l’8,9% dei figli – osserva l’Istat – è affidato esclusivamente alla madre (nel poco più dell’1% che resta – e che l’Istat non prende neppure in considerazione – non ci sono solo gli affidamenti al padre ma anche quelli “a terzi”). Nel 60% dei casi la abitazione coniugale viene assegnata alla madre (nel 69% se la donna ha almeno un figlio minorenne) e nel 94% dei casi l’assegno di mantenimento è corrisposto dal padre.